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~ LA REDAZIONE DI RC
"Il Gattopardo" segue la parabola del principe Fabrizio Salina, un nobile siciliano che assiste al crollo dell’aristocrazia durante il Risorgimento italiano, in un momento storico segnato dallo sbarco di Garibaldi in Sicilia e dall’unificazione del Regno d’Italia. La storia si sviluppa in sette capitoli e copre un arco temporale che va dal maggio del 1860 fino agli ultimi anni della vita del protagonista.
Capitolo I – Maggio 1860: Il tramonto di un’epoca
Il romanzo si apre nella dimora del principe Fabrizio Salina, a Palermo. La sua famiglia, composta dalla moglie Maria Stella, dai figli e dai servitori, vive secondo un rigido protocollo aristocratico. La tranquillità della routine quotidiana è scossa dalle notizie dell’arrivo dei garibaldini in Sicilia. Il principe è consapevole che il mondo a cui appartiene sta per cambiare, ma accoglie questi eventi con distacco. L’unico a mostrarsi entusiasta è il nipote Tancredi Falconeri, giovane scaltro e ambizioso, che decide di unirsi ai garibaldini, affermando la celebre frase: "Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi". Questa affermazione riflette la sua capacità di adattarsi ai nuovi assetti politici, in contrasto con l’atteggiamento rassegnato dello zio.
Capitolo II – Giugno 1860: Il viaggio a Donnafugata
Per sfuggire ai disordini di Palermo, il principe e la sua famiglia si rifugiano nella residenza estiva di Donnafugata, un immaginario paese siciliano. Qui vengono accolti dagli abitanti del luogo, che sperano in un sostegno del nobile ai cambiamenti politici in corso. Nel frattempo, emerge la figura di Calogero Sedara, un ricco borghese rozzo ma in ascesa sociale, che rappresenta la nuova classe dirigente. Sua figlia, Angelica, è una giovane di straordinaria bellezza e intelligenza. Tancredi, che inizialmente sembrava destinato a sposare la cugina Concetta, figlia del principe, rimane invece affascinato da Angelica e decide di corteggiarla, attirato dalla sua ricchezza e dalla possibilità di inserirsi nella nuova società emergente.
Capitolo III – L’offerta di senatore
La monarchia piemontese, ormai padrona della Sicilia, cerca di coinvolgere la nobiltà nel nuovo governo. L’inviato piemontese, Chevalley, propone al principe Salina di diventare senatore del Regno d’Italia. Fabrizio, però, rifiuta con un discorso che rappresenta una delle riflessioni più amare del romanzo: sostiene che la Sicilia è una terra destinata all’immobilità e che la sua popolazione, pur cambiando governi e padroni, non muterà mai nella sostanza. È un momento chiave del romanzo: il principe prende definitivamente atto della fine del suo mondo e della sua estraneità alla nuova società.
Capitolo IV – Il ballo e la consapevolezza della fine
La scena del ballo, ambientata nel palazzo Ponteleone a Palermo, è uno dei momenti più celebri del romanzo. Il principe, ormai anziano, partecipa con distacco alla sontuosa festa organizzata dall’aristocrazia. Qui, osservando la giovane Angelica danzare con Tancredi, capisce che il futuro appartiene a loro e non alla sua generazione. L’aristocrazia si sta mescolando con la borghesia emergente, ma questo cambiamento non porterà a una vera rivoluzione sociale, bensì a un’illusione di modernità. Nel corso del ballo, il principe si specchia e si vede invecchiato e stanco, realizzando definitivamente la propria decadenza.
Capitolo V – L’agonia del principe
Anni dopo, il principe è ormai un uomo vecchio e malato. In una delle pagine più intense del romanzo, assiste al proprio declino fisico con lucida consapevolezza. La scena della sua morte è descritta con grande potenza narrativa: il principe ha una visione mistica in cui intravede una giovane donna (la Morte), che gli appare bellissima e lo invita a seguirla. Questa rappresentazione della morte come un passaggio dolce e inevitabile segna la chiusura della sua parabola esistenziale.
