Dialogo - Joel e la terapeuta Gale in \"The Last of Us 2\"

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Articolo a cura di...


~ LA REDAZIONE DI RC

The Last of Us 2

“The Last of Us” è una serie prodotta da HBO e basata sull’omonimo videogioco del 2013 sviluppato da Naughty Dog per PlayStation. La serie è stata adattata da Craig Mazin (quello di Chernobyl) e Neil Druckmann, che è anche l’autore e direttore creativo del gioco originale. E già qui capisci l’intenzione: portare sullo schermo qualcosa che mantenga il cuore e il tono del materiale originale, ma con i tempi e la grammatica del linguaggio seriale. Siamo in un mondo post-pandemico, ma non la solita apocalisse zombie. Qui il crollo della civiltà è stato causato da un fungo, il Cordyceps, che ha subito una mutazione e ha cominciato a infettare gli esseri umani. Questo fungo esiste davvero, nel mondo reale infetta gli insetti, ma nel gioco e nella serie viene portato all’estremo: trasforma le persone in creature aggressive, completamente fuori controllo. La pandemia esplode nel 2003 (nella serie, a differenza del gioco), e vent’anni dopo ci troviamo in un’America distrutta, dove il governo federale è stato sostituito da una forza militare chiamata FEDRA, e vari gruppi ribelli — come le Lanterne (Fireflies) — cercano di opporsi al regime. Il cuore della storia è il rapporto tra Joel, un contrabbandiere segnato da un dolore devastante, e Ellie, una ragazzina di 14 anni che potrebbe rappresentare l’unica speranza per l’umanità. Ellie è immune al fungo, e Joel riceve l’incarico di scortarla fuori dalla zona di quarantena e portarla dai Fireflies, che potrebbero usarla per sviluppare una cura.

Quello che The Last of Us racconta veramente è un viaggio emotivo. È una storia su cosa rimane dell’essere umano quando il mondo si è spento. Su come l’amore, la paura e il bisogno disperato di connessione possano trasformare le persone. Joel è un uomo che ha smesso di credere in qualsiasi cosa. Ellie, al contrario, è un concentrato di istinto di sopravvivenza, curiosità e umanità che sfida l’oscurità del mondo in cui è nata.

Il dialogo

Gale: Catherine O’Hara

Joel: Pedro Pascal

Gale: E’ aperta.

Joel apre la porta.

Gale: Arrivo subito. 

Joel Entra e si chiude la porta alle spalle. 

Gale: Vuoi qualcosa da bere?

Joel: Che cos’hai?

Gale: Whisky. O Thè alle erbe. Ma il thè è per lo più cardi e terra, quindi…

Fa cenno a Joel di sedersi. Si siede di fronte a Joel. Versa da bere a entrambi.

Joel: Che cosa festeggi?

Gale: Il mio compleanno. Bene. Vuoi cominciare?

Joel: Tira fuori un pacchetto di erba.

Gale: Rimasugli di erba, siamo al liceo?

Joel: E’ inverno, Gale.

Gale: Non lo era mai per Eugene. Gennaio, febbraio, quell’uomo coltivava fiori grandi come pigne. E appiccicosi… Il pagamento è accettato.

Gale Setta il timer.

Joel: Non sapevo che gli psichiatri bevessero durante le sedute.

Gale: Psicoterapeuti. Gli psichiatri possono dare i farmaci e no, in genere non lo facciamo. Ma oggi mi sono svegliata triste. E’ il primo compleanno senza mio marito, e sono quarant’un anni. 

Joel:sta in silenzio. Gale Fa il cenno del tempo che sta scorrendo. 

Joel: Beh, ho seguito il tuo consiglio. Le ho lasciato spazio. Ho smesso di metterle pressione, non la costringo più a cenare con me. Che ho avuto in cambio? Niente. Torna a casa, si chiude in quel garage, che non avrei dovuto permettere diventasse camera sua e basta. on mi saluta neanche. La vedo in città. Mi fa un cenno come a uno sconosciuto, uno stronza. Anche Tina oggi mi ha chiesto: “Che ha?” L’hanno capito tutti. Invece Dina mi tratta come un essere umano. Lei mi parla, è una che saluta. Mi sorride, mi ammira, mi fa sentire la persona brava che sono. Dina mi capisce, mi fa sentire come se fosse mia figlia, in pratica. Ma non lo è.

Gale: Beh, neanche Elly. Facciamo così. Proviamo qualcosa di diverso.

Joel: Che vuol dire?

Gale: Ahh, non fingerò più che il tuo problema non sia il più noioso che esiste. “Mia figlia diciannovenne mi tratta proprio come… uuuh, tutte le diciannovenni hanno sempre trattato il loro padre, tutte!” A quanto siamo? Cinque sedute? Vuoi davvero continuare a lamentarti così, ogni volta? 

Joel: Tu in teoria non dovresti incoraggiarmi? 

Gale: Oh… Si. In realtà lo faccio. Ah, ma mi sono stancata ormai. Perché tu mi stai mentendo, ed è estenuante. Si, è così, Joel. Tu mi menti. Faccio questo lavoro da tanto, e so quando qualcuno omette qualcosa, e tu stai decisamente omettendo qualcosa. E vuoi anche che ti incoraggi? No. Anzi, col cazzo! 

