I film preferiti di Papa Francesco

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~ LUCA FERDINANDI

Il Papa è morto. E prima ancora che si spengano le campane, prima ancora che inizino i rituali e i bilanci di un pontificato che ha attraversato anni difficili, vale la pena guardare altrove. Verso quella parte silenziosa della sua persona che raramente finisce nei discorsi ufficiali: i suoi gusti cinematografici.

Non è un segreto: Papa Francesco amava il cinema. Lo ha detto più volte. E non da spettatore distratto, ma da osservatore attento, quasi da cinefilo nascosto. Tra i film che più lo hanno segnato, ci sono tre titoli che vi segnalo. Tre opere diversissime, eppure legate da un filo preciso: la capacità di parlare della fragilità umana con occhi pieni di rispetto.

Parliamo di Il pranzo di Babette, La strada di Fellini e I bambini ci guardano di De Sica. Tre film che non sono “a tema religioso”, ma che parlano la lingua dell’etica, della compassione, della redenzione. 

Il pranzo di Babette - Gabriel Axel

Un gesto che vale più di mille prediche

Quando Papa Francesco ha raccontato di aver amato Il pranzo di Babette, lo ha fatto con una luce negli occhi. Questo film danese, tratto da un racconto di Karen Blixen, sembra fatto apposta per lui: parla di silenzio, di sacrificio, di bellezza che si dona senza pretendere nulla in cambio.

Babette è una cuoca francese fuggita dalla guerra civile. Si rifugia in un piccolo villaggio protestante, chiuso e austero, dove vive servendo due sorelle anziane. Quando un giorno le arriva una somma di denaro inaspettata, decide di spenderla tutta per preparare un pranzo memorabile agli abitanti del villaggio. Non una cena qualunque: un banchetto da alta cucina francese, carico di profumi, sapori, dettagli. Il risultato è un momento quasi mistico, in cui anche i cuori più rigidi si aprono, anche i rancori più antichi si sciolgono.

Babette spende tutto quello che ha per offrire bellezza. Non chiede nulla. Non si spiega, non evangelizza. Serve. E lo fa nel linguaggio che conosce: la cucina. È il contrario del proselitismo. È l’annuncio del Vangelo fatto gesto.

"Nel matrimonio è bene avere cura della gioia dell’amore. […] La gioia di tale amore contemplativo va coltivata. Dal momento che siamo fatti per amare, sappiamo che non esiste gioia maggiore che nel condividere un bene: «Regala e accetta regali, e divertiti» (Sir 14,16). Le gioie più intense della vita nascono quando si può procurare la felicità degli altri, in un anticipo del Cielo. Va ricordata la felice scena del film Il pranzo di Babette, dove la generosa cuoca riceve un abbraccio riconoscente e un elogio: «Come delizierai gli angeli!». È dolce e consolante la gioia che deriva dal procurare diletto agli altri, di vederli godere. Tale gioia, effetto dell’amore fraterno, non è quella della vanità di chi guarda sé stesso, ma quella di chi ama e si compiace del bene dell’amato, che si riversa nell’altro e diventa fecondo in lui.

Papa Francesco

La strada (Federico Fellini, 1954)

Dio abita nei personaggi perduti

Se si vuole davvero capire qualcosa del cuore di Papa Francesco, La strada è un passaggio obbligato. Non è un film religioso. È un film sulla miseria umana. E sul fatto che, dentro quella miseria, può ancora esserci redenzione. Gelsomina è una ragazza fragile, venduta dalla madre a un uomo di strada, Zampanò, per fare da spalla nei suoi spettacoli. Lei è ingenua, lui è violento. Il loro rapporto è diseguale, doloroso. Ma anche pieno di zone grigie. Fellini non giudica. Racconta.

