Unisciti alla nostra Community Famiglia! Compila il "FORM" in basso, inserendo il tuo nome e la tua mail, ed entra nell'universo di Recitazione Cinematografica. Ti aspettiamo!
Articolo a cura di...
~ LA REDAZIONE DI RC
La storia segue Modesta, una ragazza nata nella Sicilia più arcaica e brutale, in un casolare che sembra il punto esatto dove la civiltà si è fermata. Violenza, miseria, ignoranza, desiderio inespresso: è questo il brodo in cui cresce. E non è una sopravvissuta modello: Modesta è un personaggio disturbante, ambiguo, violento. Una che non perdona e non dimentica. Una che impara che l’amore può essere tossico e il potere una forma di sopravvivenza. E decide di usarli entrambi. Dopo l’abuso subito dal padre, Modesta fugge. Un incidente “accidentale” le porta via la famiglia. Il primo segno che in lei la moralità è un concetto sfumato, non un dogma. Finisce in un convento per nobildonne, dove viene accolta dalla madre superiora Eleonora – interpretata da una Jasmine Trinca che riesce a incarnare perfettamente l’ambiguità tra rigore e desiderio represso. Qui Modesta impara, osserva, cresce, si educa. Ma non si redime: si trasforma.
Modesta vuole tutto. Non una piccola libertà, non una parità di facciata. Vuole possedere la vita. Vuole il piacere, il potere, la ricchezza, la bellezza, l’amore, il controllo. E se per ottenerli deve mentire, manipolare, sedurre, uccidere, tradire... lo farà. Ma mai senza consapevolezza. Mai per disperazione. Sempre per affermazione. Nel corso della serie – sei episodi diretti da Valeria Golino e Nicolangelo Gelormini – la vediamo scalare la società come un animale intelligente, capace di adattarsi a ogni ambiente. Dall’orfana sporca di terra alla padrona di una villa aristocratica, passando per noviziato, bordelli e salotti dell’alta società, Modesta recita un copione che scrive da sola, scena dopo scena. Nessun personaggio è al sicuro intorno a lei. Nessuna emozione è sacra, se non quella che la avvicina a ciò che desidera. Quello che L’arte della gioia riesce a fare, e che pochissime serie italiane hanno mai fatto, è mantenere un equilibrio costante tra esperienza concreta e dimensione simbolica. Ogni scena è reale e, insieme, archetipo.
Ogni gesto è carne e mito. La sessualità di Modesta, ad esempio, non è raccontata come trasgressione, ma come linguaggio. È lo strumento con cui si riappropria di sé e degli altri. È l’arma e la carezza, lo strumento di conquista e il luogo di perdita. La serie – come il romanzo di Goliarda Sapienza da cui è tratta – non ci chiede di amare Modesta. Ci obbliga a guardarla. Anche quando è crudele. Anche quando ci disturba. Anzi, proprio lì sta il punto: è una donna che rifiuta la funzione consolatoria del “femminile”. Non vuole essere “compresa”. Vuole esistere. E questo, ancora oggi, è scomodo.
PRINCIPESSA BRANDIFORTI: Valeria Bruni Tedeschi
MODESTA: Tecla Insolia
MODESTA: Non andrà così. Questo bambino è la prima cosa mia. E non è l'elemosina di nessuno.
PRINCIPESSA BRANDIFORTI: Io sono il tuo ultimo ostacolo.
MODESTA: Sì.
PRINCIPESSA BRANDIFORTI: Perderai tutto, lo sai?
MODESTA: Io posso fare a meno dei vostri soldi. Delle vostre comodità. Penso a Beatrice, a Ippolito, non solo a mio figlio. Dobbiamo vivere. Non restare chiusi dentro queste stanze di morti.
PRINCIPESSA BRANDIFORTI: Questa tua pazzia...volontà di vita...
MODESTA: Contro la sua pazzia, volontà di morte.
PRINCIPESSA BRANDIFORTI: E io che pensavo che mi volessi bene.
MODESTA: Ma io le voglio bene...glielo giuro. Io vorrei essere come lei.
PRINCIPESSA BRANDIFORTEI: Come lei, chi? Chi sono io? Qui...queste stanze pronte ad accogliere i miei morti sono...la principessa Brandiforti...ma domani? Sento già tutto il chiasso...le folle, alla porta dei palazzi...cani, come te. Feroci come te...ma più codardi di te. Che chiedono, che invocano...Una Sicilia nuova. Un'Italia nuova. Un uomo nuovo. In nome della giustizia. Tutto questo muoversi, questo affannarsi...questo cercare di afferrare un pò di vita...di difenderla fino allo stremo. Che pena. Che pena. Questa vecchiezza...è un'autentica rovina. Sapessi come ero allegra quando ero bambina. Ridevo, ridevo, ridevo. Ero davvero gaia. E sia. Dammi da bere. Avrò diritto di andarmene.
Questo dialogo, tratto dal sesto episodio de L’arte della gioia, è uno dei momenti emotivamente e simbolicamente più densi di tutta la miniserie. Siamo nel pieno dello scontro finale tra Modesta e la principessa Brandiforti: due donne, due mondi, due epoche, due visioni della vita che si affrontano non con armi, ma con parole che bruciano, che scolpiscono identità e svelano abissi. È un vero e proprio duello verbale carico di tensione emotiva, ideologica e storica.
