Essere o non essere un \"attore\" - riflessioni

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Articolo a cura di...


~ MASSIMILIANO AITA

Non preoccupatevi.


Lungi da me la fantozziana idea di suscitare o addirittura pretendere un dibattito su quanto vado a scrivere.


Non perché io deprechi i dibattiti (su questo Moretti sbagliava).


No. E’ che, al giorno d’oggi, le posizioni sono talmente polarizzate, radicalizzate che mi sembra difficile uno scambio di idee utile.


Laddove, dal mio punto di vista, lo scambio di idee utile è quello che mi permette financo di cambiare la mia idea di partenza.


Accantonata ogni velleitaria finalità del genere or ora ricordato, vorrei esporre alla community alcune mie riflessioni su “cosa” distingua un attore da un non attore oggi in Italia.


Partirò dal raccontare la mia esperienza ossia, ad esempio, la mia giornata tipo odierna: 30 gennaio 2025.


Questa mattina mi sono svegliato tra le 3 e le 4 e mentre bevevo il primo caffè della giornata mi sono sfogliato i provini di rb casting, di provini e spettacolo, di castingnews e di attori e casting.


Ho segnato quelli più interessanti.


Poi ho cominciato a provare le due drammaturgie per cui ho prove online questo pomeriggio.


Alle 8 più o meno sono andato in studio e fino alle 12 ho lavorato come avvocato.


Mentre lavoravo, tuttavia, leggevo i post della community, visionavo i casting di Silvia, di Jessica e degli altri eroi di Casting Call, prendevo nota dei suggerimenti di Alessandra Berton.


Pomeriggio dalle 17.30 alle 19.30 avrò appunto le prove di cui vi parlavo.


Ora, mi pare chiaro che da questo breve sunto (immagino assimilabile a molti di quelli che leggo in chat) emerga come “l’attore” non è chi dedica 24 ore su 24 alla recitazione.


Il che, peraltro, appare intuibile laddove si presti attenzione alla circostanza per cui anche quando lavora “sul set” un attore non trascorre 24 ore su 24 a recitare.


A mio avviso, l’attore si distingue dal non attore in primo luogo per la metodicità con la quale dedica – nella propria giornata – un tempo uguale o addirittura crescente alla recitazione intesa in senso ampio.


Recitare, infatti, non significa solo “dire” le battute dei personaggi; significa “studiarli”, comprendere il “sottotesto”, creare loro un passato se non lo hanno.


Recitare significa anche vedere dei film, leggere dei libri, ascoltare della musica.


Perché tutto quello che rende più accogliente anima ed intelletto ci rende attori migliori.


Qualcuno in chat affermava che è attore chi vive prevalentemente dei guadagni della relativa attività.


Che poi però si scopre trovare complemento e completamento nell’insegnamento ad esempio.


Secondo taluni membri della community gli attori, per così dire, professionisti sono quelli che vivono (economicamente parlando) dei proventi della relativa attività.


Una posizione del tutto rispettabile ma dalla quale dissento molto umilmente.


Poniamo che io, Massimiliano Aita, domani vinca 10 milioni di euro al Super Enalotto e decida di cancellarmi dall’Ordine degli Avvocati.


Poniamo altresì che, grazie a questa inaspettata vincita, io possa dedicarmi a progetti non retribuiti, a frequentare dispendiosi corsi di qualche Accademia Privata.


Poniamo cioè l’ipotesi che il movente economico sia lontanissimo dal mio orizzonte.


Sarei per questo meno attore? Le mie capacità recitative sarebbero inficiate dal potermi dedicare 24 ore su 24 (ironia!!!) a ciò che amo senza conseguire “profitto”?


La mia risposta è negativa.


E pervengo a questa radicale affermazione sulla scorta di tre distinte linee di pensiero.


In primo luogo, la retribuzione di una risorsa lavorativa quasi mai, almeno in Italia, è funzione lineare della relativa capacità.


Molteplici sono i fattori che determinano il salario offerto dal datore di

lavoro.


Uno su tutti è il rapporto tra offerta e domanda.


Come sa chi ha qualche nozione di base di economia, il prezzo di un bene (e la forza lavoro, purtroppo, viene considerata un bene) viene determinato dall’incontro tra queste due variabili.


Se la domanda di manodopera è consistente e l’offerta esigua, il prezzo (ossia la retribuzione) salirà; se la domanda è scarsa mentre l’offerta appare impetuosa, il prezzo scende.


E dunque appare evidente che, a fronte di un numero di attori davvero esorbitante (solo il nuovo Imaie rappresenta 458.083 artisti), poche appaiono le speranze che ciascuno di noi ottenga una retribuzione adeguata.


