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~ LA REDAZIONE DI RC
Adolescence è una miniserie che non si limita a raccontare un fatto di cronaca, ma scava nelle dinamiche sociali che lo hanno reso possibile. Il punto di partenza è l’omicidio di una ragazza da parte di un suo compagno di classe, ma il focus si sposta immediatamente sul contesto che ha portato a questa tragedia: il bullismo, il cyberbullismo e l’influenza della sottocultura incel sui ragazzi più giovani. La narrazione è costruita attraverso quattro episodi, ognuno ambientato in un’unica location e girato in piano sequenza, per restituire un senso di immediatezza e immersione totale. Ogni episodio è un frammento di una realtà che non si può ignorare.
Episodio 1 – L’arresto: l’orrore dell’irreversibile
L’incipit è un pugno nello stomaco. La polizia irrompe nella casa della famiglia Miller e arresta Jamie, tredicenne, con l’accusa di omicidio. Lui piange, urla di essere innocente, la sua famiglia è sotto shock. Ma poi le prove vengono mostrate: un filmato di una telecamera di sicurezza lo ritrae mentre segue Katie, litiga con lei e la pugnala sette volte. Il padre Eddie, interpretato da Stephen Graham, si trova costretto a confrontarsi con qualcosa di impensabile: suo figlio è un assassino. La casa dei Miller diventa il primo spazio chiuso in cui il trauma si consuma, uno spazio che simboleggia il nucleo familiare che sta per crollare sotto il peso dell’inimmaginabile.
Episodio 2 – La scuola: il caos e l’indifferenza
Tre giorni dopo l’omicidio, ci spostiamo nella scuola frequentata da Jamie e Katie. Qui vediamo il riflesso più diretto del problema: un’istituzione incapace di gestire i suoi ragazzi, un ambiente dove il bullismo è la norma e non l’eccezione. Gli studenti non sono solo spettatori della tragedia: alcuni la ridicolizzano, altri la strumentalizzano. È in questo contesto che scopriamo un dettaglio importante: Katie stessa aveva bullizzato Jamie, accusandolo pubblicamente di essere un incel. Questo non giustifica nulla, ma aggiunge uno strato complesso alla vicenda. Non si tratta solo di un ragazzo problematico che agisce in solitudine, ma di una realtà sociale in cui i ruoli di vittima e carnefice si mescolano.
Episodio 3 – La psicologa: il labirinto mentale di Jamie
Sette mesi dopo, Jamie si trova in una struttura psichiatrica minorile. Qui entra in gioco Briony Ariston, la psicologa che deve stilare un profilo del ragazzo. L’episodio è il più inquietante: Jamie oscilla tra momenti di apparente normalità e scatti di violenza, mentre la sua mentalità si svela in tutta la sua distorsione. Qui viene approfondito il ruolo della sottocultura incel nella sua radicalizzazione. Jamie è convinto di essere "brutto", di non poter mai avere una ragazza. Quando Katie viene bullizzata per una foto intima diffusa senza il suo consenso, lui pensa che finalmente abbia perso il suo “valore” e che possa accettarlo. Quando lei lo rifiuta, scatta la rabbia. Il momento più disturbante arriva quando Jamie afferma che gli altri compagni avrebbero potuto violentare Katie, mentre lui si è “limitato” a ucciderla. Il suo tono è quello di qualcuno che si considera superiore agli altri nel suo stesso abisso di misoginia. Questo è il punto di rottura per la psicologa, che interrompe le sedute con lui.
Episodio 4 – La famiglia: il dopo, che non è mai un dopo
Tredici mesi dopo, la famiglia di Jamie cerca di riprendersi. Ma la società non dimentica. Il padre Eddie è diventato un bersaglio, vittima di vandalismi e disprezzo pubblico. Ma c’è anche chi lo avvicina per dirgli di non vergognarsi, perché “Jamie aveva ragione”. È qui che la serie mostra uno dei suoi spunti più agghiaccianti: la misoginia non è un fenomeno isolato, esiste un tessuto sociale che la alimenta e la legittima. La scena più potente dell’episodio è la telefonata di Jamie, che comunica ai suoi genitori di voler dichiararsi colpevole. È il primo atto di consapevolezza da parte sua, ma arriva troppo tardi. Eddie e Manda, i suoi genitori, si rendono conto che avrebbero dovuto capire prima, che avrebbero dovuto prestare attenzione a cosa assorbiva online il loro figlio. Il senso di colpa si mescola al dolore.
