Dialogo - Julianne Moore e Kevin Bacon in \"Sirens\"

Unisciti alla nostra Community Famiglia! Compila il "FORM" in basso, inserendo il tuo nome e la tua mail, ed entra nell'universo di Recitazione Cinematografica. Ti aspettiamo!


Articolo a cura di...


~ LA REDAZIONE DI RC

Sirens

"Sirens", miniserie Netflix rilasciata a maggio 2025, scritta e creata da Molly Smith Metzler (già autrice di Elemeno Pie, pièce da cui è tratta la serie), è un racconto che si muove sul confine sfumato tra satira sociale e noir relazionale. Otto episodi che portano lo spettatore dentro una gabbia dorata piena di uccelli rapaci, verità taciute e dinamiche di potere tutte al femminile. Una serie che fa il verso ai ricchi viziati di The White Lotus e The Perfect Couple, ma con una sua voce riconoscibile, disturbante e magnetica. La storia si apre in modo molto semplice, quasi da commedia amara: Devon (Meghann Fahy), trentenne fallita con tendenze autodistruttive, si rimette in contatto con la sorella minore Simone (Milly Alcock), ormai inserita nella ristretta cerchia di fiducia di una milionaria eccentrica e potentissima, Michaela “Kiki” Kell (Julianne Moore). Da questo pretesto nasce il vero nucleo narrativo: il ritorno a una relazione familiare che non ha mai smesso di bruciare, ora però travolta dal fascino tossico di un potere femminile manipolatore, raffinato e narcisista.

Devon è il personaggio che ci introduce in questo mondo: grezza, impulsiva, priva di filtri. Simone è l’esatto opposto: levigata, contenuta, funzionale. Tra loro si inserisce Kiki, figura enigmatica e potentemente simbolica, che trasforma la sua fondazione ornitologica in un dispositivo di controllo quasi settario. Tutta la serie si svolge nella sontuosa Cliff House, sulla costa di Martha’s Vineyard. Un’ambientazione da fiaba per adulti, che però ha i tratti visivi e narrativi di un incubo lucido. Kiki governa la casa come una sovrana assoluta: ogni stanza, ogni camera, ogni oggetto è sorvegliato, scelto, disposto secondo criteri che sembrano estetici ma in realtà sono strumenti di controllo.

La villa diventa così una prigione invisibile. I domestici non possono mangiare carboidrati, i telefoni sono monitorati, le conversazioni intercettate. La libertà è sostituita da una routine rassicurante e totalitaria, dove ogni gesto è parte di una coreografia pensata da Kiki.

Tre donne, tre generazioni (idealmente), tre visioni del mondo. Devon rappresenta l’autenticità abrasiva: non si è mai adattata, ha scelto l’autosabotaggio come forma di resistenza. È un personaggio senza filtro, spesso sgradevole, ma profondamente umano. Simone è la donna che ha scelto di cancellarsi per rinascere. Ha eliminato il passato, cambiato il volto, rinnegato la sorella. La sua evoluzione è il cuore pulsante della serie: da assistente remissiva a nuova dominatrice della scena, ma a caro prezzo. Kiki, invece, incarna un potere femminile ambiguo e disturbante. Madre surrogata, seduttrice emotiva, guru manipolatrice: usa l’empatia come strumento di dominio. L’attenzione che rivolge a Simone non è affetto, è investimento.

Col procedere degli episodi, la tensione cresce in modo sotterraneo. Le dinamiche di controllo diventano sempre più evidenti, le allucinazioni emotive più complesse. La relazione tra Simone e Peter (Kevin Bacon), marito di Kiki, è il punto di rottura. Un bacio fortuito, e Kiki reagisce come un predatore ferito: caccia Simone, isola Devon, e fa crollare il castello. Ma Simone non è più la stessa. Il potere l’ha contaminata. Manipola a sua volta, si insinua tra le crepe emotive di Peter e ottiene ciò che vuole: una vita di lusso, il ruolo che fu di Kiki. Ma a differenza di Kiki, non è in grado di gestirlo con freddezza. La sua ascesa è il preludio alla sua solitudine. Il finale è circolare, ma senza redenzione. Simone ha vinto, ma è rimasta sola. Kiki è scomparsa, ma il suo fantasma resta in ogni gesto. Devon torna alla sua vita, definitivamente estranea alla sorella. Il legame di sangue non basta più. Il potere ha fatto il suo corso.

