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~ LA REDAZIONE DI RC
Debuttata l’11 aprile 2025 su Netflix (e disponibile anche su Sky Glass, Sky Q e Now), Il Giardiniere (El Jardinero in originale) è una miniserie thriller in sei episodi creata da Miguel Sáez Carral, autore già noto per Ni una más. La regia è affidata a Miker Rueda, che costruisce una tensione costante in una storia dove i sentimenti si seppelliscono nella terra, insieme ai cadaveri. La storia segue Elmer (interpretato da Álvaro Rico, volto noto di Élite), un giovane uomo che gestisce un vivaio con sua madre, La China Jurado (Cecilia Suárez). Ma il vivaio è solo una facciata. Elmer è un sicario su commissione, addestrato fin da piccolo dalla madre, una donna calcolatrice e manipolatrice che ha sfruttato una sua fragilità psicologica a proprio vantaggio. Dopo un trauma infantile, Elmer ha smesso di provare emozioni. Nessun rimorso, nessun attaccamento. È il killer perfetto, e la madre lo usa per eliminare persone su richiesta, seppellendole tra le serre e le piante. Un’azienda familiare dell’orrore.
Ma qualcosa cambia. Durante una delle sue “missioni”, Elmer incontra Violeta (Catalina Sopelana), una maestra d’asilo che diventa una variabile non prevista nel suo algoritmo emotivo. Violeta non doveva sopravvivere. Ma Elmer non riesce a ucciderla. Qualcosa si muove dentro di lui. Un sentimento. O forse un’illusione di sentimento. Ed è qui che l’intero castello di carte costruito da La China comincia a tremare.
Per la prima volta, Elmer si rifiuta di obbedire. E per la prima volta, è pronto a tradire sua madre. Il vero cuore nero della storia, però, è La China Jurado. È lei che tiene le fila. È lei che prega ogni giorno sua madre morta, come se fosse una divinità da supplicare, ma agisce sempre e solo in base a ciò che serve a lei. Elmer per lei è uno strumento, un mezzo per fare soldi e riacquistare la villa in Messico da cui era stata cacciata.
Il rapporto madre-figlio qui è il centro della narrazione. Ma non è amore, non è protezione. È un dominio psicologico mascherato da cura. Una maternità che diventa gabbia, veleno, manipolazione.
Uno degli elementi più discussi della miniserie è come vengono rappresentate le figure femminili. Non ci sono “salvatrici”. Né madri amorevoli, né eroine. Sono tutte, a loro modo, portatrici di un’umanità corrotta. Perfino Violeta – che dovrebbe essere il contraltare dolce e puro – mostra sfumature più ambigue. La poliziotta che indaga sulle sparizioni, invece, è guidata più dall’ossessione e dal bisogno personale che da un reale desiderio di giustizia.
È come se la serie volesse dire: non importa il genere, importa cosa ne fai del tuo potere sugli altri.
Elmer: Álvaro Rico
Violeta: Catalina Sopelana
Violeta: Anche Mon lo hai fatto sparire tu? Quanti altri?
Elmer: Undici.
Violeta: Perché non hai ucciso me?
Elmer: Non ho potuto. Ti ho studiata. Sapevo che saresti andata con Milki nel bosco.
Violeta: Come intendevi farlo?
Elmer: L’importante è che non ho potuto. Mi hai baciato.
Violeta: E baciarti mi ha salvato la vita?
Elmer: Ha cambiato tutto.
Violeta: Che cosa è cambiato?
Elmer: Me. E’ cambiato tutto in me. So che hai trentadue lentiggini sul viso, 13 macchie nell'iride sinistro e che quando ti innervosisci tendi a morderti il labbro inferiore.
Violeta: Non eri mai stato innamorato?
Elmer: No. Penserai che sono un mostro raro.
Violeta: Per niente.
Questo dialogo è uno dei momenti più intensi e disarmati di Il Giardiniere. Non ha la struttura di uno scontro o di una confessione in senso classico, ma si avvicina più a una rivelazione reciproca, dove verità pericolose e sentimenti autentici convivono nello stesso spazio. È una scena che mette Elmer e Violeta completamente a nudo, ognuno nel proprio modo: lui, con la sua precisione ossessiva e spiazzante; lei, con la fragilità di chi sceglie di non giudicare.
