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~ LA REDAZIONE DI RC
La serie Storia della mia famiglia racconta il viaggio emotivo di Fausto (Eduardo Scarpetta), un padre single che, dopo la diagnosi di una malattia terminale, si trova a dover garantire un futuro sereno ai suoi due figli, Libero ed Ercole. Il suo obiettivo è evitare che vengano affidati alla loro madre biologica, Sarah (Gaia Weiss), con cui ha un rapporto conflittuale e di cui non si fida. Mentre il tempo stringe, Fausto mette in moto una rete di protezione intorno ai suoi figli, coinvolgendo le persone più importanti della sua vita: sua madre Lucia (Vanessa Scalera), che da Napoli torna a Roma per assisterlo; suo fratello Valerio (Massimiliano Caiazzo), che lui stesso spinge a prendere il ruolo di riferimento familiare; e gli amici Maria (Cristiana Dell’Anna) e Demetrio (Antonio Gargiulo), che da sempre gli sono vicini.
La storia ruota attorno al dramma della malattia, ed esplora i rapporti difficili e le dinamiche complesse di una famiglia imperfetta, fatta di errori, incomprensioni e tentativi di riscatto. Lucia, la madre di Fausto, è una donna che ha sempre vissuto in modo indipendente, ma il dolore per il figlio la spinge a riconsiderare il proprio ruolo nella vita dei nipoti. Valerio, invece, lotta con una dipendenza dalla cocaina e con la difficoltà di prendersi responsabilità più grandi di lui. Il tono della serie mescola momenti di leggerezza a scene di grande intensità emotiva, mostrando come, anche nei momenti più difficili, la vita continui con la sua imprevedibile ironia. I personaggi non sono eroi, ma persone comuni che affrontano la vita come possono, cercando di fare del proprio meglio anche quando sembra impossibile.
Eduardo Scarpetta, nel ruolo di Fausto, interpreta un uomo che affronta il dolore con una forza quasi ostinata, mentre Vanessa Scalera dà vita a una madre che cerca un riscatto tardi nella vita. Massimiliano Caiazzo porta sullo schermo un giovane in conflitto con se stesso, mentre Cristiana Dell’Anna e Antonio Gargiulo offrono un supporto emotivo e narrativo fondamentale alla storia. Fausto costruisce un’eredità affettiva per i suoi figli, insegnando loro che la famiglia non è solo questione di sangue, ma di chi resta, di chi sceglie di esserci.
Demetrio: Antonio Gargiulo
Maria: Cristiana dell’Anna
Demetrio e Maria in macchina, fuori da un aeroporto.
Demetrio: Eccoci qua. A Mari, io poi c’ho pensato, è?
Maria: A che hai pensato.
Demetrio: Io ho pensato meglio alle cose che mi piacciono di te.
Maria: Ah…
Demetrio: Te le posso dire? A me mi piace… a me mi non si dice. Mi piace… che tu sei fragile. Che tu Maria sei come… un bicchiere fragile dentro a uno scatolone. Tu ti atteggi a fare la femmina forte, che sa sempre tutte le cose, ma la verità, Maria è che tu sei come me. Sei proprio come me. Siamo tutti e due sperduti e spaventati. E allora io dico… mo… ma se tu un pò pensi che con me ci stai bene… Visto che io e te siamo due bicchieri fragili, sperduti, spaventati, in questo scatolone… io… io vorrei che… che noi diventassimo… aspetta…
Maria: Che diventiamo?
Demetrio: Aspetta un attimo che è importante che te lo faccio vedere.
Maria: Demè, io devo partire però.
Demetrio: lo so, però aspetta un attimo per favore. Io vorrei che noi diventassimo questo (mostra un pluriball)
Maria: Un pluriball…
Demetrio: Pluriball… Io voglio essere il tuo pluriball.
Maria: E’ una cosa molto bella, questa… Solo che Demè, io tengo proprio la guerra in capo. A essere sincera non so se…
Demetrio: No. Nonono, non c’è bisogno Maria. Tutta questa sincerità ci ha proprio infastidito, no? Tutti quanti che vogliono dire la verità per forza… non c’è bisogno.
Maria: Io però parto lo stesso.
Demetrio: E infatti. Maria tu devi partire. Io mica ti voglio fermare… Però dico che a un certo punto potresti pure… tornare… nò? Perché qui è difficile, però pure a o Chiapas è impegnativo, è?
Maria bacia sulla guancia Demetrio.
Maria: Questa cosa del pluriball del bicchiere, lo scatolo… Non è che l’ho capita benissimo, però mi piace. Non è che quando torno me la puoi spiegare un pò meglio?
Demetrio: Si.
Si baciano.
Questo dialogo tra Maria e Demetrio è un momento di grande tenerezza e vulnerabilità, in cui due personaggi che per tutta la serie hanno oscillato tra amicizia e attrazione finalmente si trovano a condividere un’intimità autentica.
La scena è costruita su un equilibrio delicato: da un lato, c’è il desiderio di Demetrio di dichiarare i suoi sentimenti, dall’altro, la consapevolezza di Maria di dover partire, di dover ancora risolvere dentro di sé delle questioni irrisolte. Il loro scambio è fatto di esitazioni, di battute leggere e di una metafora insolita—quella del pluriball—che diventa simbolo della loro possibile unione.
