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~ LA REDAZIONE DI RC
La serie Monster: La storia di Ed Gein ricostruisce in otto episodi una versione romanzata, disturbante e profondamente simbolica della vita del celebre assassino del Wisconsin, Ed Gein. Ambientata tra realtà e delirio, la serie ci immerge nella mente frammentata di un uomo dominato dalla figura opprimente della madre, dalla repressione sessuale, e da un’inquietante fascinazione per la morte.
Ed è un uomo solitario e visibilmente disturbato, che cresce in una casa isolata sotto il controllo assoluto della madre Augusta, ossessionata dalla purezza e dal peccato. A partire da un ambiente familiare malato e asfissiante, la serie ci accompagna attraverso le tappe più cupe della sua discesa: dall’omicidio del fratello alla necrofilia, passando per la realizzazione di oggetti con pelle umana, fino agli omicidi veri e propri.
Accanto a lui si muove Adeline, personaggio ambiguo e affascinato dal macabro, e sullo sfondo compaiono figure storiche come Alfred Hitchcock, Anthony Perkins, Ilse Koch e Christine Jorgensen, tutte intrecciate nel racconto come riflessi culturali delle ossessioni e dei traumi di Ed.
Tra realtà storica, suggestioni cinematografiche e viaggi mentali, la serie disegna un ritratto inquietante e doloroso di un uomo spezzato, trasformato suo malgrado in un’icona del male e in una fonte d’ispirazione per il cinema dell’orrore.
Nel finale, ormai anziano e rinchiuso da anni in un ospedale psichiatrico, Ed Gein viene interpellato per aiutare le autorità a identificare un nuovo serial killer. Sorprendentemente, grazie alla sua “esperienza” e a una lettera ricevuta, fornisce informazioni cruciali per catturare un giovane assassino. Nessuno, però, si congratula con lui.
Ed si sente abbandonato, e precipita di nuovo nelle sue visioni.
Scopre poi di avere un cancro ai polmoni e gli restano solo due mesi di vita. In questo breve tempo, ripercorre mentalmente la sua storia, tra lettere, allucinazioni e confronti interiori.
Riceve anche la visita di Adeline, che, come lui, si porta dentro un abisso personale. Si salutano con affetto, riconoscendosi simili ma non uguali.
Nell’ultima scena, Ed muore. Lo vediamo in una visione finale, sereno e giovane, accanto a sua madre in veranda. Lei gli sussurra: “Solo una madre può amarti”. Un epitaffio perfetto per una serie che, fin dal primo fotogramma, ci ha parlato del bisogno d’amore e delle sue deformazioni più oscure.
Ed Gein: Charlie Hunnam
Christine Jorgensen: Alanna Darby
Christine Jorgensen: Pronto?
Ed Gein: Salve Christine.
Christine Jorgensen: Con chi parlo?
Ed Gein: Sono Ed Gein.
Christine Jorgensen: Non conosco un Ed Gein.
Ed Gein: Si, eccome. Sono il macellaio di Plainfield. Credo mi chiamino così. O forse… il mostro.
Christine Jorgensen: Che cosa vuole da me.
Ed Gein: Prima di tutto sono il suo più grande ammiratore. Al momento mi trovo in un ospedale psichiatrico, ma la seguo da quando ha scelto di essere una signora. Io l trovo una persona straordinaria.
Christine Jorgensen: E’ gentile Ed. Molte grazie. Le invierò un LP della mia musica allora, con tanto affetto.
Ed Gein: No. No, aspetti. Il mio dottore vuole che parli con lei.
Christine Jorgensen: Perché?
Ed Gein: Perché potrei essere… transessuale. E lui ha pronunciato, Christine jorgensen, e io ho detto si La seguo da un pò, quindi speravo di poterle fare un paio di domande se lei è d’accordo.
Christine Jorgensen: Come mai è certo che io e lei abbiamo qualcosa in comune?
Ed Gein: Beh, io… ho un serpente nei calzoni. E… mi sento… non so come… se fosse disconnesso da me.
Christine Jorgensen: Da quanto ha questa percezione.
Ed Gein: Fin dall’infanzia. Madre mi scoprì mentre mi trastullavo. Lo aferrò e lo strinse come una morsa. Credevo volesse staccarmelo. Forse ho cominciato a sentire la necessità di liberarmene, come se ne è liberata lei, è così.
Christine Jorgensen: Si, ma l’ho fatto perché era quello che volevo, signor Gein. In seguito ha sentito ancora il… bisogno di farne a meno?
Ed Gein: Del mio birillo? No, non credo. Io posso farci tante cose, sono anche diventato bravo a schizzare. Non ho mai sentito qualcuno a cui questo non piacesse.
Cosa le fa pensare di essere transessuale, signor Gein.
Ed Gein: Tra le mani ho avuto delle parti femminili. So che suona strano.
Scusi, non la seguo.
Ed Gein: Delle vulve. Come le ho ottenute è un’altra storia. E le ho messe vicino a me. Molto vicino. E poi… ecco… ho ballato un pò. Perché ho creato un vestito.
Christine Jorgensen: Non… non riesco a capire. Scusi, che genere di vestito?
Ed Gein: Un vestito da donna. Da indossare per sentirmi una signora.
Pausa.
Ed Gein: Mi sente.
Christine Jorgensen: Eh… signor Gein. Io non sono un medico, e consapevolezze del genere si consapevolezze del genere si raggiungono dopo anni e anni di attenta analisi. Ma Christine Jorgensen: Ed, non… non credo ch ele nostre storie si somiglino. No, tutt’altro.
