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~ LA REDAZIONE DI RC
The Electric State è un film di fantascienza diretto dai fratelli Russo e basato sull'omonima graphic novel di Simon Stålenhag. Ambientato in un 1994 alternativo, racconta di Michelle, una ragazza orfana che si avventura in un'America distopica alla ricerca del fratello Christopher, scomparso dopo un misterioso incidente. Ad accompagnarla c’è Cosmo, un robot che sembra avere un legame con lui. Se c’è una cosa che distingue l’opera di Stålenhag, e di conseguenza il film, è la sua estetica unica: un futuro che sembra il passato, in cui la tecnologia avanzata si mescola con un’America decadente fatta di centri commerciali abbandonati, automobili arrugginite e periferie polverose. I fratelli Russo, insieme al direttore della fotografia Trent Opaloch (già con loro in Avengers: Infinity War e Endgame), portano su schermo questa visione con un tocco quasi nostalgico, dove le luci al neon si riflettono su macchine fuori produzione e i vecchi schermi a tubo catodico trasmettono immagini di un mondo che non esiste più.
L’idea di una guerra tra umani e robot, risolta in pochi mesi grazie al Neurocaster, aggiunge un elemento cyberpunk alla narrazione. La tecnologia, invece di essere liberatoria, ha solo reso le persone più passive, immerse in mondi virtuali mentre la realtà si sgretola intorno a loro. Millie Bobby Brown, qui nel ruolo di Michelle, è il fulcro emotivo del film. Accanto a lei troviamo Chris Pratt nei panni di Keats, un contrabbandiere che richiama un po’ Han Solo, e Anthony Mackie nel ruolo del robot Herman.
Stanley Tucci: Ethan Skate
Giancarlo Esposito: Marshall
Marshall: Molto commovente, signor Skate. Solo una cosa: lei è un assassino.
Ethan Skate: Discutibile.
Marshall: E… mi ha mentito. Non è un robot.
Ethan Skate: Il suo nome è christopher Greene.
Marshall: Mi ha fatto dare la caccia a un ragazzo.
Ethan Skate: Senta, colonnello Bradbury, o Macellaio, se mi permette, come posso spiegarle… che importa? Che importa! Quella guerra che ha vinto, il suo record di uccisioni, non è stato lei… sono stato io. E questo ragazzo. Lei è solo un testimone della storia.
Marshall: Questa sarebbe “storia”?
Ethan Skate: Perché, preferirebbe “evoluzione”? Il nostro mondo è un caos totale, che galleggia su un oceano di piscio. Lo è sempre stato. Christopher dà all’umanità di lasciarsi questa sofferenza alle spalle.
Marshall: Secondo la mia esperienza la sofferenza e la vita vanno di pari passo.
Ethan Skate: E anche la mia. Mia madre beveva tre bottiglie al giorno. Quando era ubriaca era cattiva, quando era sobria, era peggio, ma qui dentro lei è solo teneri abbracci e… peperoni ripieni. E pace. Voglio portare quell pace ad ogni persona qui sulla terra, ad eccezione di alcuni. E’ necessario un sacrificio, per far progredire la specie. Come era all’epoca? Ah, giusto: “Padre, figlio, spirito Santo”.
Marshall: E’ più che probabile che lei non sia sano di mente.
Ethan Skate: Di nuovo? Che importa. Ok, riportiamo Christopher nel posto che gli appartiene. E magari chiudiamo la porta a chiave, stavolta?
Questo scambio di battute tra Ethan Skate (Stanley Tucci) e Marshall (Giancarlo Esposito) rappresenta un momento chiave della narrazione di The Electric State. È il confronto tra due visioni del mondo opposte: da una parte Skate, il genio amorale che giustifica qualsiasi atrocità in nome del progresso; dall'altra Marshall, un uomo temprato dalla guerra ma ancora ancorato a un codice morale.
Marshall apre il dialogo con una dichiarazione secca: "Molto commovente, signor Skate. Solo una cosa: lei è un assassino." Questa frase stabilisce subito il tono del confronto. Skate è abile nel manipolare le parole e la percezione della realtà, ma Marshall non si lascia impressionare. La sua battuta, breve e diretta, dimostra che non è interessato alle giustificazioni di Skate, ma ai fatti.