Adolescence non offre una facile lettura del fenomeno. Non presenta Jamie come un mostro né cerca di giustificarlo. Mostra come un ragazzino, insicuro e isolato, possa diventare un assassino in un ambiente che non lo aiuta a gestire le sue emozioni. La sottocultura incel, che lui assimila senza filtri, gli fornisce una narrativa tossica: le donne non sono persone, ma premi che vengono negati ai "perdenti". L’episodio ambientato a scuola evidenzia la completa mancanza di empatia tra i ragazzi, cresciuti in un’era di iperconnessione digitale. Il bullismo non finisce più all’uscita da scuola: continua online, senza tregua. Katie e Jamie sono entrambi vittime di questo sistema, in modi diversi.
Gli adulti della serie non sono cattivi genitori o pessimi insegnanti. Sono disorientati. Non comprendono fino in fondo i mondi virtuali in cui vivono i ragazzi, non sanno come intervenire. Non hanno gli strumenti per fermare ciò che nemmeno riescono a vedere. Il discorso sulla misoginia è sottile ma implacabile. La serie mostra come certe idee siano pervasive, anche tra chi non arriva alla violenza fisica. Le ragazze della serie non sono vittime passive: a volte alimentano il sistema, senza rendersene conto. Ma il problema non è individuale, è strutturale.
Jamie: Owen Cooper
Dott.ssa Briony Ariston: Erin Doherty
Dott.ssa Briony Ariston: E adesso ti andrebbe di parlarmi un pò di tuo padre?
Jamie: Prima posso leggere i tuoi appunti? Quello che hai scritto, come lo hai scritto?
Dott.ssa Briony Ariston: Purtroppo no. Questa cosa non la puoi decidere. A tuo padre piace il suo lavoro?
Jamie: Lui aggiusta i cessi. Tu che pensi? Lavora tanto, per tante ore. Guadagna bene solo con gli interventi di emergenza.
Dott.ssa Briony Ariston: E' simpatico?
Jamie: Qualche volta.
Dott.ssa Briony Ariston: Affettuoso?
Jamie: No, direi di no.
Dott.ssa Briony Ariston: Nervoso?
Jamie: Sì, suppongo.
Dott.ssa Briony Ariston: Quanto si innervosisce?
Jamie: Non mi ha mai picchiato.
Dott.ssa Briony Ariston: Ok, continua.
Jamie: Continuo cosa? Ruota tutto intorno a questo?
Dott.ssa Briony Ariston: Perché pensi che sia nervoso?
Jamie: A volte si arrabbia. Tutti ci arrabbiamo.
Dott.ssa Briony Ariston: Ok, sì. Certo. Quindi è nervoso in modo normale.
Jamie: Beh. Ha buttato giù una tettoia una volta. Non lo avevo mai visto così arrabbiato. Ma non è mai più successo.
Dott.ssa Briony Ariston: Hai avuto paura?
Jamie: No, no...è stato divertente sul momento. Anche Lisa l'ha pensato, poi mia madre ci ha mandato di sopra. Non si era mai arrabbiato in qual modo. Non succede quasi mai.
Dott.ssa Briony Ariston: Cosa fa quando non lavora?
Jamie: Lo stai mettendo sotto esame.
Dott.ssa Briony Ariston: No, voglio solo sapere cosa pensi di lui. E' una presenza importante nella tua vita, è stato anche il tuo tutore legale.
Jamie: Sì, perché... non giudica mai. E' una persona gentile.
Dott.ssa Briony Ariston: Buono a sapersi. Quindi che cosa fa quando non lavora?
Jamie: Diciamo che gli piacciono tutti gli sport. Mia madre dice che gli piaceva guardare anche il bowling da prato.
Dott.ssa Briony Ariston: Guarderesti il bowling da prato con lui?
Jamie: No, non...non fa per me.
Dott.ssa Briony Ariston: Non ti piace lo sport?
Jamie: No.
Dott.ssa Briony Ariston: Nessuno?
Jamie: Beh...non sono bravo nello sport. Ma so saltare l'ora di ginnastica.
Dott.ssa Briony Ariston: Come fai a saltarla?
Jamie: Mal di testa, dolore alla gamba, mal di stomaco. "Mi gira la testa, posso stare seduto?". Cose così.
Dott.ssa Briony Ariston: E a tuo padre andava bene?