Il dialogo si apre con un’atmosfera quotidiana e familiare. Demetrio e Maria sono in macchina, lui parcheggia. Non c’è nulla di epico o costruito, è una scena semplice, reale, che rende il loro confronto ancora più spontaneo.
Demetrio prende la parola con un tono esitante, ma sincero: “A Mari, io poi c’ho pensato, è?” È chiaro che ha riflettuto su qualcosa di importante, e Maria, con la sua solita schiettezza, gli chiede subito “A che hai pensato?” Non c’è spazio per giri di parole tra loro.
Demetrio entra nel vivo del discorso con una delle frasi più belle del dialogo: “Io ho pensato meglio alle cose che mi piacciono di te.” Questo non è un classico elogio sentimentale, non sta facendo una dichiarazione d’amore tradizionale. Sta dicendo che ha osservato Maria, che ha capito qualcosa di lei, e che vuole condividerlo.
E qui arriva la metafora centrale della scena: “A me mi piace… a me mi non si dice. Mi piace… che tu sei fragile. Che tu Maria sei come… un bicchiere fragile dentro a uno scatolone.” La scelta di parole è poetica nella sua semplicità. Maria appare forte agli occhi di tutti, una donna che si è sempre fatta carico dei problemi degli altri, ma Demetrio vede oltre. Vede la sua fragilità nascosta, il fatto che, proprio come lui, si sente smarrita e spaventata.
L’uso dello scatolone è significativo: un bicchiere fragile in uno scatolone rischia di rompersi se non è protetto. E Demetrio sta dicendo, in modo implicito, che anche lui si sente così. Non è un uomo sicuro di sé, non è qualcuno che ha tutte le risposte, ma proprio per questo crede che loro due possano capirsi, proteggersi a vicenda.
Poi arriva la proposta più genuina e goffa che si possa immaginare: “Io… io vorrei che… che noi diventassimo… aspetta…” C’è una dolcezza incredibile nella sua esitazione, nel cercare le parole giuste per esprimere ciò che sente.
Maria, curiosa, lo incalza: “Che diventiamo?” E qui Demetrio tira fuori il colpo di scena: il pluriball.
“Io vorrei che noi diventassimo questo.”
Maria reagisce con perplessità: “Un pluriball…” E chi non lo farebbe? È un paragone assurdo, buffo, ma profondamente tenero. Il pluriball serve a proteggere gli oggetti fragili, a non farli rompere. E Demetrio non sta dicendo altro che questo: “Io voglio essere il tuo pluriball.”
È un momento di vulnerabilità totale. Non è una dichiarazione romantica classica, non ci sono grandi frasi ad effetto. È una richiesta semplice: proteggiamoci a vicenda.
Maria, però, non è pronta a lasciarsi andare del tutto: “È una cosa molto bella, questa… Solo che Demè, io tengo proprio la guerra in capo.” Non respinge i suoi sentimenti, ma ammette di essere in un momento caotico, di non sapere se può permettersi di ricambiare. È una risposta sincera, che rispecchia la sua paura di lasciarsi andare.
Demetrio, invece di insistere, cambia registro e usa l’ironia: “No. Nonono, non c’è bisogno Maria. Tutta questa sincerità ci ha proprio infastidito, no? Tutti quanti che vogliono dire la verità per forza… non c’è bisogno.” È un modo per alleggerire il momento, ma anche per dire che, forse, non serve analizzare tutto.
Maria, però, resta ferma sulla sua decisione: “Io però parto lo stesso.”
E qui Demetrio mostra di aver capito davvero chi è Maria. “E infatti. Maria tu devi partire. Io mica ti voglio fermare…” Questo è il momento in cui dimostra il suo affetto in modo più profondo. Non cerca di trattenerla, non cerca di convincerla a restare. Accetta la sua scelta, ma lascia aperta una possibilità: “Però dico che a un certo punto potresti pure… tornare… nò?”
Il modo in cui lo dice è quasi casuale, ma dietro questa frase c’è tutto. Sta dicendo: Vai, fai quello che devi fare. Ma ricordati che io sono qui.
E poi aggiunge l’ultima battuta ironica: “Perché qui è difficile, però pure a o Chiapas è impegnativo, è?” Un’ultima stoccata per farla sorridere, per non rendere il momento troppo pesante.
Maria risponde con un gesto: lo bacia sulla guancia. È un segno di affetto, di riconoscenza. Non è ancora pronta a ricambiare pienamente i suoi sentimenti, ma quel gesto dice che le parole di Demetrio l’hanno colpita.
L’ultima battuta è bellissima: “Questa cosa del pluriball del bicchiere, lo scatolo… Non è che l’ho capita benissimo, però mi piace. Non è che quando torno me la puoi spiegare un pò meglio?”
Maria non promette nulla, ma lascia aperto uno spiraglio. Il suo modo di dire “quando torno” è già un segno di speranza.
Demetrio, con semplicità, chiude la scena: “Sì.”
E poi si baciano.
Questo dialogo è uno dei momenti più teneri della serie, perché riesce a parlare d’amore senza mai nominarlo direttamente. Demetrio non fa una dichiarazione eclatante, non dice “ti amo”, non usa parole drammatiche. Sceglie un’immagine buffa e geniale—il pluriball—per dire a Maria che vuole proteggerla. Maria, dal canto suo, non si butta subito tra le sue braccia. Resta fedele alla sua confusione, alla sua paura. Non si forza a rispondere con la stessa intensità, ma lascia la porta aperta.
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