Skate risponde con un ambiguo "Discutibile", il primo segnale che il personaggio non si considera vincolato da concetti etici assoluti. Per lui, il concetto di omicidio è una questione di prospettiva, non di morale.
Quando Marshall scopre che la sua missione consisteva nella caccia a un ragazzo, il suo senso di giustizia è ferito. Qui emerge il vero disprezzo di Skate per il soldato: "Senta, colonnello Bradbury, o Macellaio, se mi permette, come posso spiegarle… che importa? Che importa!" Il soprannome "Macellaio" è un colpo diretto alla coscienza di Marshall. Skate lo usa per ridurlo a un semplice strumento di guerra, cercando di demolire la sua pretesa di superiorità morale. "Quella guerra che ha vinto, il suo record di uccisioni, non è stato lei… sono stato io. E questo ragazzo. Lei è solo un testimone della storia."
Qui Skate ribalta il concetto stesso di eroismo: la guerra che Marshall crede di aver combattuto è stata decisa da qualcun altro, da lui e da Christopher. Marshall è uno spettatore di un evento più grande di lui. Marshall, incredulo, replica con una domanda che trasuda disprezzo: "Questa sarebbe 'storia'?" La sua visione è più tradizionale: la storia è fatta di eventi concreti, di scelte morali, non di manipolazioni scientifiche. Ma per Skate la storia non è altro che un pretesto per l’evoluzione: "Perché, preferirebbe 'evoluzione'? Il nostro mondo è un caos totale, che galleggia su un oceano di piscio. Lo è sempre stato." Questa battuta condensa il nichilismo di Skate.
Il mondo, secondo lui, è un sistema corrotto e insensato, e il suo compito è trascenderlo attraverso il progresso tecnologico. Ma il passaggio chiave arriva subito dopo:
"Christopher dà all’umanità il modo di lasciarsi questa sofferenza alle spalle." Qui Skate si mostra come un demiurgo che vuole riscrivere le regole dell’esistenza. Il sacrificio di Christopher è, secondo lui, un prezzo accettabile per il bene comune. Marshall è scettico e risponde con una frase che mostra il suo pragmatismo: "Secondo la mia esperienza la sofferenza e la vita vanno di pari passo." Per lui, la sofferenza è inevitabile. Skate, invece, rifiuta questa idea e introduce la sua motivazione personale: "E anche la mia. Mia madre beveva tre bottiglie al giorno. Quando era ubriaca era cattiva, quando era sobria, era peggio, ma qui dentro lei è solo teneri abbracci e… peperoni ripieni. E pace." Questo dettaglio rende Skate più umano, ma anche più inquietante. Il suo bisogno di controllo sulla realtà nasce da un trauma personale. La tecnologia, per lui, è un mezzo per correggere le ingiustizie della vita.
Ma il prezzo da pagare è altissimo:
"Voglio portare quella pace ad ogni persona qui sulla terra, ad eccezione di alcuni." Il messaggio è chiaro: la pace non è per tutti. Alcuni devono essere sacrificati. Qui il suo pensiero sfocia nell'eugenetica e nel controllo totale. A coronare il suo discorso, Skate utilizza un riferimento religioso: "Come era all’epoca? Ah, giusto: 'Padre, figlio, spirito Santo'." Questa frase è particolarmente significativa perché accosta la sua visione a un dogma religioso. Skate si vede come una divinità che porta la "salvezza" all’umanità, escludendo chi considera sacrificabile.
Marshall, invece, rifiuta questa visione con una frase che sembra quasi ironica, ma in realtà è una sentenza: "È più che probabile che lei non sia sano di mente." Questa chiusura è perfetta per il suo personaggio: Marshall non cerca di convincere Skate, non lo combatte con le sue stesse armi dialettiche. Semplicemente, lo liquida come un pazzo. Skate non si lascia scalfire e chiude il discorso con leggerezza: "Di nuovo? Che importa. Ok, riportiamo Christopher nel posto che gli appartiene. E magari chiudiamo la porta a chiave, stavolta?" Ancora una volta, per lui il concetto di giusto e sbagliato non ha valore. Christopher è solo una risorsa da sfruttare e, se necessario, da tenere prigioniero.
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