“Non andrà così. Questo bambino è la prima cosa mia. E non è l’elemosina di nessuno.” Qui Modesta si rivendica. Non solo il diritto alla maternità, ma anche il possesso di sé stessa. Questo bambino non è solo un figlio biologico: è l’incarnazione di un’esistenza autonoma, non più derivata, non più rubata o concessa da altri. È un punto fermo, un atto di creazione che spezza una catena millenaria: quella del potere che passa sempre da qualcun altro. Non è l’elemosina di nessuno = non è frutto di una concessione, ma di una volontà.
“Io sono il tuo ultimo ostacolo.”
“Sì.”
La principessa sa di rappresentare il residuo di un mondo che sta finendo, l’ultimo muro da abbattere. E Modesta lo riconosce, ma non con odio, bensì con lucidità. L’“ostacolo” non è solo individuale, è storico e simbolico: è il vecchio ordine, l’aristocrazia che si crede ancora immortale, mentre tutto attorno sta cambiando.
“Perderai tutto, lo sai?” Questa è la minaccia di chi è abituata a identificare il “tutto” con ciò che possiede: status, soldi, sicurezza. Ma per Modesta, il “tutto” è un’altra cosa. E infatti la risposta arriva subito dopo: “Io posso fare a meno dei vostri soldi. Delle vostre comodità. Penso a Beatrice, a Ippolito, non solo a mio figlio. Dobbiamo vivere. Non restare chiusi dentro queste stanze di morti.”
Modesta non accetta lo scambio: comodità in cambio di obbedienza. Il suo orizzonte è più ampio. Qui c’è un punto chiave: la differenza tra sopravvivere e vivere. Le “stanze di morti” sono metafora potente: rappresentano l’immobilità, il privilegio conservato a costo dell’anima, la nobiltà decadente che si è chiusa in sé stessa per paura del mondo. E Modesta lo rifiuta.
“Questa tua pazzia... volontà di vita...”
“Contro la sua pazzia, volontà di morte.”
Questo scambio è il cuore dell’intero dialogo. La volontà di vita di Modesta – audace, scabrosa, istintiva – si contrappone alla volontà di morte della principessa, che si è arresa alla fine, all’entropia, all’immobilismo. C’è qui un’eco nietzschiana: la “volontà di potenza” che spinge Modesta a creare il proprio destino, anche a costo di sporcarsi le mani.
“E io che pensavo che mi volessi bene.” “Ma io le voglio bene...glielo giuro. Io vorrei essere come lei.” Questa è una delle svolte più tragiche del dialogo. L’amore tra queste due donne è reale, ma è anche intrappolato in ruoli inconciliabili. C’è un affetto, forse un rispetto, forse una forma deviata di tenerezza, ma non può più bastare. Modesta vorrebbe essere come lei, forse per il suo carisma, per la sua eleganza, per la solidità apparente. Ma ormai le loro traiettorie sono troppo lontane.
“Come lei, chi? Chi sono io?” La principessa qui crolla. E questa domanda è una delle più devastanti del dialogo. Chi è lei ora? Un tempo era la principessa Brandiforti, matriarca, padrona, figura autoritaria. Ma in un mondo che sta cambiando, tutto questo non vale più. L’identità si sgretola, come il suo potere. Ed è proprio in questo momento che emerge la sua umanità. “Domani? Sento già tutto il chiasso… le folle… alla porta dei palazzi... cani, come te. Feroci come te... ma più codardi di te.” Questo è il punto più politico del discorso. La principessa sente arrivare il nuovo mondo: il popolo che bussa alle porte, che reclama diritti, che mette in discussione il privilegio. E lo teme. Eppure, riconosce a Modesta un coraggio superiore a quello della massa. Le folle sono “codarde”, ma Modesta no. È un cane, sì – nel senso più istintivo e ferino – ma è pura nella sua ferocia.
“Tutto questo muoversi… questo cercare di afferrare un po’ di vita... che pena.” Eccolo, il lamento aristocratico. Il disgusto per la vitalità altrui. La principessa, ormai logora e spenta, guarda chi vive con commiserazione. Ma in realtà sta proiettando la propria impotenza. È stanca, e non riesce più a sopportare chi invece ancora brucia di desiderio, fame, sogni. “Questa vecchiezza... è un’autentica rovina. Sapessi come ero allegra da bambina. Ridevo, ridevo, ridevo. Ero davvero gaia.” Un momento di disarmante sincerità. La principessa non è mai stata solo cinica o crudele. Era “gaia” – parola rara e perfetta – e ora non lo è più. È consapevole della propria decadenza. E in questa confessione c’è qualcosa di tragico, che la rende più vicina a noi, più vera. Non è solo il simbolo di un mondo che muore: è anche una donna che ha perso il proprio sé.
“E sia. Dammi da bere. Avrò diritto di andarmene.” E qui il commiato. La richiesta del bicchiere – sottinteso di veleno o di qualunque cosa ponga fine – è l’accettazione del tramonto. Non chiede di essere salvata, non cerca di trattenere Modesta. Riconosce che la battaglia è finita, che il suo tempo è finito. E che l’unica cosa che le resta è un gesto: bere e uscire di scena con dignità.
Le Migliori Classifiche
di Recitazione Cinematografica
Entra nella nostra Community Famiglia!
Recitazione Cinematografica: Scrivi la Tua Storia, Vivi il Tuo Sogno
Scopri 'Recitazione Cinematografica', il tuo rifugio nel mondo del cinema. Una Community gratuita su WhatsApp di Attori e Maestranze del mondo cinematografico. Un blog di Recitazione Cinematografica, dove attori emergenti e affermati si incontrano, si ispirano e crescono insieme.
Monologhi Cinematografici, Dialoghi, Classifiche, Interviste ad Attori, Registi e Professionisti del mondo del Cinema. I Diari Emotivi degli Attori. I Vostri Self Tape.