Dialogo - il Procuratore Colace e Giuseppina in \"The Good Mothers\"

Unisciti alla nostra Community Famiglia! Compila il "FORM" in basso, inserendo il tuo nome e la tua mail, ed entra nell'universo di Recitazione Cinematografica. Ti aspettiamo!


Articolo a cura di...


~ LA REDAZIONE DI RC

The Good Mothers

Il vero punto di forza di questa serie è che non è un crime come ce lo aspettiamo. Nessuna mitizzazione della criminalità, nessun antieroe affascinante con un lato oscuro “interessante”. Qui la 'ndrangheta non è affascinante: è soffocante. E la violenza più presente non è quella delle pistole, ma quella del silenzio, dell’obbedienza, della paura che scorre nelle vene come un’eredità genetica. E il punto di vista? È quello delle mogli, delle madri, delle figlie. Delle “good mothers”, appunto. Donne cresciute dentro un sistema che le vuole mute e piegate. E che invece trovano una voce. Una voce spezzata, scomoda, incerta. Ma che comincia a parlare.


Tratta dal libro di Alex Perry, The Good Mothers racconta un’operazione realmente avvenuta: quella che ha visto la magistrata Anna Colace puntare sulle donne dei clan per far crollare la 'ndrangheta dall’interno. Una strategia mai tentata prima in modo sistemico, che ha richiesto coraggio legale, ma anche una profonda comprensione emotiva del contesto. Perché si tratta di strappare esseri umani da un’intera esistenza, dalla propria rete di affetti, spesso anche da figli che non capiscono. E qui entra in scena Lea Garofalo (Ramazzotti), uno dei casi più noti e agghiaccianti. Una donna che ha vissuto con la morte accanto per anni, che ha provato a salvarsi, a rifarsi una vita con la figlia Denise, e che alla fine ha pagato con la scomparsa (e il brutale omicidio) il prezzo della sua ribellione.


Poi ci sono Giuseppina Pesce e Maria Concetta Cacciola, due figure che incarnano due volti di un risveglio: quello che si fa lentamente strada nella consapevolezza di una vita che non è vita, e quello che esplode come un grido disperato. La parabola di Maria Concetta è forse la più straziante: l’illusione di poter cambiare, la richiesta di perdono alla propria famiglia, e la fine tragica. Non “perché si è ribellata”, ma perché in fondo non le è stato concesso di esistere fuori dal sistema. Un punto che spesso passa sotto traccia, ma che merita attenzione, è il ruolo di Denise (Gaia Girace). Denise è la figlia di Lea, ma anche il prodotto di quel mondo che sua madre ha cercato di lasciarsi alle spalle. La sua evoluzione – dall’adolescente che non comprende fino in fondo la madre, alla giovane donna che porta avanti il testimone della giustizia – è uno degli archi narrativi più potenti della serie. E qui non si parla solo di giustizia penale, ma di giustizia emotiva, quasi spirituale. Denise diventa la voce che Lea non ha potuto portare fino in fondo.


Barbara Chichiarelli dà vita a un personaggio incredibilmente sottile. Colace non è la classica magistrata granitica da fiction: è riservata, quasi schiva, ma si percepisce come ogni storia che ascolta le entri dentro. Il suo rapporto con Giuseppina è forse la relazione centrale dell’intera serie: due donne che si incontrano da due estremità opposte del sistema, ma che imparano a vedersi come esseri umani, fragili, segnate e, proprio per questo, capaci di verità. Perché The Good Mothers è importante? Perché mostra che la ribellione non sempre è eroica. A volte è dolorosa, goffa, solitaria. Ma è reale. E soprattutto, è possibile. In un panorama narrativo in cui troppo spesso le figure femminili legate al crimine vengono rappresentate o come complici o come vittime passive, The Good Mothers sceglie una terza via: quella del coraggio imperfetto, ma decisivo.


Una serie da vedere, discutere, condividere. Non perché “denuncia”, ma perché racconta. E in un momento storico in cui la rappresentazione delle donne nel crime sembra ancora imprigionata tra archetipi e glamour, questa serie ci ricorda che la verità è molto più potente della fiction.

Il dialogo

Procuratore Anna Colace: Barbara Chichiarelli

Giuseppina Pesce: Valentina Bellè


Procuratore Anna Colace: Giuseppina Pesce. Moglie di Rocco Palaia, 30 anni, 3 figli. Io sono il sostituto procuratore Anna Colace.

Giuseppina Pesce: Buonasera.

Procuratore Anna Colace: Buonasera.

Giuseppina Pesce: State sprecando il vostro tempo.

Procuratore Anna Colace: Non credo. Poi il tempo è mio. Posso farci quello che voglio.