La seconda linea di ragionamento che mi porta ad escludere che il fine di “profitto” sia un elemento scriminante ai fini del riconoscimento ad un Collega della qualità di “attore” sta, dal mio punto di vista, nell’indefettibile rivendica dell’autonomia attoriale.


Ciascuno di noi deve avere la piena e totale libertà di scegliere quali ruoli interpretare.


E questo è possibile solo laddove io mi muova senza il condizionamento della necessità di guadagnare per vivere.


Certo, mi rendo conto benissimo di lasciar cadere queste parole da un’ottica privilegiata e per ciò stesso opinabile.


Non pretendo di trasmettere distillati di verità.


Legare l’essere attore alla percezione di una retribuzione anzi alla necessità di percepire una retribuzione determina, nella mia ottica, una sostanziale perdita di autonomia di scelta per ciascuno di noi.


Se lavoriamo per portare il pane in tavola appare quasi scontata la possibilità che si possa cedere alla tentazione di sostenere casting o di partecipare a film quali, ad esempio, “Io sono la fine del mondo” (e qui mi taccio).


E’ questa scelta (legittima per carità) a renderci (sempre dal mio punto di vista) meno attori.


Perché?


Qui si innesta la terza linea del mio ragionamento che conduce direttamente

all’individuazione del secondo elemento caratterizzante la professione di attore.


L’attore professionista lavora ed opera, sempre dal mio punto di vista privilegiato e da neofita, per esprimere delle emozioni, per raccontare delle storie, per trasmettere al modo una visione.


Se non fosse questa la missione quasi “istituzionale” che siamo chiamati a svolgere, che senso avrebbe definirci “artisti”?


Verrebbe meno la ragione fondante dell’impiego di una diversa parola per definire una a categoria altrimenti riconducibile al novero dei professionisti o degli artigiani.


A supporto di quanto sostengo, riproduco testualmente parte della definizione del termine artista contenuta nell’Enciclopedia Treccani: “…. Milizia (1797) opera una distinzione di valore tra i due termini, riservando quello di a. a chi esercita le Arti Belle, mentre il significato di artefice resta legato all’esercizio delle arti meccaniche, all’attività dell’artigiano. Il concetto di a. si lega sempre più, nel corso del 19° sec., alla visione romantica del genio creativo…”.


Visione romantica, genio creativo.


Concetti, credo sia chiaro a tutti, diversi e slegati da quelli di profitto.


Un altro ed ultimo tratto caratteristico dell’essere attori risiede, a mio modesto avviso, nel modo di porsi rispetto agli altri.


Cosa voglio dire?


Mi spiego cercando di costruire un ragionamento lucido e sintetico.


Un attore vero deve necessariamente porsi con atteggiamento accogliente nei confronti dei Colleghi, degli amici, del mondo in generale.


Sia chiaro: lungi da me invocare un generico e melenso buonismo.


Voglio affermare il diverso concetto che se devi porti in sintonia con le emozioni di un personaggio che rimane comunque altro da te, devi avere la sensibilità emotiva di comprendere il vissuto del personaggio, devi capirne le reazioni.


E questo lo puoi fare solo se e solo quando nella tua vita quotidiana

abbandoni gli atteggiamenti oppositivi, le contrapposizioni inutili o dannose.


Per questo nelle conversazioni via chat io, alle volte, mi rifugio nell’”Hai ragione. Buona giornata”.


Una frase che può essere letta (e lo è stata) come scorretta o aggressiva.


In realtà, io cerco di evitare conversazioni con chi già so (perché hai letto i precedenti messaggi etc) difficilmente modificherà (del tutto legittimamente sia chiaro) la propria posizione.


Lo ascolto, prendo atto ma esporre la tua posizione non porterebbe assolutamente a nulla.


Meglio comprendere il ragionamento che pretendere di affermare le proprie ragioni.


Riassumiamo: essere un attore significa essere metodici, esprimere delle emozioni, raccontare delle storie, trasmettere al mondo una visione, porsi – rispetto al mondo – con atteggiamento accogliente.


Sembra la descrizione di un guru vero?


Perché lo è. In qualche misura almeno.


Essere attori significa partecipare della vita del mondo, significa ascoltare e recepire ciò che accade intorno a noi con cura, amore ed attenzione.


E con altrettanto amore, cura ed attenzione, restituire al mondo delle ostriche ossia delle storie all’interno delle quali troviamo – in qualunque storia anche le più banali e scontate – delle perle di saggezza.


Queste perle sono le nostre emozioni.

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