Joel: Non è il primo drink, oggi.

Gale: Ah, no, affatto. E prima, quando ti ho detto che ero triste, non era vero.

Joel: E’ meglio se torno un altro giorno…

Gale: Dovrei dirlo ad alta voce? Si, dovrei… Non puoi curare qualcosa di cui non hai il coraggio di parlare ad alta voce. Ho paura, però. Ho paura a dirlo. Ecco perché devo farlo. Tu hai scelto di uccidere mio marito. Hai sparato a Eugene. E provo rancore per te. No, forse è un pò di più del rancore. Io ti odio per questo. Ti odio per questo. E si, so che non avevi scelta, ne sono consapevole, so che dovrei perdonarti. Ci ho provato, e non posso. Per il modo in cui l’hai fatto. E guardarti in faccia, mentre sei seduto in casa nostra, mi fa proprio incazzare molto. Ecco qua. L’ho detto. Me ne vergogno, ma lo sai adesso. E non posso rimangiarmelo. E ora magari c’è la speranza che noi due possiamo risolvere. Tocca a te. Dì le cose che hai paura di dire. Poosso aiutarti. Dillo ad alta voce, non importa quanto sono brutte. Io ti aiuterò, te lo prometto. Le hai fatto qualcosa? L’hai ferita? 

Joel scuote la testa. Comincia a piangere. 

Gale: E allora? Che cosa hai fatto?

Joel: L’ho salvata.

Se ne va.

Analisi dialogo

Gale: È aperta. Joel: apre la porta. Gale: Arrivo subito. … Gale: Whisky. O thè alle erbe. Ma il thè è per lo più cardi e terra...

La scena si apre in tono quotidiano, quasi leggero. Si respira una familiarità forzata, come tra due persone che si vedono spesso, ma che stanno recitando un ruolo. Gale prova a mantenere il tono su un piano colloquiale, ma la battuta sul thè è il primo segnale: questa donna non è al massimo della forma emotiva. E infatti lo dice apertamente poco dopo:

Gale: Mi sono svegliata triste. È il primo compleanno senza mio marito.

Qui si getta un seme fondamentale. Il marito è morto. E Joel, come scopriremo più avanti, ne è il responsabile.

Joel: Ho seguito il tuo consiglio. Le ho lasciato spazio. … Joel: Dina mi fa sentire come se fosse mia figlia, in pratica. Ma non lo è.

Joel inizia a parlare. Ma quello che racconta non è il vero problema. È uno strato superficiale, il sintomo. Sta parlando della distanza tra lui ed Ellie, di come si sente rifiutato, scartato. Eppure, il suo discorso è pieno di segnali di fragilità:

Parla di Ellie ma la definisce indirettamente “una stronza”.

Confronta Ellie con Dina, e dice che Dina “lo fa sentire come se fosse sua figlia”.

Joel è un uomo ancora in cerca di una giustificazione per ciò che ha fatto. Ha bisogno di trovare conferme esterne, e quando Ellie gliele nega, si aggrappa a chiunque gliele dia.

Gale: Proviamo qualcosa di diverso. Gale: Il tuo problema è noioso.

Questa è la rottura della finzione. Gale si stufa. Non regge più il gioco del terapeuta paziente e accogliente. Perché? Perché sta covando un dolore personale. E qui entra una battuta centrale:

Gale: Tu mi menti. È estenuante.

Qui crolla tutto. Joel non sta solo evitando un tema scomodo. Sta costruendo una narrazione falsa, o almeno incompleta. E Gale, da terapeuta esperta, lo sa. Ma qui non è solo un fatto clinico: Gale vuole sentire la verità personale, non per aiutare Joel, ma per aiutare se stessa.

Gale: Hai ucciso mio marito. …

Gale: Ti odio per questo.

Questa è la parte centrale. Tutto converge qui. Il “conflitto di interessi” esplode in faccia allo spettatore: Gale è coinvolta emotivamente, eppure è proprio questo coinvolgimento che la spinge a pretendere un confronto autentico.

Gale: Dillo ad alta voce, non importa quanto sono brutte. Io ti aiuterò, te lo prometto.

È una frase durissima perché nasce dal tentativo di andare oltre l’odio. Non si finge imparziale, non dice “capisco”, non lo assolve. Ma allo stesso tempo gli fa una proposta: “Dimmi tutto. Ti odio, ma posso aiutarti.”

Joel: Scuote la testa. Comincia a piangere. Joel: L’ho salvata.

Questa frase contiene un intero universo di significati.

È una giustificazione, perché nella mente di Joel, salvare Ellie è stato l’unico gesto possibile.

È una confessione, perché non aveva mai detto ad alta voce cosa aveva fatto, e perché.

È anche una condanna, perché nel contesto della serie, salvare Ellie significava condannare l’umanità.

E attenzione: non dice “Ho fatto la cosa giusta”, non dice “Non potevo permettere che morisse”, non dice “Non avevo scelta”. Dice solo:

L’ho salvata.

Che è la verità più onesta e spietata che Joel abbia mai detto. 

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