Gelsomina, con la sua innocenza quasi infantile, è un personaggio che rimane dentro. Come quei santi che non hanno parole, ma camminano scalzi tra gli uomini. È una figura cristologica, se vogliamo usare un termine pesante. Soffre senza ribellarsi. E lascia una traccia. Persino Zampanò, brutale e insensibile, alla fine è toccato dalla sua assenza. In quella scena finale, quando piange da solo sulla spiaggia, c’è tutta l’ambiguità del perdono.

Papa Francesco ha sempre parlato di periferie, di scarti, di persone invisibili. La strada è il film delle persone invisibili. Di quelli che la società butta via. E Fellini li guarda con pietà, non con commiserazione. La sua macchina da presa è una carezza.

"Io da ragazzo ho visto tanti film di Fellini, ma La Strada mi è rimasta nel cuore”, Quel film incomincia con le lacrime e finisce con le lacrime; incomincia alla riva del mare e finisce alla riva del mare. Ma soprattutto mi è rimasta nel cuore la scena del pazzo con la pietrina, che dà il senso della vita a quella ragazza."

Papa Francesco

I bambini ci guardano (Vittorio De Sica, 1944)

L’infanzia come specchio morale del mondo

Questo è il film meno citato tra i tre, ma forse quello più centrale nella visione del Papa. I bambini ci guardano è uno dei primi film in cui De Sica comincia a distaccarsi dal cinema borghese per affacciarsi al neorealismo. E lo fa con una lucidità impressionante.

La storia è semplice e crudele. Prico, un bambino di pochi anni, assiste impotente alla fine del matrimonio dei suoi genitori. Vede la madre allontanarsi con un altro uomo. Vede il padre affondare nella solitudine. E capisce tutto, senza che nessuno gli spieghi nulla. Il film è tutto costruito sul suo sguardo. I grandi parlano, litigano, mentono. Ma Prico osserva. E quel silenzio è il vero atto d’accusa. Non serve alzare la voce per mostrare la violenza di certe dinamiche familiari. Basta un’inquadratura di un bambino solo a tavola, che aspetta la madre che non torna.

Papa Francesco ha parlato spesso dell’importanza di custodire i più piccoli. E non solo in senso religioso. L’infanzia, per lui, è una lente attraverso cui rileggere il nostro mondo adulto. Se i bambini soffrono, c’è qualcosa che non funziona. Se i bambini ci guardano, siamo chiamati a risponderne.

"Il cinema, si sa, ha contribuito in maniera eccezionale a ricostruire il tessuto sociale con tanti momenti aggregativi. Quante piazze, quante sale, quanti oratori, animati da persone che, nella visione del film, trasferivano speranze e attese. E da lì ripartivano, con un sospiro di sollievo, nelle ansie e difficoltà quotidiane. Un momento anche educativo e formativo, per riconnettere rapporti consumati dalle tragedie vissute... Come non ricordare anche le grandi produzioni che hanno raccontato quegli anni? Mi piace citare - perché lo sento molto familiare a questo nostro incontro - il film I bambini ci guardano. È un lavoro bello e ricco di significati. Voi italiani avete fatto questo con i vostri grandi maestri, non dimenticatevene. E io non parlo per sentito dire, quei film ci hanno formato il cuore. Occorre riprendere questo, quei film erano una grande scuola di umanità".

Papa Francesco

Guardando questi tre film, non si può non notare un filo comune: la centralità della persona. Non l’ideologia, non la dottrina. Ma la persona. Con i suoi dolori, i suoi desideri, la sua capacità di resistere anche quando tutto sembra perduto.

Papa Francesco non ha mai fatto del cinema uno strumento di propaganda. Lo ha amato come si ama un linguaggio parallelo. Un modo per dire cose che le parole della teologia non riescono a dire. La misericordia, per esempio. O la dignità. O la bellezza che nasce dal basso.

Non sono film edificanti. Non danno risposte. Ma pongono domande vere. Ed è questo, forse, che li rende così vicini a un pontefice che ha sempre messo in discussione le certezze. Che ha scelto il nome di Francesco, e con esso un’idea di chiesa povera, essenziale, capace di piangere.

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