Dialogo - \"Mery per sempre\"

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~ LA REDAZIONE DI RC

Mary per sempre

Mery per sempre" è un film italiano del 1989 diretto da Marco Risi, tratto dall'omonimo romanzo di Aurelio Grimaldi. È una storia cruda e intensa ambientata in un carcere minorile di Palermo, che esplora la realtà dura e violenta dei ragazzi detenuti, ma anche i tentativi di umanità e cambiamento che emergono in un contesto apparentemente senza speranza. La vicenda si concentra sull'arrivo di un nuovo insegnante, Marco Terzi (interpretato da Michele Placido), che accetta l'incarico di insegnare in un istituto penale minorile, un ambiente complesso e difficile, dove i giovani detenuti sono segnati dalla delinquenza, dalla marginalità sociale e da un profondo senso di abbandono. Terzi è animato dalla volontà di fare la differenza, ma si scontra immediatamente con la realtà brutale della prigione: violenza fisica, tensioni tra i ragazzi e l'apparente impossibilità di creare un dialogo costruttivo. Tra i ragazzi spiccano diversi personaggi, ognuno con una storia alle spalle che riflette i problemi sociali della Sicilia dell’epoca. C’è Natale, un giovane spavaldo e ribelle; Claudio, il più fragile del gruppo, che sogna un futuro diverso; e poi Mery, un ragazzo transessuale che si prostituisce e che, dietro una facciata di sicurezza, nasconde una profonda solitudine e un disperato bisogno di amore e accettazione.


Il rapporto tra Marco Terzi e i detenuti è il cuore del film. Se all’inizio i ragazzi lo accolgono con scetticismo e ostilità, col tempo emerge un legame basato sulla fiducia e sul rispetto. L'insegnante cerca di educarli, di offrire loro una visione diversa della vita, ma si rende conto che il sistema in cui operano li ha già condannati, spesso a causa di una società che non offre loro alternative. Il titolo, Mery per sempre, è emblematico. Fa riferimento non solo a Mery, uno dei personaggi più complessi e toccanti della storia, ma anche all'idea che, per molti dei giovani detenuti, la loro condizione non sia temporanea, ma una sorta di "etichetta" eterna. Mery rappresenta, in un certo senso, la voce di tutti i ragazzi invisibili che, una volta entrati nel sistema penale, difficilmente riescono a uscirne o a trovare un modo per cambiare davvero la loro vita. Il film offre uno spaccato della società italiana degli anni ’80, in particolare quella siciliana. La povertà, la mancanza di istruzione, la criminalità organizzata e l’assenza di prospettive per i giovani sono i veri protagonisti, che agiscono come forze invisibili ma inarrestabili dietro ogni scelta e azione dei personaggi.

Il dialogo

Mery: Alessandra Di Sanzo
Marco: Michele Placido

Mery: Però adesso ho deciso. Dirò al direttore che tu non c'entri niente, che mi sono inventata tutto.

Marco: Io vorrei solo capire perché tu l'hai fatto.

Mery: Perché sono una zoccola. Sono quella che per 30.000 lire quasi ammazzava un uomo.

Marco: Io non ti avevo fatto niente.

Mery: Tu, come tutti gli altri, mi tenevi a parte. Parte fuori, parte qui dentro, sempre a parte.

Marco: Io in classe ti ho trattato sempre come gli altri.

Mery: Ma gli altri sono maschi.
Io... che ne sai tu? Quando dico che vorrei essere donna... Perché prima dovresti essere come me, vivere come me, provare quello che provo io.
La barba sempre troppo lunga, il mento spianato, questa campana suonata in mezzo alle cosce.
A volte vorrei tornare indietro, a quando ero piccolo. Tante cose non le capivo. Forse era meglio così.

Marco: Mery...

Mery: Quando mi mettevo le scarpe coi tacchi, mamma, papà e mio fratello ridevano, applaudivano. "Brava, brava, l'attore di casa."
Era bello allora.
Quasi tutte le notti sogno, e poi al mattino mi sveglio e mi ritrovo vecchio. Con i capelli bianchi, bianchi, con le rughe, le vene... semaforo spento.
Vedi, forse allora potrei essere come tutti gli altri.
Non è che sono una vera donna, che possa dire: "Faccio dei figli."
E neanche un uomo, che possa dire: "Domani mi sposo."
Io sono né carne né pesce. Io sono Mery. Mery per sempre.
Che c’è, professor? T’ho fatto muto?

Marco: Sì.

Mery: Chiamami. Perdono per quello che ti feci.

Marco: Va bene, Mery. Non ne parleremo più.