Più che una semplice black comedy o un dramma familiare, Sirens è un’indagine sulla trasformazione. Su come i traumi si trasmettono, su come il potere si eredita e si corrompe, su quanto sia facile scambiare l’amore per controllo e il successo per libertà. Julianne Moore è al centro come un buco nero che inghiotte tutto, ma sono Fahy e Alcock a renderlo vivo, contrastando quel fascino con la loro vulnerabilità ferita.

Il dialogo

Kiki: Julianne Moore

Peter: Kevin Bacon


Kiki: Che succede? Perché dobbiamo parlare proprio adesso?

Peter: Io non sono felice. Non credo di essere mai stato felice in questo matrimonio?

Kiki: E’ per la mia reazione all’arrivo dei tuoi figli? Perché… perché lo ammetto sono stata sorpresa, ma sono emozionata, ora. Sono emozionata di vederli, Pete.

Peter: Ma dai, mi hai sistematicamente scoraggiato a frequentarli. Mi hai ostacolato con i miei figli per oltre dieci anni. Per quanto abbia cercato di autoconvincermi…

Kiki: O mio Dio, ancora con questa storia? Tu hai rovinato la relazione con i tuoi figli. Tu ci hai provato con me. Tu hai lasciato Josline, tu hai permesso che mi demonizzassero.

Peter: Io ti sto lasciando Kiki.

Kiki: Di cosa stai parlando, stiamo nel bel mezzo del gala!

Peter: Mi… dispiace che sia così inaspettato, ma ora che l’ho vista non posso fare finta di niente.

Kiki: Hai visto cosa??

Peter: Tu avresti passato il resto della giornata, ili esto della nostra vita con una mia foto compromettente nascosta nella cassaforte. 

Kiki: Simone te l’ha detto?

Peter: Si! Simone si è preoccupata abbastanza per me da avvertirmi. Si. E adesso quella foto è stata distrutta.

Kiki: Io… Io non ci avrei mai fatto niente. Era… era solo… una polizza assicurativa. 

Peter: Ai buoni matrimoni non servono polizze assicurative.

Kiki: Al nostro si. Tu e i tuoi avvocati avete provveduto. Ho lasciato la mia carriera per te. Mi hai fatto firmare un accordo che dà valore solo alle mie cazzo di ovaie! La voliera è mia, e io la voglio! Nessuno sa occuparsi di quegli uccelli a parte me. 

Peter: Simone lo sa. 

Kiki: Non fare l’idiota che si scopa l’assistente.

Peter: Non si tratta di Simone. Ma di me. Che voglio amore e luce nella mia vita. Di me che ho bisogno di sentire che il mio viaggio su questo pianeta sia stato ricco e gratificante. E… Pieno di cose buone. 

Kiki: Sei un cliché ambulante.

Peter: Io voglio che i miei figli, i miei nipoti scorrazzino qui in giro. Potrei anche decidere di avere un altro bambino tutto mio, chi lo sa?

Kiki: Avere un bambino non ti renderà più giovane, Pete.

Peter: Si, dovremmo… lasciar gestire agli avvocati il resto di questa conversazione.

Analisi dialogo

Questo dialogo tra Kiki (Julianne Moore) e Peter (Kevin Bacon) è un confronto che arriva al culmine di un matrimonio che da tempo esiste solo in apparenza. È la scena dello strappo definitivo, dove tutto ciò che è stato represso, taciuto, incartato in una confezione di lusso e filantropia, esplode in superficie. Come sempre in Sirens, dietro lo stile levigato e i toni inizialmente contenuti si muovono mostri interiori e giochi di potere.

Vediamo qui un matrimonio costruito sull’opportunismo, il controllo e la recita sociale. E questo dialogo è uno dei momenti più rivelatori dell’intera miniserie, sia sul piano psicologico che tematico. Kiki e Peter sono due amministratori delegati di una vita condivisa come fosse una joint venture. Non si amano, si tengono d’occhio. Non si scelgono, si osservano come soci in bilico su una linea di credito emotiva.

Peter ha sempre avuto un’aria ambivalente, affascinato e allo stesso tempo spaventato dal mondo dorato e inquietante che Kiki ha creato. Ma è solo ora, in questo dialogo, che lo spettatore assiste alla sua vera presa di posizione: vuole uscire da quel sistema, costi quel che costi.

Kiki: Che succede? Perché dobbiamo parlare proprio adesso?
Peter: Io non sono felice. Non credo di essere mai stato felice in questo matrimonio.

Il tono è immediatamente asimmetrico. Kiki pensa a un fastidio logistico: "proprio adesso", durante il gala. Peter, invece, scoperchia il vaso: “non sono mai stato felice”. È un inizio da sentenza, che getta la conversazione su un piano irreversibile. Non è una lite, è un epitaffio.

