Emilia Perez: una crepa d'oro nello spettacolo cinematografico

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Articolo a cura di...


~ CLAUDIA LAZZARI

Non è una persona comune a voler intraprendere un percorso di transizione in Emilia Perez.


E' Manitas del Monte, potente re del cartello messicano, bestia del narcotraffico, criminale, macho, denti placcati, braccia grosse e stritolanti.

Sposato con Jessica, con la quale ha due figli, decide di fingersi morto e di nascondere la propria famiglia, inscenando una finta possibilità di rappresaglia nei loro confronti. Per diventare Emilia Perez, essendo chiaramente ancora più ostacolato ad effettuare un cambiamento di sesso rispetto ad altre situazioni, rapisce Rita Castro, brillante avvocata tenuta sottobanco dal proprio studio legale. In particolare, Rita scrive le arringhe per il suo capo, che si esibisce in tribunale prendendosene il merito.

Già la premessa è fondamentale: Rita è oscurata dal proprio capo; Jessica è oscurata da Manitas e dalle follie costrette ad eseguire per proteggere la propria famiglia; Emilia è oscurata da Manitas, dal contesto patriarcale e mascolino in cui è nata. Rita e Jessica possono recuperare la propria vita scindendosi dagli uomini che le offuscano.


Emilia non può, vive doppio. E per favorire la definitiva vittoria della sua parte femminile, vira la sua vita in una direzione non solo opposta ma assolutamente antitetica, rispetto a quella precedente scelta da Manitas: fonda una onlus per recuperare tutte le persone scomparse proprio a causa del narcotraffico e della malavita. Persone che lei stessa, ovviamente, sa dove trovare. Una lotta interiore abbandona il corpo per svolgersi sul campo. Una lotta interiore che parte proprio dal corpo e dal suo cambiamento. In poco tempo diventa un'icona messicana, si innamora, si redime, recupera il rapporto con Jessica e i bambini fingendosi la zia Emilia, cugina di Manitas. Però il crimine, si sa, è pur sempre crimine. Non basta offuscare gli occhi di chi guarda con una manciata di sabbia. Ciò non sottrae allo spettatore la possibilità di un finale poetico e iconico. Una storia struggente, profonda, giusta, non prevedibile, esente da cliché. Una storia che giunge al vero punto delle odierne questioni sociali di discriminazione. Al vero perché.


Emilia Perez è un film in cui si parla di uomini e donne, non di femminismo o di transfobia, quindi di razzismo o fascismo. Non è la classica storia sulla diversità e su quanto sia giusto accettarla. E' piuttosto un racconto che la sviscera, esaltando un'anima biforcata nei due sessi, un'anima femminile e maschile che appartiene ad ognuno di noi, a prescindere dalle scelte che compiamo sul nostro corpo. Non è un film che esalta la diversità, è un film che esalta l'uguaglianza, che annienta le etichette che continuano ad appiccicarci addosso, anche in contesti non discriminatori. Non esiste la diversità in questo film. Esiste la normalità dell'essere diversi. E, credetemi, non è scontato. E' un'altra cosa.

La regia di Jacques Audiard è intima, intimissima. Da la sensazione di stare perennemente seduti accanto ai personaggi, di sedergli in braccio, di poggiare le proprie spalle alle loro, di sdraiarvici dentro. Audiard offre la caratterizzazione del femminino e del mascolino attraverso il cambiamento di sesso, per mostrarci le autentiche parti di cui è composto un essere umano e le scelte che compie a prescindere dai pensieri che compie, gli impulsi che sceglie di assecondare. Il giusto modo di sentirsi liberi. E lo fa adottando una conosciuta ma dimenticata campagna sociale che ogni tanto rispunta come un fungo porcino: più donne ai vertici, implicherebbe meno guerre. Più donne, equivale a meno lotte di supremazia per decretare "chi ce l'ha più grosso".


Emilia distrugge il proprio cartello, gestito quando era Manitas, dando voce alla propria parte femminile. Diventa madre e non solo per i suoi figli, ma materna nell'approccio alle cose e alle persone. Nell'approccio a Manitas stesso; nel frattempo Manitas, che è pulsante, che è presente anche all'interno del nuovo corpo prosperoso, reagisce nelle situazioni di prevaricazione, nei momenti in cui Emilia subisce un attacco al proprio potere, alla propria presenza.


Il contenitore, la cassa di risonanza del respiro di quest'opera, è il musical. Sono le performance. Agressive, ma certamente non in quantità. Spudorate. Essenziali e potenti. Performance che si impongono come pensieri, come il cuore pulsante dei confronti, che prendono vita durante i dialoghi, come il "non detto" che elimina completamente le battute che lo celano. I personaggi interagiscono parlando e ricorrono al canto quando decidono di dirsi la verità, senza mezzi termini, senza parole da analizzare. Arnaud sottolinea così ogni chiave di volta, ogni tema della storia, con una dolcezza commovente, con espressioni così semplici e ben costruite da essere geniali.


Poche sono le scene ponte. Quasi tutte, invece, sono da stampa dell'immaginario. Dalla chiacchierata tra Emilia e il suo figlio minore, che le attribuisce l'odore di suo padre, al discorso di Emilia al gala di beneficenza della sua onlus, in cui Rita si esibisce in una performance attorno alla quale i delinquenti presenti si muovono come burattini, fantocci guidati dal potere.

Chi non ha ancora visto questo splendido prodotto artistico deve assolutamente riparare all'errore.


Emilia Perez non ha punti di forza ai quali appoggiarsi. Ha tutto e basta.

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