Giuseppina Pesce: Che ci faccio qua? Lo avete detto voi, ho 3 figli. Sono solo una madre.

Procuratore Anna Colace: No, signora Pesce. Lei è molto di più. Ho deciso io di farla arrestare. La conosco bene. Verrà accusata di concorso esterno in associazione mafiosa, riciclaggio di denaro ed estorsione. Messa, così parliamo di dieci anni di prigione.

Giuseppina Pesce: Non penso proprio.

Procuratore Anna Colace: Come minimo.

Giuseppina Pesce: No, invece no.

Procuratore Anna Colace: Ha un avvocato così bravo, signora Pesce? O è perché l'hanno arrestata con un uomo che non era suo marito? E ci saranno delle conseguenze? Una scelta avventata vedere questo... Enrico. Di nascosto. Perché lo ha fatto? Ne è innamorata? Che razza di società punisce due persone che si vogliono bene?

Giuseppina Pesce: Una società che valuta la lealtà.

Procuratore Anna Colace: Ma che disprezza le donne. Che ignora le mogli, le madri, le sorelle. In realtà a me interessano i suoi figli. Quanto tempo ci vorrà prima che Angela si metta con un uomo che la picchia? O prima che Gaetano uccida qualcuno.

Giuseppina Pesce: Dovete crepare.

Procuratore Anna Colace: A dire la verità pensavo di farmi un'insalata mista, bermi un bicchiere di vino e andare a dormire. Se cambia idea e vuole parlarmi, io sono qui. La trasferiranno nel carcere di San Vittore, a Milano.

Giuseppina Pesce: Non vedo l'ora, non ci sono mai stata a Milano.

Procuratore Anna Colace: Giuseppina, lei non è mai stata da nessuna parte. Agente!

Giuseppina Pesce: Ora li posso vedere i miei bambini?

Procuratore Anna Colace: Secondo lei la sua famiglia glielo permetterà? Ormai è un'adultera. Dieci anni saranno un'eternità per i suoi figli. Poveretti.

Analisi dialogo

Questo dialogo tra la P.M. Anna Colace e Giuseppina Pesce è il vero duello psicologico che apre le porte al cambiamento. Non è ancora la svolta, ma è il seme piantato, una scena costruita come un piccolo teatro della verità in cui due donne — profondamente diverse eppure già legate — si osservano, si sfidano, si pungono. Andiamolo a leggere da vicino.


P: “Giuseppina Pesce. Moglie di Rocco Palaia, 30 anni, 3 figli. Io sono il sostituto procuratore Anna Colace.”

Presentazione come atto d’accusa. Colace fa l’elenco di identità e ruoli come se stesse leggendo un fascicolo. Giuseppina è definita dal suo legame matrimoniale, dai figli, dall’appartenenza a una famiglia criminale. È una donna schedata, incasellata. La freddezza iniziale è calcolata: è un test. Vuole vedere la reazione di Giuseppina.

G: “State sprecando il vostro tempo.”

Difesa d’orgoglio, faccia dura. Giuseppina non è intimidita, almeno in apparenza. L’attacco è diretto e provoca. Sta interpretando il ruolo della mafiosa che non piega la testa. Ma è una maschera: lo si capisce subito dopo, perché è sulla difensiva, non sul contrattacco.


P: “Non credo. Poi il tempo è mio. Posso farci quello che voglio.”

Risposta affilata, quasi ironica. Colace non raccoglie la sfida sul piano del potere o della minaccia. Sminuisce il tentativo di Giuseppina di imporsi con una frase semplice, umana, sarcastica. È un modo per dire: sei tu in arresto, ma io sono qui per scelta. E so gestire il mio tempo.

G: “Che ci faccio qua? Lo avete detto voi, ho 3 figli. Sono solo una madre.”

Prima crepa. Dietro quella frase — “solo una madre” — si nasconde il desiderio di negare le accuse, ma anche la percezione della maternità come scudo morale. È un tentativo di appellarsi a un’idea tradizionale di donna “innocente” per natura. Giuseppina lo dice con amarezza, come se fosse già consapevole che quel ruolo non la proteggerà.

P: “No, signora Pesce. Lei è molto di più.”

La Colace rompe la narrazione. Non la lascia nascondersi dietro l’etichetta rassicurante di “madre”. Le restituisce un’identità scomoda ma vera: Giuseppina è complice, è dentro il sistema. Non solo ha “sposato” la ‘ndrangheta, ma l’ha anche portata avanti attivamente.


P: “Ho deciso io di farla arrestare. La conosco bene.”

