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~ LA REDAZIONE DI RC
La trama di Thunderbolts, il nuovo film Marvel, segna una svolta decisa nel tono e nella direzione narrativa dell'MCU, esplorando le zone d’ombra del mondo supereroistico e concentrandosi su personaggi moralmente ambigui, traumatizzati, e spesso manipolati da forze di potere più grandi di loro. Yelena Belova, ancora devastata dalla morte di Natasha, è intrappolata in missioni sporche sotto Valentina de Fontaine. Questo incipit racconta il vuoto e la frustrazione di una generazione di “eroi di scarto” che, invece di essere accolti nel pantheon degli Avengers, vengono sfruttati e poi gettati. Il fatto che Bucky sia un membro del Congresso introduce un interessante cortocircuito: l’ex Soldato d’Inverno ora cerca giustizia politica, ma la sua etica resta tormentata.
Il secondo atto è un incastro da thriller spionistico: l’inganno orchestrato da Valentina per eliminare le prove, compresi i suoi agenti, ribalta completamente la fiducia tra i personaggi. Il loro riemergere come squadra – improvvisata, imperfetta, ma determinata – apre la strada alla creazione dei Thunderbolts. Alexei che battezza il gruppo con un nome legato all’infanzia di Yelena è un tocco narrativo interessante: umano, ironico, e coerente con la loro natura “non ufficiale”. La comparsa di Sentry (Bob) e la trasformazione in Void spostano il racconto sul piano metafisico. Si passa da una storia di agenti traditi a una battaglia contro un’entità distruttiva nata dal trauma. Void non è solo un villain: è l'incarnazione del dolore represso, dell’identità spezzata. Il fatto che la risoluzione arrivi non con la forza ma con l’empatia (Yelena che affronta i propri demoni per raggiungere Bob) è un cambio netto rispetto alla retorica più muscolare tipica di molti film MCU.
L’epilogo è amaro e grottesco: Valentina, pur smascherata, riesce comunque a manipolare l’opinione pubblica e trasformare i Thunderbolts in "Nuovi Avengers" a suo favore.
La seconda scena post-credit introduce il misterioso simbolo del "4", che è un teaser chiarissimo per i Fantastici Quattro. In pratica, Marvel sta usando questi personaggi borderline come ponte verso la prossima era narrativa, probabilmente quella cosmica.
Yelena: Florence Pugh
Alexei Shostakov: David Harbour
Alexei: Yelena! Piccola mia!
Yelena: Va via!
Alexei: No, non lo farò!
Yelena: Allora inseguimi per sempre.
Alexei: Ti seguirò, perché è questo che fa una famiglia!
Yelena: O mio Dio, basta! Se ci tenevi, mi avresti chiamata. Ti saresti fatto vivo. Ho perso mia sorella di nuovo ma per sempre. E tu sei sparita.
Alexei: Mi dispiace, io non so come si fa. Sono pessimo in questo. Non credevo che tu mi volessi.
Yelena: Ti volevo.
Alexei: Lo vedo. Sono in ritardo. Sono qui ora.
Yelena: Papà, sono così sola. Io non ho più niente, ormai. Sto solo seduta, e guardo il telefono, e penso a tutte le cose orribili che ho fatto. E poi vado a lavoro, e poi bevo, e poi torno a casa e non c’è nessuno. E poi mi rimetto seduta a pensare a tutte le cose terribili che ho fatto e mi sembra di impazzire!
Alexei: Ylenia basta, basta! Tutti facciamo cose di cui poi ci pentiamo.
Yelena: No, ma ne ho fatte così tante. Il mio primo test nella stanza rossa. Anya era solo una bambina, era così piccola.
Alexei: Come lo eri tu. Lo so. Lo so che hai vissuto momenti bui, molto molto bui, ma… prima, eri una bambina davvero speciale, lo sapevi? Entravi in una stanza e la illuminavi. Emanavi tanta gioia.
Yelena: Io non ricordo quella sensazione.
Alexei: Eri così gentile. Ti ricordi perché volevi fare il portiere in quella terribile squadra?
Yelena: Ehm… forse perché così non dovevo correre così tanto?
Alexei: No. Forse anche per quello, ma mi hai detto: “”Voglio essere quella su cui tutti possono contare se commettono un errore”. Quella Ylena è ancora in te, io riesco a vederla.
Yelena: Io no.