Capitolo VI – Le tre figlie nubili
Dopo la morte del principe, la narrazione si sposta su Concetta, la figlia che non si è mai sposata e che vive ancora nella vecchia casa di famiglia con le sorelle. La sua esistenza è segnata dal rimpianto per non aver sposato Tancredi, che nel frattempo ha avuto una vita piena di successi. Ormai anziana, Concetta assiste con tristezza allo smantellamento della casa e alla progressiva scomparsa di tutto ciò che un tempo rappresentava la grandezza dei Salina. La scena conclusiva del romanzo è emblematica: gli oggetti sacri della famiglia vengono gettati via, mentre un cane imbalsamato, un tempo simbolo del passato glorioso della casa, viene abbandonato e distrutto. È l’ultima immagine del declino inesorabile di un’epoca.
IL GATTOPARDO DI NETFLIX
L’adattamento più celebre rimane senza dubbio quello cinematografico di Luchino Visconti (1963), che con la sua estetica grandiosa, il rigore storico e le straordinarie interpretazioni di Burt Lancaster, Alain Delon e Claudia Cardinale, ha fissato un immaginario quasi insuperabile. Nel 2024, Netflix ha trasposto il romanzo in una serie di sei episodi diretti da Tom Shankland.
La serie segue la struttura generale del libro, ma introduce variazioni significative:
Il racconto si apre con Don Fabrizio (Kim Rossi Stuart) che infrange il coprifuoco per recuperare la figlia Concetta (Benedetta Porcaroli) in convento. Questo evento non è presente nel romanzo, dove Concetta è un personaggio più passivo e legato alla casa paterna.
Tancredi (Saul Nanni) viene arrestato per la sua adesione ai garibaldini e il principe è costretto a negoziare la sua liberazione cedendo parte delle sue terre. Questo aggiunge una dimensione più drammatica al sacrificio del principe, che nel libro accetta la trasformazione della società con maggiore distacco e ironia.
Il ruolo di Concetta è ampliato, dando al personaggio una maggiore centralità e una volontà più esplicita di ribellarsi al padre e alle rigide regole della famiglia.
Il focus sul rapporto tra Tancredi e Angelica (Deva Cassel) è enfatizzato, ma la relazione perde parte della sua ambiguità rispetto al romanzo, dove Tancredi è un opportunista lucido e calcolatore, mentre nella serie sembra più un giovane travolto dalla passione.
Se il film di Visconti cercava un’estrema fedeltà alla pagina scritta, la serie Netflix tenta di adattare la storia a un linguaggio più contemporaneo, con un maggiore approfondimento psicologico di alcuni personaggi, ma rischiando di perdere la sottile ironia e il disincanto dell’opera originale.
Principe Fabrizio Salina: Kim Rossi Stuart
Tancredi Falconeri: Saul Nanni
Principe Fabrizio: Sai cosa mi da veramente noia. Il fatto che verrà a sapere da qualcun altro che sei morto dissanguato su qualche inutile campo di battaglia. Farei bene a spararti subito.
Tancredi: Recupereresti tutto il tuo credito al club.
Principe Fabrizio: Ma tu e il tuo generale veramente pensate di poter conquistare la Sicilia in maniera definitiva? Ti sei scordato da dove vieni?
Tancredi: Io non me lo scordo mai.
Principe Fabrizio: Greci, Romani, Arabi, Normanni, Alla fine se ne sono andati tutti quanti a casa, e noi ci siamo limitati a una scrollata di spalle, pensando. “Ma questi, come diavolo se l’erano messo in testa di venire qui a dominarci”, e ci siamo messi lì, tranquilli, ad aspettare il nostro prossimo padrone.
Tancredi: Zio, il nuovo padrone sta arrivando ora. Io spero solo che tu sia pronto, magari tutto questo ci porterà anche a migliorare.
Principe Fabrizio: Migliorare in cosa? A essere più industriosi, più acculturati, a essere più fiscalmente disciplinati. Stai sognando. Noi non vogliamo migliorare, perché ci riteniamo già perfetti come siamo. La nostra vanità è più forte di qualsiasi esercito, ricordatelo.
