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~ LA REDAZIONE DI RC
Nell’’alta borghesia danese, dove le emozioni si tengono sotto controllo come i giardini all’inglese, Reservatet – tradotto da Netflix come “La Riserva” – affonda lo sguardo dove non si dovrebbe guardare: nei margini oscuri di una società che vive di regole implicite, silenzi condivisi e apparente perfezione. Sei episodi che non gridano, ma sussurrano inquietudine. E fanno molto più rumore così. La scomparsa di Ruby, giovane au pair filippina, è l’innesco narrativo. Un evento che, in un altro contesto, sarebbe forse solo un fatto di cronaca, ma che qui assume il peso di un piccolo terremoto morale. Perché Ruby non svanisce nel nulla: viene inghiottita da un sistema che preferisce non vedere. E la serie è tutta costruita su questa tensione: la tensione tra ciò che si mostra e ciò che si nasconde. La serie è ambientata a nord di Copenaghen, in un quartiere residenziale che sembra uscito da una brochure di architettura scandinava. Un luogo in cui il disordine è vietato, anche quello emotivo.
Qui vive Cecilie (Marie Bach Hansen), madre, moglie, ex professionista e oggi pienamente integrata in quel rituale borghese fatto di compostezza, sorrisi calibrati e brunch educati. Ma Cecilie non dorme più tranquilla. C’è qualcosa nella scomparsa di Ruby che la scuote, che non si allinea con le spiegazioni frettolose della polizia o con i commenti distratti dei vicini. E non è la sola. Angel, l’au pair che vive nella sua casa, è amica di Ruby. Le racconta cose. Non troppe, ma abbastanza perché qualcosa inizi a incrinarsi.
A indagare sul caso ufficialmente è Aicha (Sara Fanta Traore), giovane investigatrice trasferita da poco nella zona, che incontra subito i muri passivi-aggressivi del quartiere. La sua presenza è mal tollerata, e non solo perché fa domande scomode. Ma La Riserva non è una crime story classica: è una discesa lenta, e psicologicamente dolorosa, nel territorio della colpa condivisa.
Cecilie e Angel, guidate da una strana alleanza che unisce mondi lontanissimi, cominciano a scavare. Ma quello che trovano non è solo la verità sulla scomparsa di Ruby: trovano come funziona quel mondo. E quanto tutti – anche chi si crede “una brava persona” – siano parte del problema.
Cecilia: Marie Bach Hansen
Angel: Excel Busano
Cecilia: Ok, Angel. Il fatto è che… Io devo passare più tempo con i miei figli. Voglio farlo.
Angel: Bene, saranno contenti.
Cecilia: Mhm… Tu sei… sei oramai parte della famiglia. Ma credo che d’ora in avanti sia… meglio per entrambe stare con i nostri figli.
Angel: Che vuoi dire, Cecilia?
Cecilia: Beh… E’ ovvio che ti pagherò ancora tre mesi, e il tuo biglietto di rientro. E… ho anche messo dei soldi per la tua startup, dentro?
Angel: Eh…?
Cecilia: Così potrai stare con tuo figlio.
Angel: E’ un… E’ un licenziamento?
Cecilia: Sarà meglio per tuo figlio questo cambiamento, comunque.
Angel: Tu non hai idea di cosa sia meglio per mio figlio, Cecilia. Non ne hai idea.
Cecilia: Beh, mio figlio sta diventando grande e… dopo tutto quello che è capitato con Oscar credo tu possa capire.
Angel: Quindi tu licenzi me… per quello che ha fatto Oscar?
Cecilia: Io non… non voglio… si, non voglio che Viggo possa confondersi sul vostro rapporto. Siete così vicine e… è in un’età strana in termini di sessualità.
Angel: Di cos stai parlando? Viggo nemmeno si tocca.
Cecilia: oK. Non sono sicuro che sia appropriato che tu lo sappia.
Angel: certo. Sono io che lavo le sue lenzuola. Se tu una volta lo facessi, lo sapresti!
Cecilia: Io provo a salvarti, Angel.