Alexei: Sei bloccata, sei sola, vedi solo le cose negative. Ma quando io ti guardo non vedo i tuoi errori. Per questo dobbiamo restare uniti.
Yelena: Ok, è stato bello.
Questo dialogo tra Yelena e Alexei in Thunderbolts è uno dei momenti più intimisti e drammatici del film. Un tentativo evidente — e forse il più riuscito — di scavare oltre l’azione e mettere a nudo la fragilità dei personaggi. E, non a caso, è affidato a Florence Pugh e David Harbour, due attori che hanno già dimostrato (anche in Black Widow) di poter rendere credibile una dinamica familiare disfunzionale, fatta più di silenzi e fallimenti che di veri legami.
Siamo in una fase di stallo emotivo e narrativo. Il team è diviso, la missione è in crisi, e Yelena è — come spesso succede ai personaggi Marvel con un passato violento — sull’orlo del collasso personale. Questo dialogo arriva come una pausa nel rumore, un tentativo di riagganciare il cuore del film a qualcosa che non sia solo superpoteri e manipolazione governativa.
“Yelena! Piccola mia!” / “Va via!” L’apertura è un cliché relazionale, ma ha il giusto peso emotivo: Alexei cerca un contatto affettuoso e immediato, lei lo rifiuta con forza. È uno scontro tra due memorie affettive diverse: lui ricorda la figlia bambina, lei l’adulto assente. “Allora inseguimi per sempre.” / “Ti seguirò, perché è questo che fa una famiglia!” Questa battuta ha un che di teatrale, volutamente sopra le righe. Alexei cerca di trasformare la frattura in una dichiarazione d'amore epica, ma la risposta di Yelena subito dopo lo ridimensiona con brutalità. Il contrasto tra i due è anche un contrasto di registro emotivo.
“Se ci tenevi, mi avresti chiamata.” Qui la recitazione di Florence Pugh è fondamentale. È una linea semplice, ma dritta come una lama. Tutto il monologo ruota intorno a questo vuoto affettivo: non la morte, non il trauma da Stanza Rossa, ma l’abbandono quotidiano. Il non essere stati cercati. “Mi dispiace… non credevo che tu mi volessi.” David Harbour gioca volutamente sul tono sommesso. Non è una scusa, è una confessione di inadeguatezza. Alexei è un uomo che non è mai cresciuto, e ora si ritrova costretto a fare i conti con una figlia che invece è cresciuta troppo in fretta. “Io non ho più niente, ormai.” Il cuore emotivo della scena. Yelena non parla da supereroina, ma da persona. Descrive una routine di depressione e alienazione, la ciclicità dell'autodistruzione emotiva che si insinua nella vita quotidiana. Qui Pugh tira fuori un dolore che è interno e fisico: “mi sembra di impazzire” non è un’esagerazione, è un sintomo. “Anya era solo una bambina...” Il punto di rottura. Non c'è bisogno di mostrare nulla, basta evocarlo. La Stanza Rossa diventa reale non perché ci viene mostrata, ma perché sentiamo il senso di colpa di chi l’ha vissuta e l’ha perpetuata. Yelena non si perdona, e questo la rende diversa da molti personaggi MCU: non cerca redenzione, cerca solo di non sprofondare.
“Entravi in una stanza e la illuminavi.” / “Io non ricordo quella sensazione.” Una delle righe più belle (e tristi) del film. Alexei prova a rievocare un’immagine idealizzata di lei, ma lei non la riconosce. È il dilemma di chi ha perso sé stesso e guarda il proprio passato come qualcosa che non gli appartiene più. Il fatto che la scena giri intorno alla figura del “portiere” è geniale nella sua semplicità: un ruolo minore, ma di responsabilità, che racchiude tutta l’identità di Yelena bambina. “Sei bloccata, sei sola… quando io ti guardo non vedo i tuoi errori.” Un tentativo forse un po' goffo di Alexei di aiutarla, ma sincero. L’idea che per guarire serva qualcuno che ci veda oltre i nostri sbagli. È anche un momento dove il film si prende il rischio di essere sentimentale senza cinismo. E funziona, perché non c’è retorica. C’è solo dolore e tenerezza. “Ok, è stato bello.” La chiusura è volutamente brusca. È un addio provvisorio, ma anche un modo per non sprofondare ulteriormente. Yelena non ha la forza di accettare il conforto fino in fondo, ma lo ha ascoltato. Il che, per lei, è già un passo enorme.
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