Siamo ormai a un punto di svolta narrativa ed emotiva della serie. Violeta sa. Non può più far finta. Elmer è un assassino, e lo è stato anche prima di conoscerla. Le sue mani sono sporche. Ma invece di fuggire o reagire con rabbia, Violeta chiede. Vuole capire, e questo gesto – semplice solo in apparenza – è un atto di apertura molto più radicale di qualunque dichiarazione d’amore.
Violeta: “Anche Mon lo hai fatto sparire tu? Quanti altri?”
La domanda è diretta. Non c’è rabbia nella sua voce, solo un’urgenza di verità. Violeta ha bisogno di mettere insieme i pezzi. Ma è anche un modo per testare il limite: fino a dove può andare questa relazione? Cosa può sopportare?
Elmer: “Undici.”
Una sola parola. Secca. Nessuna giustificazione. Nessun tentativo di minimizzare. Questa franchezza ha un effetto disturbante ma anche stranamente onesto. È la verità che Violeta ha chiesto, e ora la deve contenere.
Violeta: “Perché non hai ucciso me?”
La domanda centrale. Il cuore pulsante della scena. È anche, in un certo senso, la domanda che riassume l’intera serie. Perché Elmer, freddo, programmato, infallibile, ha fallito con lei?
Elmer: “Non ho potuto. Ti ho studiata. Sapevo che saresti andata con Milki nel bosco.”
Elmer confessa di averla seguita, analizzata. È una rivelazione disturbante, quasi da stalker. Ma poi aggiunge: “L’importante è che non ho potuto. Mi hai baciato.” Ed è qui che il tono cambia. Elmer riconosce che qualcosa si è spezzato nel momento in cui ha ricevuto un gesto spontaneo, non calcolato. Un bacio, semplice e umano, ha rotto il meccanismo.
Violeta: “E baciarti mi ha salvato la vita?”
Questa battuta è affilata. Violeta cerca una risposta, ma la domanda è anche carica di inquietudine: bastava un attimo in meno, un gesto in meno, e sarei morta?
Elmer: “Ha cambiato tutto.”
La risposta non è rassicurante, ma è vera. Elmer non sta dicendo “ti ho amata subito”. Sta dicendo: qualcosa in me si è rotto, e nulla è stato più come prima.
Violeta: “Che cosa è cambiato?”
Questa è la domanda più semplice, eppure la più pericolosa. Violeta vuole sapere se Elmer è ancora Elmer. Se l’uomo che ha di fronte è quello che l’ha osservata per ucciderla, o quello che ora sta tremando davanti a lei.
Elmer: “Me. È cambiato tutto in me.”
Ed ecco la risposta che fa saltare ogni difesa. Elmer non parla più da macchina. Non parla più da killer. È un uomo che ha sentito qualcosa, e che ora lo riconosce come parte di sé. Non dice “mi sono innamorato”, ma è lì che stiamo andando.
Elmer: “So che hai trentadue lentiggini sul viso, 13 macchie nell'iride sinistro e che quando ti innervosisci tendi a morderti il labbro inferiore.”
Questo è uno dei momenti più potenti del dialogo. La precisione ossessiva di Elmer – che ricorda dettagli insignificanti per chiunque altro – diventa una forma di amore primitivo. Non sa dire “ti amo” nel modo classico, ma lo dice così: attraverso l’attenzione assoluta, quasi maniacale.
Qui, il linguaggio del killer si trasforma. Quello che prima era osservazione per colpire, ora è osservazione per custodire.
Violeta: “Non eri mai stato innamorato?”
Una domanda tenera, semplice, che però ha un peso enorme: è un modo per riportare Elmer all’umano. Per chiedergli: sei nuovo a tutto questo, vero?
Elmer: “No. Penserai che sono un mostro raro.”
Qui Elmer si espone completamente. La sua paura non è più quella di fallire una missione. È quella di non essere amato. Di essere troppo compromesso per essere voluto. Una confessione che mostra quanto il sentimento lo stia cambiando più di ogni intervento medico. Violeta: “Per niente.”
E con questa risposta, Violeta fa la scelta. Sceglie di non avere paura di lui. Non lo scusa, non lo giustifica, ma lo accetta. Ed è qui che Il Giardiniere fa qualcosa di inaspettato: mostra l’amore come atto di ascolto radicale, non di redenzione. Non c’è salvezza promessa, ma un presente condiviso, per quanto fragile.
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