Intimità forzata. La Colace si prende una responsabilità personale. Non si nasconde dietro la legge o un atto di polizia. Dice: “l’ho voluto io.” È un modo per creare un rapporto personale, uno scambio: io ti guardo in faccia, tu guarda me.

P: “Come minimo dieci anni.” / G: “No, invece no.”

Scontro secco, quasi infantile. Giuseppina qui risponde di pancia, come chi si rifiuta di accettare la realtà. Il tono cambia, si fa più istintivo, quasi adolescenziale. È il primo segnale che la corazza si sta incrinando.


P: “È perché l’hanno arrestata con un uomo che non era suo marito?”

Attacco frontale alla vergogna culturale. Colace tocca il punto dolente: l’onore. Il vero crimine, per la ‘ndrangheta, non è l’estorsione. È l’adulterio. E lo sa bene anche Giuseppina. Quel dettaglio “intimo” non è un gossip: è una bomba. Rende Giuseppina vulnerabile più davanti alla sua famiglia che davanti allo Stato.

P: “Che razza di società punisce due persone che si vogliono bene?”

La P.M. mette a nudo l’assurdità della ‘ndrangheta. Domanda retorica, certo, ma potentissima. Colace costruisce un piano morale alternativo: fa leva sull’amore, sull’idea che voler bene a qualcuno non dovrebbe essere un reato. La risposta di Giuseppina arriva a freddo.

G: “Una società che valuta la lealtà.”

Rivelazione interna del sistema. Giuseppina conferma i valori del clan, come se li rispettasse ancora. Lealtà > amore. In questa battuta si sente il peso di decenni di educazione familiare: la donna dev’essere fedele, silenziosa, e punibile se trasgredisce.


P: “Ma che disprezza le donne.”

Colace scava. Qui la serie fa qualcosa di straordinario: toglie la ‘ndrangheta dalla cornice criminale e la mette dentro un discorso patriarcale. Colace parla allo spettatore: guardate quanto questo sistema odia le donne, le ignora, le usa, le zittisce. È la vera accusa del dialogo.

P: “In realtà a me interessano i suoi figli…”

Colace sposta il focus: non su Giuseppina, ma sui suoi bambini. Attacco emotivo. Se la madre non si vuole salvare, forse vorrà salvare i figli. Il riferimento alla violenza e al destino criminale come qualcosa di inevitabile mette Giuseppina davanti allo specchio: se non parli, non stai salvando nessuno. Nemmeno loro.

G: “Dovete crepare.”

Reazione istintiva, rabbiosa, disperata. È lo sfogo di chi è stato toccato in profondità. La corazza salta. Non è più l’adulta controllata, è una donna che sta crollando, che non sa come gestire il dolore e la paura. E Colace risponde… con indifferenza.


P: “A dire la verità pensavo di farmi un’insalata mista, bermi un bicchiere di vino e andare a dormire.”

Umorismo secco, spiazzante. Colace si rifiuta di entrare nel gioco della rabbia. Risponde con un tono rilassato, persino sarcastico. È una strategia: la calma è potere. Ma non è disinteresse: è intelligenza emotiva.

G: “Ora li posso vedere i miei bambini?” / P: “Secondo lei la sua famiglia glielo permetterà?”

Chiusura glaciale. Questo è il colpo finale. Colace da stratega del sistema mafioso: sa che la vendetta arriverà, che i figli sono già usati come leva punitiva. Giuseppina lo capisce. La sua libertà personale passa attraverso la perdita della maternità.

In questa stanza non ci sono due donne qualsiasi. Ci sono due visioni opposte: Colace rappresenta una società che riconosce la donna come individuo. Giuseppina viene ancora da un mondo che la definisce solo in relazione a un uomo.
Eppure, alla fine del dialogo, qualcosa si incrina davvero. La rabbia, le domande senza risposta, il terrore di non vedere i figli… tutto inizia a scavare dentro Giuseppina. È un momento silenzioso ma potente, che la porterà, poco alla volta, verso la collaborazione.

Entra nella nostra Community Famiglia!

Recitazione Cinematografica: Scrivi la Tua Storia, Vivi il Tuo Sogno

Scopri 'Recitazione Cinematografica', il tuo rifugio nel mondo del cinema. Una Community gratuita su WhatsApp di Attori e Maestranze del mondo cinematografico. Un blog di Recitazione Cinematografica, dove attori emergenti e affermati si incontrano, si ispirano e crescono insieme.


Monologhi Cinematografici, Dialoghi, Classifiche, Interviste ad Attori, Registi e Professionisti del mondo del Cinema. I Diari Emotivi degli Attori. I Vostri Self Tape.

© Alfonso Bergamo - 2025

P.IVA: 06150770656

info@recitazionecinematografica.com