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~ LA REDAZIONE DI RC
La serie ACAB su Netflix è un’espansione dell’universo narrativo già esplorato dal film di Stefano Sollima e dall’omonimo libro di Carlo Bonini. È un prodotto che affronta in sei episodi i dilemmi morali, le fratture interiori e le contraddizioni di una squadra del Reparto Mobile di Roma, chiamata a operare in una costante tensione tra ordine e caos.
La storia inizia in Val di Susa, durante uno scontro tra il Reparto Mobile e i manifestanti No Tav. È una sequenza intensa, che pone subito al centro il tema principale della serie: il fragile equilibrio tra il compito istituzionale di mantenere l’ordine e le ripercussioni personali di chi è coinvolto in questo ruolo. L’incidente del comandante Pietro Fura (Fabrizio Nardi), gravemente ferito negli scontri, lascia un vuoto che viene riempito dal nuovo comandante Michele Nobili (Adriano Giannini), un poliziotto con una visione più progressista e meno incline all’uso della forza. Questo cambio di leadership scatena attriti interni, in particolare con Ivano Valenti, detto Mazinga (Marco Giallini), un veterano legato ai “vecchi metodi”.
I PERSONAGGI
Mazinga (Marco Giallini): È un uomo che incarna l’archetipo del poliziotto vecchio stampo, abituato a risolvere tutto con la forza. Eppure, al di fuori del lavoro, Mazinga rivela un lato sorprendentemente pacifico, trovando sollievo nella cura delle sue piante. È un personaggio che oscilla tra il disincanto e una forma di ribellione silenziosa contro un sistema che lo ha prosciugato.
Michele Nobili (Adriano Giannini): Un idealista che crede in un approccio riformista, ma che presto si scontra con la realtà brutale della squadra che guida. Il suo passato e i conflitti privati, soprattutto con la moglie e la figlia lasciate a Senigallia, lo rendono un personaggio profondamente umano, incapace di mantenere la distanza tra il lavoro e la vita personale.
Marta Sarri (Valentina Bellè): Madre single e unica donna del gruppo, Marta lotta per bilanciare il suo ruolo di poliziotta e madre con le pressioni di un ex marito violento. Bellè porta una vulnerabilità palpabile al personaggio, che riesce a mantenere un’integrità emotiva anche di fronte alla brutalità del lavoro.
Salvatore Lovato (Pierluigi Gigante): Il personaggio più enigmatico del gruppo, un veterano con un passato militare in Kurdistan, che vive in caserma e coltiva una relazione a distanza mai concretizzata. La sua ossessione per la disciplina lo rende rigido e incapace di stabilire vere connessioni umane.
Un altro elemento significativo è la scelta di concentrarsi sulle conseguenze emotive e psicologiche del lavoro, piuttosto che sui soli eventi esterni. Questo approccio umanizza i personaggi e offre una prospettiva più profonda sul peso che la violenza esercita su chi la vive quotidianamente. Pur mantenendo alcuni elementi del film del 2012, come il personaggio di Mazinga, la serie si distingue per un tono più riflessivo e meno aggressivo. Dove il film era un’esplorazione cruda e diretta della violenza, la serie adotta un ritmo più lento e stratificato, che permette di approfondire i personaggi e le loro storie.
Salvatore: Francesco Gentile
Matilde: Rosaria Langellotto
Salvatore è a tavola in un pub con Matilde, la ragazza che lo ha truffato.
Salvatore: Allora, che vuoi? Mi hai mandato venti messaggi.
Matilde: Niente. Io ti volevo chiedere scusa.
Salvatore: Perché proprio a me?
Matilde: Io faccio pesca a traino. Cerco profili sui social.
Salvatore: Cazzo, fai pesca a traino.E quanti ne hai presi?
Matilde: Uno solo.
Salvatore: Che pensi di me?
Matilde: Sincera? All’inizio che eri uno sbirro di merda. Fascista, violento.
Salvatore: E poi?
Matilde: Poi mi hai fatto pena. Capiscimi, non “pena” che mi facevi schifo.”Pena” che mi dispiaceva.
Salvatore: Era bello parlare con te.
Matilde estrae dalla tasca una chiave elettronica.
Salvatore: E che è?
Matilde: Un’amica lavora all’albergo qua sopra. Vuoi scopare?
Questo dialogo tra Salvatore (Francesco Gentile) e Matilde (Rosaria Langellotto) è uno dei momenti più complessi e disarmanti della serie ACAB. In una manciata di battute, la scena esplora temi come la solitudine, il tradimento, la manipolazione e il bisogno disperato di connessione. La situazione, ambientata in un pub, mette i due personaggi a confronto diretto: da un lato, Salvatore, un uomo ferito e vulnerabile, alla ricerca di una spiegazione per il tradimento subito; dall’altro, Matilde, una truffatrice che si presenta con un’apparente intenzione di scusarsi, ma che nasconde un’ambiguità di fondo.