Jamie: Lui...a lui non...non l'ho mai detto. Sapeva che non ero...uno sportivo, o cose così. Io giocavo...mi portava a giocare a calcio. C'era...c'era la partita ogni sabato...e lui...lui veniva sempre a fare il tifo per me. Ma quando...quando sbagliavo...poi lui...lui si girava dall'altra parte.
Dott.ssa Briony Ariston: Faceva finta di non vedere?
Jamie: Può darsi, o...magari non voleva che lo vedessi così tanto...dispiaciuto.
Dott.ssa Briony Ariston: Dispiaciuto?
Jamie: Non lo so...era imbarazzato.
Dott.ssa Briony Ariston: Come ti sentivi quando lo vedevi imbarazzato?
Jamie: Mi dicevo che non era vero.
Dott.ssa Briony Ariston: Ah, sì?
Jamie: Sì. Mi dicevo in testa: "Oh, basta! Non è imbarazzato. Lo pensi solo tu, Jamie!".
Dott.ssa Briony Ariston: Jamie...
Jamie: "E' davvero quello che pensi?! Non può imbarazzarsi, non per suo figlio!"
Dott.ssa Briony Ariston: Le altre persone ti dicevano questo?
Jamie: E' solo la cosa giusta da dire!
Dott.ssa Briony Ariston: E non è una bugia?
Jamie: No. Non lo so, non amo dire bugie.
Dott.ssa Briony Ariston: Neanche a me piaceva fare sport a scuola.
Jamie: Ma tu...tu sarai stata brava a fare altro.
Dott.ssa Briony Ariston: Che cosa te lo fa pensare?
Jamie: Mi dai quest'impressione. E sei intelligente, quindi...
Dott.ssa Briony Ariston: Non pensavi di essere bravo a fare qualcos'altro?
Jamie: Non mi importava così tanto.
Dott.ssa Briony Ariston: Sarà stata una brutta sensazione...
Jamie: No. Molti si sentono così.
Dott.ssa Briony Ariston: Molti si sentono pessimi in tutto?
Jamie: Molti lo sono.
Questa conversazione tra Jamie Miller e la Dott.ssa Briony Ariston è il cuore dell’episodio 3 e rappresenta uno dei momenti più importanti dell’intera miniserie.
Briony cerca di scavare nel rapporto tra Jamie e suo padre, ma il discorso evolve, mostrando insicurezze, repressioni emotive e una percezione distorta di sé stesso che ci aiutano a comprendere – senza giustificare – il contesto in cui è maturata la sua violenza.
Il dialogo è costruito in tre fasi principali, ognuna delle quali porta alla luce una parte della personalità di Jamie:
La richiesta di controllo e il rapporto con il padre
Jamie tenta di assumere il controllo della conversazione chiedendo di leggere gli appunti della psicologa. Descrive suo padre in maniera frammentata, alternando giudizi neutri a dettagli che lasciano emergere un conflitto interiore.
Le insicurezze e il rifiuto del confronto
Jamie inizia a mostrare un senso di inadeguatezza rispetto allo sport e, più in generale, rispetto a qualsiasi competenza. Rivela una dinamica di vergogna nel rapporto con il padre: la paura di deluderlo, il senso di non essere abbastanza.
L’autosvalutazione e la negazione della sofferenza
Alla fine, Jamie si chiude in una convinzione autodistruttiva: molti sono pessimi in tutto, quindi non c’è niente di strano nel sentirsi così. È una difesa che usa per non ammettere il dolore del sentirsi inferiore, indesiderato e invisibile.
Dott.ssa Briony Ariston: E adesso ti andrebbe di parlarmi un po’ di tuo padre?
Jamie: Prima posso leggere i tuoi appunti? Quello che hai scritto, come lo hai scritto?
Dott.ssa Briony Ariston: Purtroppo no. Questa cosa non la puoi decidere.
Jamie inizia la conversazione con una richiesta di controllo. Vuole leggere gli appunti di Briony perché non si fida, perché sente il bisogno di sapere come lei lo sta interpretando. È un dettaglio importante: Jamie non vuole essere analizzato, vuole avere il controllo della narrazione su di sé. La risposta di Briony è chiara e ferma: “Questa cosa non la puoi decidere”. È una frase semplice, ma stabilisce immediatamente il potere della terapeuta e il fatto che Jamie dovrà confrontarsi con una realtà che non può manipolare.
Dott.ssa Briony Ariston: A tuo padre piace il suo lavoro?
Jamie: Lui aggiusta i cessi. Tu che pensi? Lavora tanto, per tante ore.
Guadagna bene solo con gli interventi di emergenza.
