Film che hanno fatto la storia - \"M - Il mostro di Düsseldorf\" (1931)

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~ LA REDAZIONE DI RC

Il cinema è una macchina del tempo. Ogni film è una finestra su un’epoca, un riflesso delle idee, delle tecnologie e delle sensibilità artistiche che lo hanno generato. Guardando i film che hanno segnato la storia del cinema, possiamo osservare non solo l’evoluzione del linguaggio cinematografico, ma anche i cambiamenti culturali, sociali e tecnologici che hanno trasformato il modo in cui raccontiamo e viviamo le storie.

Ci sono film che hanno introdotto innovazioni tecniche rivoluzionarie, altri che hanno ridefinito il concetto stesso di narrazione. Alcuni hanno lasciato un’impronta indelebile nella cultura popolare, altri hanno cambiato per sempre il modo in cui pensiamo al cinema. Ogni grande film è il risultato di un momento storico preciso, di scelte artistiche coraggiose e di attori, registi e sceneggiatori che hanno saputo trasformare il loro tempo in immagini indimenticabili.

Questa rubrica esplora quei film che, per un motivo o per un altro, hanno lasciato un segno nella storia del cinema. Opere che hanno cambiato il modo in cui il pubblico guarda il grande schermo, influenzato generazioni di cineasti e ridefinito i confini di ciò che il cinema può essere.

Il film di oggi è...

M - Il mostro di Düsseldorf

Con M – Il mostro di Düsseldorf, Fritz Lang entra nel sonoro e cambia di nuovo le regole del gioco. Dopo Metropolis (1927), un monumento della fantascienza visiva, Lang torna alla cronaca nera per raccontare qualcosa di più terreno, ma non meno disturbante: l’incubo che prende forma tra le strade, nei cortili e nei corridoi delle città tedesche.

Realizzato nel 1931, M è uno dei primi film sonori tedeschi, ma più che affidarsi alla novità del suono come espediente spettacolare, Lang lo usa in maniera essenziale, calcolata e – soprattutto – narrativa. Ogni elemento sonoro, ogni silenzio, ogni eco, ha una funzione drammaturgica. Il film racconta la caccia a un assassino di bambine, ma non si ferma al racconto poliziesco. Mette in discussione la giustizia, la colpa, la società.

È un film sul male, ma anche su chi decide chi è il male. È un film di ombre e sospetti, di giustizieri e tribunali improvvisati. Ed è anche un film che riesce a fare qualcosa di apparentemente impossibile: umanizzare il mostro, senza assolverlo.

La trama: la città sotto assedio

In una grande città tedesca (mai nominata, ma chiaramente ispirata a Düsseldorf), una serie di bambini scomparsi e uccisi getta la popolazione nel panico. Il killer è un uomo solitario, senza legami, che adesca le sue vittime con gentilezza, regala loro caramelle o palloncini, e poi scompare. Nessuno lo conosce, nessuno sa chi sia.

L’intera città entra in uno stato di isteria collettiva. La polizia è sotto pressione, perquisisce, interroga, sospetta di tutto e tutti. I cittadini iniziano a guardarsi con sospetto, ogni uomo solo diventa un potenziale mostro. Nel frattempo, anche la malavita è infastidita dall’operato del maniaco: la polizia, nel tentativo di trovare l’assassino, ha aumentato la sorveglianza in tutta la città, rendendo impossibile il lavoro quotidiano dei ladri, dei truffatori e dei ricettatori. È allora che i criminali decidono di agire: organizzano una rete di informatori, reclutano mendicanti per sorvegliare la città e iniziano la loro personale caccia al mostro.

Il killer, Hans Beckert (interpretato da Peter Lorre), viene infine identificato grazie a un trucco: un mendicante cieco lo riconosce dal fischiettio – "In the Hall of the Mountain King" di Grieg – che accompagna ogni suo omicidio. Un borseggiatore gli appone sulla schiena una grande "M" con il gesso. L’intera città è ormai un campo di caccia. Beckert viene catturato dalla malavita e portato davanti a un tribunale improvvisato in un magazzino abbandonato. I criminali lo accusano, lo interrogano, lo giudicano. E lì, in quella scena tra le più tese e inquietanti della storia del cinema, il mostro parla. Si difende. E il film cambia prospettiva.