Kiki: È per la mia reazione all’arrivo dei tuoi figli? [...] Sono emozionata, ora.
Peter: Mi hai sistematicamente scoraggiato a frequentarli.

Qui emerge un tema centrale di Sirens: il controllo attraverso l’affettività. Kiki non ha ostacolato Peter apertamente. Lo ha fatto in modo sistemico, lento, invisibile. Ha costruito un recinto attorno a lui fatto di attenzioni e manipolazioni. E Peter, ora che si sveglia, non può più fare finta di niente.

Kiki: Tu ci hai provato con me. Tu hai lasciato Josline. Tu hai permesso che mi demonizzassero.

Kiki fa quello che sa fare meglio: riscrive la narrazione. Rovescia le colpe, si mette nel ruolo della vittima. Ma Peter stavolta non abbocca. E la verità viene fuori senza più travestimenti.

Peter: Io ti sto lasciando, Kiki.

È il colpo di grazia. Non c’è tensione, solo freddezza. L’annuncio arriva secco, in contrasto totale con l’ambiente da gala. Questo è il momento in cui Peter si riappropria della propria volontà.

Kiki: Hai visto cosa?
Peter: Una foto compromettente. Nascosta nella cassaforte.

Questo dettaglio è narrativamente potente. La foto compromettente è l’oggetto simbolico del loro matrimonio: un’arma silenziosa, un ricatto potenziale. Kiki non avrebbe mai usato la foto? Forse. Ma il fatto che esista dice tutto: il loro rapporto si fonda sulla sorveglianza, non sulla fiducia.

Kiki: Era solo… una polizza assicurativa.
Peter: Ai buoni matrimoni non servono polizze assicurative.

Questa è la battuta più elegante e più violenta della scena. Peter smaschera tutto: se serve una polizza, vuol dire che non c’è amore. Solo rischio. Solo calcolo. E Kiki lo sa.

Kiki: Mi hai fatto firmare un accordo che dà valore solo alle mie cazzo di ovaie!

Qui Kiki perde la compostezza. Rivela il lato più ferito e disperato del suo personaggio. Dietro il controllo, dietro la perfezione estetica, c’è una donna che ha rinunciato a sé stessa in cambio di sicurezza, e ora si ritrova in trappola. La sua rabbia è giusta, ma arriva troppo tardi. Peter ha già deciso.

Peter: Simone lo sa.
Kiki: Non fare l’idiota che si scopa l’assistente.

Quando Kiki cita Simone, lo fa con disprezzo. Non le interessa Peter, le interessa perdere potere. L’idea che la sua “erede” — Simone — abbia potere ora, le brucia più del divorzio stesso. È un’altra che prende il controllo. È un'altra che occupa la scena.

Peter: Voglio amore e luce nella mia vita. [...] Voglio che il mio viaggio sia stato pieno di cose buone.
Kiki: Sei un cliché ambulante.

Questo è un ribaltamento perfetto. Kiki ridicolizza il linguaggio “da rinascita”, quello spirituale, da manuale di crescita personale. Ma per Peter è reale. È la sua via d’uscita. Ed è anche una vendetta implicita: scegliere l’ingenuità come gesto radicale.

Peter: Potrei anche decidere di avere un altro bambino tutto mio, chi lo sa?
Kiki: Avere un bambino non ti renderà più giovane, Pete.

Questa è l’ultima stilettata di Kiki. Una frase tagliente che punta a colpire l’ego. Kiki non cerca di trattenerlo con il sentimento, ma con il disprezzo. Anche qui, però, è in ritardo. Peter ha già chiuso il sipario.

Peter: Dovremmo lasciar gestire agli avvocati il resto di questa conversazione.

Fine della recita. È il momento in cui Peter formalizza l’uscita di scena di Kiki. Da questo punto in poi, non è più questione di sentimenti o verità: è carta bollata.

Entra nella nostra Community Famiglia!

Recitazione Cinematografica: Scrivi la Tua Storia, Vivi il Tuo Sogno

Scopri 'Recitazione Cinematografica', il tuo rifugio nel mondo del cinema. Una Community gratuita su WhatsApp di Attori e Maestranze del mondo cinematografico. Un blog di Recitazione Cinematografica, dove attori emergenti e affermati si incontrano, si ispirano e crescono insieme.


Monologhi Cinematografici, Dialoghi, Classifiche, Interviste ad Attori, Registi e Professionisti del mondo del Cinema. I Diari Emotivi degli Attori. I Vostri Self Tape.

© Alfonso Bergamo - 2025

P.IVA: 06150770656

info@recitazionecinematografica.com