Jamie descrive il lavoro del padre con sarcasmo e distacco. C’è un senso di frustrazione e forse anche di vergogna nel parlare di lui. Il lavoro di suo padre non lo impressiona, non lo ispira, non lo vede come un modello.
Dott.ssa Briony Ariston: È simpatico?
Jamie: Qualche volta.
Dott.ssa Briony Ariston: Affettuoso?
Jamie: No, direi di no.
Dott.ssa Briony Ariston: Nervoso?
Jamie: Sì, suppongo.
Risposte brevi, poco elaborate. Jamie non si dilunga, come se cercasse di minimizzare il discorso. Ma il suo silenzio è più rivelatore delle sue parole.
Dott.ssa Briony Ariston: Quanto si innervosisce?
Jamie: Non mi ha mai picchiato.
Questa frase è fondamentale. Nessuno gli ha chiesto se il padre fosse violento, ma Jamie si sente in dovere di precisarlo, come se fosse una giustificazione. "Non mi ha mai picchiato" non significa che non abbia mai provato paura di lui.
Dott.ssa Briony Ariston: Ok, continua.
Jamie: Continuo cosa? Ruota tutto intorno a questo?
Qui Jamie si innervosisce. Non vuole essere ridotto a un caso clinico, non vuole essere spiegato con la solita formula "padre problematico = figlio problematico". È come se dicesse: "Sono più di questo, non cercare una scusa così banale per spiegare quello che ho fatto".
Jamie: Io giocavo... mi portava a giocare a calcio. C’era... c’era la partita ogni sabato... e lui... lui veniva sempre a fare il tifo per me. Ma quando... quando sbagliavo... poi lui... lui si girava dall’altra parte.
Qui emerge un aspetto chiave della relazione tra Jamie e suo padre: la vergogna. Il padre non lo rimproverava, non lo sgridava. Lo ignorava.
Per un bambino, l’indifferenza è una delle forme di rifiuto più devastanti. Jamie non ha mai ricevuto aggressività dal padre, ma ha ricevuto qualcosa di altrettanto doloroso: l’impressione di essere una delusione.
Dott.ssa Briony Ariston: Faceva finta di non vedere?
Jamie: Può darsi, o... magari non voleva che lo vedessi così tanto... dispiaciuto.
Dott.ssa Briony Ariston: Dispiaciuto?
Jamie: Non lo so... era imbarazzato.
Jamie non riesce nemmeno a definire il sentimento del padre con certezza. Lo interpreta attraverso il filtro della sua insicurezza: pensa che il padre provasse imbarazzo, perché è così che lui si sentiva nei suoi confronti.
Dott.ssa Briony Ariston: Come ti sentivi quando lo vedevi imbarazzato?
Jamie: Mi dicevo che non era vero.
Dott.ssa Briony Ariston: Ah, sì?
Jamie: Sì. Mi dicevo in testa: "Oh, basta! Non è imbarazzato. Lo pensi solo tu, Jamie!".
Dott.ssa Briony Ariston: Jamie...
Jamie: "E' davvero quello che pensi?! Non può imbarazzarsi, non per suo figlio!"
Questa è una delle parti più forti del dialogo. Jamie si convince di una bugia per proteggersi dal dolore. Si crea una realtà alternativa in cui il padre non è imbarazzato, in cui lui non è un fallimento.
Dott.ssa Briony Ariston: Non pensavi di essere bravo a fare qualcos’altro?
Jamie: Non mi importava così tanto.
Dott.ssa Briony Ariston: Sarà stata una brutta sensazione...
Jamie: No. Molti si sentono così.
Dott.ssa Briony Ariston: Molti si sentono pessimi in tutto?
Jamie: Molti lo sono.
Jamie normalizza la sua insicurezza. Non dice "Io mi sentivo così", ma "Molti lo sono". Si convince che il suo senso di inutilità sia un fatto oggettivo e universale. Questa è l’ultima fase della sua autodistruzione psicologica: non è solo lui a essere inutile, è il mondo intero a essere diviso tra "quelli capaci" e "quelli incapaci". Questo dialogo mostra un ragazzo completamente prigioniero della sua percezione negativa di sé. Jamie non ha ricevuto violenze fisiche, ma ha interiorizzato un senso di fallimento e di inadeguatezza.
Questa scena non giustifica le sue azioni, ma aiuta a comprendere il vuoto emotivo che lo ha portato ad abbracciare una mentalità tossica e distruttiva.
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