Angel: Ma salvarmi da cosa?? Non ho bisogno ch mi salvi, Cecilia. E’ del mio lavoro che ho bisogno.
Cecilia: Angel, nella tua candidatura non dovevi mentire, però. E… hai preso dei soldi da mio figlio. Hai accettato dei soldi. Non posso avere qualcuno che fa queste cose nella mia famiglia… E… io mi scuso con te, ma… E’ per questo che ti licenzio, ok?
Angel: Cecilia… Tu non conosci il mio mondo. Tu non sai niente del mio mondo. Sei solo fortunata, tanto fortunata, lo sai? Tanto fortunata.
Cecilia: Lo faccio per il tuo bene.
Questo dialogo tra Cecilie e Angel è uno dei momenti chiave di Reservatet, e va letto su più livelli: drammatico, sociale, emotivo. È una scena in cui esplode il conflitto che la serie ha costruito lentamente episodio dopo episodio: il conflitto tra due mondi che si sfiorano ogni giorno, ma non si comprendono mai davvero. Cecilie entra in scena con quella calma artificiale che l’ha sempre contraddistinta. Le sue parole sono misurate, il tono è pacato, la forma è quella della gentilezza danese da manuale.
Ma dentro il linguaggio “educato”, si muove qualcosa di ben più duro: un giudizio.
“Voglio passare più tempo con i miei figli.”
“Sarà meglio per tuo figlio questo cambiamento.”
La logica di Cecilie è quella del controllo travestito da cura. Sta licenziando Angel, ma lo fa parlando di affetto, famiglia, bene comune. Eppure ogni sua frase suona paternalistica, quasi offensiva nella sua finta empatia. Angel lo capisce subito: sotto la patina del “ti aiuto”, c’è il bisogno di Cecilie di ristabilire un ordine, di allontanare il caos che l’ha messa a disagio.
Angel è l’unica a dire le cose come stanno.
“E’ un licenziamento?”
“Non ho bisogno che mi salvi, ho bisogno del mio lavoro.”
“Tu non conosci il mio mondo.”
Non c’è spazio per le ambiguità. Dove Cecilie si rifugia nelle formule sociali, Angel taglia corto. Questa è una delle rare scene in cui il linguaggio borghese viene smascherato per ciò che è: una forma di distanza. Angel lo rifiuta, rifiuta la “generosità” che sa di espulsione mascherata, e lo dice chiaramente: "Tu sei solo fortunata." Ed è proprio lì che Reservatet colpisce più forte: nel mostrare come il privilegio borghese si convinca di essere giusto, anche quando esercita un potere arbitrario. Cecilie pensa di essere nel giusto, davvero lo pensa. E questo è inquietante. Licenzia Angel, ma lo fa “per il tuo bene”. La sua voce è ancora calma, ma è intrisa di giudizio, di paura e di rimozione.
Questo dialogo è uno scontro fra prospettive morali. Cecilie vive in un mondo dove le regole sono implicite: il decoro, la distanza, la protezione dei figli, l’ordine delle cose. Angel invece è dentro un’altra realtà: fatta di bisogni concreti, di precarietà, di relazioni sincere che non passano per la forma ma per i fatti.
Quando Angel dice “Lavo le sue lenzuola. Se tu una volta lo facessi, lo sapresti”, sta dicendo: io vedo tuo figlio, tu no. È un colpo diretto, e Cecilie lo sente.
Il vero sottotesto di questa scena è la paura. Cecilie teme lo sguardo che Angel ha su suo figlio, su Oscar, su quella famiglia che fino a poco tempo fa le sembrava perfetta. Teme che Angel abbia visto troppo, capito troppo. Il licenziamento è una rimozione simbolica. Toglie Angel dalla casa come si toglie un elemento di disturbo da una composizione minimalista.
Ma è anche un gesto disperato. Cecilie ha bisogno di riprendere il controllo. Ha capito che il suo ruolo di madre perfetta sta franando, e allora reagisce come fanno molti personaggi nei drammi borghesi: con una decisione ferma, razionale, apparentemente gentile – ma moralmente ambigua.
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