Ed Gein: Capisco.
Christine Jorgensen: Perché l’hanno messa in un ospedale psichiatrico, che cosa ha fatto?
Ed Gein: Dicono che ho ucciso delle persone. Che… che ho riesumato dei corpi in un cimitero. Ecco, Christine, l’ultima parte è vera. Ma… non credo di aver anche commesso degli omicidi.
Christine Jorgensen: Ascolti, beh… Di rado una persona transessuale perpetra violenza, signor Gein. Mi creda, di solito noi siamo le vittime di violenza. Non credo che in fondo lei sia una donna, Ed. Non credo che voglia nemmeno diventarlo. Lei è ciò che si definisce un ginefilo. Erotizza a tal punto il corpo femminile che desidera indossarlo, si, trovarsi al suo interno. Questa non è un’identità ma una sessualizzazione. E’ un atto violento. E’ il modo più aggressivo di violare la femminilità, perché nell’approccio tradizionale è stato… beh, inibito da una madre oppressiva. Ed, le ho dato la mia opinione in merito ma… beh, ora devo darle la buonanotte. Le auguro ogni bene.
Pausa.
Christine Jorgensen: E’ ancora lì?
Ed Gein: Si. Sono qui. Io mi sento come un puzzle. Nessun pezzo si incastra. Nessun pezzo si incastrerà mai, temo.
Christine Jorgensen: Addio, Ed.
EdGein: Addio, Christine.
Il confronto tra Ed Gein e Christine Jorgensen è uno dei passaggi più delicati, controversi e densi di significato della serie Monster. In apparenza, i due personaggi condividono una riflessione sull’identità e sul corpo. Ma il dialogo si sviluppa su due binari profondamente diversi che non si incontrano mai davvero: l'autenticità del percorso di Christine e la devianza psichica e parafilica di Ed. Il dialogo avviene attraverso un apparecchio radio, una tecnologia che nella serie è spesso simbolo di illusione, una connessione che Ed immagina e forse costruisce nella propria mente dissociata. La radio diventa così un mezzo non solo per comunicare, ma per proiettare desideri, fantasie e per cercare conferme in un mondo che non riesce più a decodificare.
Fin dalle prime battute, Gein cerca di stabilire un contatto emotivo: "Sono il suo più grande ammiratore." Ma il vero obiettivo è più profondo: Ed cerca una giustificazione per il proprio comportamento, uno schema in cui incasellare la sua devianza. Confessa al dottore e poi a Christine di pensare di essere “transessuale”. Non lo dice con orgoglio né come affermazione di sé, ma come tentativo disperato di dare un nome a ciò che non riesce a comprendere. "Io ho un serpente nei calzoni. E… mi sento… non so come… se fosse disconnesso da me." Questa frase è cruciale: rivela la dissociazione corporea, ma non nel senso di una disforia di genere. È un rapporto traumatico con il proprio corpo, segnato da abusi, repressione e colpa.
Il momento più disturbante arriva con il racconto dell’infanzia: "Madre mi scoprì mentre mi trastullavo. Lo afferrò e lo strinse come una morsa. Credevo volesse staccarmelo." Questo passaggio spiega l’origine del suo distacco dal corpo e dalla sessualità. Il trauma viene interiorizzato come odio verso il proprio sesso, che Gein tenta poi di “cancellare” attraverso rituali violenti e dissociativi, tra cui la creazione del vestito da donna fatto con parti umane.
Quando racconta: "Ho creato un vestito da donna. Da indossare per sentirmi una signora." non sta descrivendo una transizione, ma una messa in scena macabra, un’appropriazione del femminile come oggetto, come pelle da indossare, non come identità da vivere. Christine Jorgensen non si presta al gioco. La sua risposta è netta, fredda, inequivocabile: "Ed, non credo che le nostre storie si somiglino. No, tutt’altro." Questa frase segna il vero punto di rottura. Christine, donna trans, diventata un’icona per il suo coraggio e per la dignità con cui ha affrontato la sua trasformazione, non vuole essere accostata alla devianza di Gein. Non c’è comprensione né connessione possibile.
E più avanti affonda: "Lei è ciò che si definisce un ginefilo. Erotizza a tal punto il corpo femminile che desidera indossarlo. [...] Questa non è un’identità ma una sessualizzazione. È un atto violento." Christine fa qui un distinguo fondamentale: non tutto ciò che riguarda il corpo e il travestimento è transizione. Gein non è una donna intrappolata nel corpo di un uomo, ma un uomo che vuole penetrare, controllare e violare l’essenza stessa del femminile, trasformandola in un oggetto da possedere.
Dopo la spiegazione lucida e dolorosa di Christine, Gein resta in silenzio. Poi, in un momento di straordinaria verità emotiva, dice: "Io mi sento come un puzzle. Nessun pezzo si incastra. Nessun pezzo si incastrerà mai, temo." È un’ammissione profonda di alienazione, frammentazione, incapacità di esistere in un’identità coerente. È anche il riconoscimento che nemmeno questa nuova etichetta – “transessuale” – può salvarlo dalla sua condizione. Nessun “pezzo” che prova a incollare a sé riesce a farlo sentire completo. Il rifiuto di Christine, giustificato e razionale, non fa che confermare il suo isolamento irreversibile.
Il saluto finale – “Addio, Christine” / “Addio, Ed” – suona come la chiusura definitiva di una porta. Per Christine è una necessaria separazione, per Ed è l’ennesima conferma della sua impossibilità di essere accolto in qualunque comunità, anche in quella che credeva affine.
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