Analisi dialogo

Il dialogo tra Mery e Marco racchiude tematiche complesse come l’identità, l’emarginazione, il senso di colpa e il bisogno di accettazione, affrontate con una sincerità quasi disarmante. È una scena che non solo ci permette di entrare nel mondo interiore di Mery, ma che pone anche Marco – e lo spettatore – di fronte alla cruda realtà di chi vive ai margini. Il dialogo si apre con la decisione di Mery di ritrattare l'accusa contro Marco: "Dirò al direttore che tu non c’entri niente, che mi sono inventata tutto." Qui emerge immediatamente il conflitto interiore del personaggio, che si percepisce come colpevole e cerca una forma di redenzione. Mery sa di aver sbagliato e tenta di rimediare, ma lo fa con un atteggiamento di auto-svalutazione, definendosi una "zoccola". Questo termine non è solo un insulto rivolto a sé stessa, ma una sintesi dolorosa della visione che sente gli altri – e forse anche lei stessa – hanno di lei.


Quando Mery afferma: "Sono quella che per 30.000 lire quasi ammazzava un uomo", mette in evidenza la sua consapevolezza di essere intrappolata in un sistema che non le ha mai dato alternative. Non giustifica le sue azioni, ma ci dice che le sue scelte sono il risultato di una vita che non ha mai avuto spazio per sogni o aspirazioni. È una confessione spietata che disarma Marco, ma anche lo spettatore.


La frase "Tu, come tutti gli altri, mi tenevi a parte. Parte fuori, parte qui dentro, sempre a parte" è centrale per comprendere la solitudine di Mery. Il suo dolore non è solo legato alla marginalità sociale, ma anche a quella esistenziale: non si sente accettata né come persona, né come donna, né come essere umano. Marco risponde dicendo: "Io in classe ti ho trattato sempre come gli altri", ma la replica di Mery – "Ma gli altri sono maschi" – è devastante. Qui si rompe qualsiasi illusione di uguaglianza. Mery vive costantemente in una zona grigia, “a parte” appunto, senza mai essere considerata parte del tutto. Non basta trattarla come gli altri; Mery è "diversa" in un mondo che non sa come affrontare la diversità.


Il cuore del monologo di Mery arriva quando parla del suo corpo e del suo desiderio di essere una donna: "Perché prima dovresti essere come me, vivere come me, provare quello che provo io. La barba sempre troppo lunga, il mento spianato, questa campana suonata in mezzo alle cosce." Con queste parole, Mery descrive in modo struggente il conflitto tra la sua identità interiore e il corpo che le è stato dato dalla nascita. Ogni dettaglio che menziona – la barba, il mento, i genitali – è un elemento che la costringe a confrontarsi quotidianamente con una realtà che non sente sua. La "campana suonata in mezzo alle cosce" è un'immagine potente, quasi violenta, che comunica il disagio e l'alienazione che prova verso il proprio corpo.


C'è poi una nostalgia struggente per l'infanzia: "A volte vorrei tornare indietro, a quando ero piccolo. Tante cose non le capivo. Forse era meglio così." Questo rimpianto non è solo per la semplicità di quel periodo, ma anche per l’assenza di consapevolezza. È come se il dolore di Mery derivasse proprio dalla comprensione di sé stessa e del mondo che non la accetta. Mery continua parlando dei suoi sogni ricorrenti: "Quasi tutte le notti sogno, e poi al mattino mi sveglio e mi ritrovo vecchio. Con i capelli bianchi, bianchi, con le rughe, le vene... semaforo spento." Qui c'è una riflessione profonda sulla percezione del tempo e sulla paura di non trovare mai un posto nel mondo. L'immagine di sé stessa da vecchia, con un corpo che non le appartiene più neanche nel sogno, è un simbolo della sua alienazione esistenziale: "semaforo spento" significa l'assenza di una direzione, di uno scopo.


La frase che segue è devastante nella sua semplicità: "Non è che sono una vera donna, che possa dire: ‘Faccio dei figli.’ E neanche un uomo, che possa dire: ‘Domani mi sposo.’ Io sono né carne né pesce. Io sono Mery. Mery per sempre." Questa dichiarazione è il nucleo tematico del dialogo e, in un certo senso, dell'intero film. Mery afferma la sua identità, ma lo fa in modo amaro, quasi rassegnato. La sua unicità non è motivo di orgoglio, ma una condanna, perché in una società binaria non c’è spazio per chi non appartiene né a un lato né all’altro. Il dialogo si chiude con una richiesta di perdono: "Chiamami Perdono per quello che ti feci." Questo momento rivela quanto Mery abbia bisogno di riconciliazione, non solo con Marco, ma con sé stessa e con il mondo. Marco, dal canto suo, risponde con una promessa: "Va bene, Mery. Non ne parleremo più." È una frase semplice, ma carica di significato. Non c’è un giudizio, non c’è una condanna. C’è, però, la consapevolezza che il passato non può essere cambiato e che l’unico modo per andare avanti è accettarlo.

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