La scena è intrisa di tensione e ambiguità morale. Matilde, pur confessando i suoi errori, non sembra mai completamente sincera, e la sua proposta finale sposta il dialogo su un piano ancora più disturbante. Salvatore, dal canto suo, cerca un senso di riscatto emotivo, ma viene continuamente destabilizzato dalle parole e dagli atteggiamenti di Matilde. Il risultato è una scena che riflette la fragilità dei personaggi e il loro essere intrappolati in un circolo di dolore e auto-sabotaggio. "Allora, che vuoi? Mi hai mandato venti messaggi." La frase di apertura di Salvatore è diretta e piena di risentimento. Il tono suggerisce che non è lì per curiosità, ma per chiudere i conti. I "venti messaggi" menzionati da Salvatore indicano l’insistenza di Matilde e il suo tentativo di attirare la sua attenzione, insinuando un bisogno da parte sua che va oltre il semplice chiedere scusa. Salvatore appare ferito, ma allo stesso tempo ancora attratto dall’idea di capire il perché del tradimento."Niente. Io ti volevo chiedere scusa."
Matilde sembra aprire con una dichiarazione sincera, ma il suo tono e la sua scelta di parole sono ambigui. "Niente" è una risposta che minimizza la sua presenza e il motivo del loro incontro, quasi a voler disinnescare la tensione. Questa semplicità nasconde una complessità: la scusa è davvero genuina o è solo un modo per manipolare Salvatore ulteriormente? "Perché proprio a me?" La domanda di Salvatore è carica di dolore. Dopo essere stato ingannato, si chiede cosa lo abbia reso un bersaglio. È una domanda che riflette la sua insicurezza e il suo bisogno di capire cosa, nella sua solitudine e nel suo carattere, lo abbia reso vulnerabile alla manipolazione. Questa battuta rivela quanto Salvatore sia tormentato anche dalla sua incapacità di vedere le cose per come sono. "Io faccio pesca a traino. Cerco profili sui social." La risposta di Matilde è spietatamente sincera. I social diventano per Matilde un mare pieno di prede, e lei non prova vergogna nel confessarlo. La sua ammissione rende chiaro a Salvatore che non c’è mai stato nulla di autentico nel loro rapporto, aumentando il senso di tradimento. "Cazzo, fai pesca a traino. E quanti ne hai presi?"
La reazione di Salvatore è sarcastica. La sua domanda, quasi retorica, è un modo per evidenziare la crudeltà e il cinismo di Matilde. Nonostante il suo tono di accusa, Salvatore sembra cercare conferme per comprendere quanto fosse significativo – o insignificante – per lei. La rabbia nasconde la disperazione. "Uno solo." La risposta di Matilde è quasi disarmante. Ammettere di aver truffato "uno solo" ridimensiona il discorso, rendendo Salvatore non una preda qualunque, ma un caso unico. Questo dettaglio aggiunge complessità al personaggio di Matilde, insinuando che, nonostante la sua freddezza, possa aver provato qualcosa di autentico per lui. È una frase che destabilizza Salvatore, lasciandolo confuso su come interpretare i suoi sentimenti. "Che pensi di me?" / "Sincera? All’inizio che eri uno sbirro di merda. Fascista, violento." La domanda di Salvatore segna un punto di svolta nel dialogo. Chiedendo a Matilde cosa pensi di lui, cerca una forma di validazione, un motivo per credere che ci sia qualcosa in lui che valga la pena. La risposta di Matilde, è brutale. Lo definisce come uno "sbirro di merda", associandolo ai peggiori stereotipi legati al suo lavoro. Questo riflette il disprezzo iniziale che Matilde provava per lui, riducendolo a un simbolo del sistema che probabilmente detesta.
"E poi?" / "Poi mi hai fatto pena. Capiscimi, non ‘pena’ che mi facevi schifo. ‘Pena’ che mi dispiaceva." Salvatore insiste, sperando in una risposta più umana. Matilde si ammorbidisce leggermente, spiegando che il suo giudizio su di lui è cambiato: non prova più disprezzo, ma una sorta di compassione. Ma anche il termine "pena" è difficile da accettare per Salvatore. Non vuole essere compatito; vuole essere visto come una persona con valore, non come qualcuno di cui avere "dispiacere". Questo passaggio mostra quanto Salvatore desideri una connessione autentica, ma allo stesso tempo evidenzia quanto Matilde abbia ridotto la loro relazione a un’operazione di manipolazione emotiva. "Era bello parlare con te."
La frase di Salvatore è struggente nella sua semplicità. Nonostante tutto, ammette che i momenti di conversazione con Matilde gli davano conforto. Questo rivela quanto Salvatore fosse emotivamente coinvolto e quanto fosse disposto a credere in una relazione che, per lui, rappresentava un’ancora in un mondo altrimenti solitario. "Vuoi scopare?" Il dialogo culmina in una proposta da parte di Matilde. La chiave elettronica e la domanda esplicita trasformano l’atmosfera: non c’è più spazio per ambiguità o emozioni, solo un’offerta cruda e diretta. Questo momento sintetizza la visione cinica di Matilde nei confronti delle relazioni: tutto può essere ridotto a un’azione, a una transazione. Per Salvatore, questa proposta però non appare così vuota.
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