Hans Beckert: un mostro umano

La grandezza di M sta anche (e forse soprattutto) nel modo in cui Lang costruisce il personaggio di Hans Beckert. Non lo mostra come una figura sadica o demoniaca, ma come un uomo profondamente disturbato, tormentato da impulsi che non riesce a controllare. 

Lang non giustifica il suo personaggio. Ma lo fa parlare, lo mostra in tutta la sua miseria umana, in tutta la sua solitudine patologica. Beckert non è un mostro mitologico, ma un uomo. E proprio per questo fa ancora più paura. È una scelta radicale per l’epoca: invece di costruire il “cattivo perfetto”, Lang ne fa un individuo che vive in mezzo agli altri, indistinto nella folla. E la domanda implicita che il film ci rivolge è inquietante: quanti altri come lui ci sono là fuori?

Il sonoro come linguaggio

Essendo uno dei primi film sonori tedeschi, M non si affida a dialoghi eccessivi o a effetti sonori vistosi. Lang capisce subito che il suono può essere un elemento di regia, tanto quanto il montaggio o l’inquadratura.

Il fischio che Beckert canticchia è la chiave dell’intero film. È il suono che lo precede, lo tradisce, lo smaschera. È un leitmotiv musicale che diventa parte della narrazione. Lang lo usa per creare suspense, come un presagio: quando sentiamo quel fischio, sappiamo che qualcosa di terribile sta per accadere.

Ma il film è pieno anche di silenzi. Lunghi momenti in cui la tensione cresce solo grazie alla composizione dell’inquadratura, al movimento degli attori, all’uso dell’ombra. Lang porta con sé tutta l’esperienza dell’Espressionismo muto e la fonde con la novità del sonoro. Il risultato è un film che parla più con ciò che non dice che con le parole.

Un thriller, ma anche una riflessione politica e sociale

M è spesso definito come il primo grande film poliziesco psicologico, e lo è. Ma è anche molto di più. È un film che riflette sulle dinamiche sociali della Germania tra le due guerre, sulla crisi delle istituzioni, sulla giustizia fai-da-te, sull’ossessione per l’ordine e sul bisogno di trovare un capro espiatorio.

Nel 1931, la Repubblica di Weimar è al collasso. Il nazismo sta crescendo. Le tensioni sociali sono altissime. In questo contesto, Lang realizza un film in cui lo Stato perde il controllo e i cittadini decidono di farsi giustizia da soli. Il fatto che il processo a Beckert sia condotto da criminali – e non da giudici – è un’allegoria inquietante di ciò che stava per accadere: la sostituzione della legge con l’autorità della strada.

Lang, però, non prende una posizione netta. Non ci dice da che parte stare. Mostra una società malata, dove il mostro è dentro e fuori le istituzioni. E ci chiede: chi può giudicare davvero?

Curiosità e influenze

Il titolo originale era semplicemente M. Nessun sottotitolo. La dicitura “Il mostro di Düsseldorf” fu aggiunta dopo, in riferimento a un caso reale (il serial killer Peter Kürten) che ispirò in parte la sceneggiatura.

Lang si documentò a fondo sulle tecniche investigative e sul funzionamento della polizia criminale tedesca per rendere il film il più realistico possibile

.

Il film fu inizialmente vietato dai nazisti. Dopo l’ascesa al potere, venne bandito per “simpatia verso i criminali”.

M ha influenzato registi come Hitchcock, Kurosawa, Coppola e Fincher. I suoi codici visivi si ritrovano in thriller moderni come Zodiac, Seven, Memories of Murder.

Conclusione: un classico inquietante e attualissimo

A più di novant’anni dalla sua uscita, M – Il mostro di Düsseldorf resta un film disturbante, teso, moderno. È uno di quei film che continua a parlare allo spettatore contemporaneo, perché il male che racconta non è legato a un’epoca, ma a una condizione umana.

Fritz Lang firma un’opera che non dà risposte, ma fa domande difficili. Chi è il mostro? Chi decide cos’è la giustizia? E, soprattutto: cosa ci dice il male su chi siamo noi, come individui e come società?

M non ha bisogno di mostri sovrannaturali o effetti speciali. Il suo orrore è tutto umano. E proprio per questo, fa ancora paura.

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