Tancredi: Zio, se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi.
Fa per andare via.
Principe Fabrizio: Aspetta. Aspetta.
Gli lancia un sacchetto di monete.
Sempre in Sicilia sei, prima o poi avrai bisogno di corrompere qualcuno.
Tancredi: Arrivederci, zio.
Va via.
Questo dialogo è un momento chiave nella dinamica tra Tancredi e il Principe Fabrizio: segna una separazione simbolica e affettiva tra due personaggi che, pur essendo legati da un rapporto quasi paterno, rappresentano due visioni del mondo ormai inconciliabili. È anche un dialogo che concentra in poche battute il senso politico, storico e personale de Il Gattopardo: il cambiamento come mascheramento della continuità.
Il tono del Principe Fabrizio è subito sarcastico, minaccioso, ma anche amaramente affettuoso: "Farei bene a spararti subito". È la battuta di un uomo che si sente tradito, ma che sotto la superficie nasconde preoccupazione e impotenza. L’adozione di Tancredi, nel film di Visconti e nel romanzo, era anche un tentativo di proiettare se stesso nel futuro. Ma ora quel futuro lo sta abbandonando. La sua visione della Sicilia è lucidissima e totalmente disillusa: una terra che ha visto passare ogni tipo di dominazione senza mai cambiare realmente. Quando elenca "Greci, Romani, Arabi, Normanni", costruisce una genealogia di invasioni fallite, in cui il popolo siciliano non ha mai resistito né aderito, ma ha semplicemente atteso il prossimo padrone. In questa passività c’è l’essenza della sua lettura storica: i siciliani non vogliono essere trasformati, perché si sentono già compiuti.
La battuta chiave — “La nostra vanità è più forte di qualsiasi esercito” — è probabilmente la frase più potente dell’intero dialogo. Qui il Principe coglie la radice immobile del suo popolo: un orgoglio che non si traduce in azione, ma in difesa dell’identità, anche quando questa significa stagnazione.
Tancredi, invece, è in piena corsa verso il cambiamento. Ma non è un idealista: è un calcolatore. Lo è sempre stato. Quando dice “Zio, il nuovo padrone sta arrivando ora”, non parla da rivoluzionario, ma da osservatore lucido. Ha capito che i rapporti di forza stanno cambiando, e ha scelto di schierarsi con il nuovo potere prima che si affermi, per trarne vantaggio.
La frase più famosa del romanzo — “Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi” — qui arriva con tutta la sua forza, ma è interessante notare il contesto: Tancredi la pronuncia nel momento dell’addio, del distacco. È il sigillo finale sul suo passaggio a un nuovo ordine, che in realtà non modificherà nulla nella sostanza.
È la strategia del gattopardo: cambiare tutto in apparenza, per mantenere il potere negli stessi circuiti. Tancredi ha imparato la lezione, ma ha deciso di giocare la partita dalla parte dei vincitori. Il gesto finale del Principe, che lancia a Tancredi un sacchetto di monete dicendo “Sempre in Sicilia sei, prima o poi avrai bisogno di corrompere qualcuno”, è una conclusione perfetta. È ironica, ma anche amaramente realistica. In Sicilia, secondo lui, il cambiamento è sempre di superficie, mentre le dinamiche di potere — basate su compromessi, clientele, corruzione — restano immutabili. Quel sacchetto è l’eredità vera che il Principe lascia a Tancredi: non un’ideologia, non un’eredità morale, ma un codice di sopravvivenza. È un gesto che dice: “So che stai andando via, ma so anche che il mondo in cui entri non sarà così diverso”.
In questo scambio breve ma densissimo, il Principe e Tancredi si scontrano, ma in fondo si comprendono. Tancredi crede nel cambiamento come mezzo per mantenere la propria posizione. Il Principe non crede più in nulla, se non nella ciclicità immobile della storia siciliana. È un addio carico di malinconia, ma senza sentimentalismo. Entrambi i personaggi sono consapevoli del gioco che stanno giocando. Uno lo ha inventato, l’altro lo sta portando avanti. Il potere cambia volto, ma resta nelle stesse mani.
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