Film che hanno fatto la storia del cinema - \"Nanuk l'esquimese\" (1922)

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~ LA REDAZIONE DI RC

Il cinema è una macchina del tempo. Ogni film è una finestra su un’epoca, un riflesso delle idee, delle tecnologie e delle sensibilità artistiche che lo hanno generato. Guardando i film che hanno segnato la storia del cinema, possiamo osservare non solo l’evoluzione del linguaggio cinematografico, ma anche i cambiamenti culturali, sociali e tecnologici che hanno trasformato il modo in cui raccontiamo e viviamo le storie.

Ci sono film che hanno introdotto innovazioni tecniche rivoluzionarie, altri che hanno ridefinito il concetto stesso di narrazione. Alcuni hanno lasciato un’impronta indelebile nella cultura popolare, altri hanno cambiato per sempre il modo in cui pensiamo al cinema. Ogni grande film è il risultato di un momento storico preciso, di scelte artistiche coraggiose e di attori, registi e sceneggiatori che hanno saputo trasformare il loro tempo in immagini indimenticabili.


Questa rubrica esplora quei film che, per un motivo o per un altro, hanno lasciato un segno nella storia del cinema. Opere che hanno cambiato il modo in cui il pubblico guarda il grande schermo, influenzato generazioni di cineasti e ridefinito i confini di ciò che il cinema può essere.


Il film di oggi è...

Nanuk l'esquimese

Oggi siamo abituati a vedere documentari che raccontano la realtà con tecnologie avanzate, narrazioni immersive e immagini spettacolari. Ma c’è stato un momento in cui il documentario, come lo conosciamo oggi, ancora non esisteva. E quel momento cambiò grazie a un film: Nanuk l'esquimese (Nanook of the North), diretto da Robert J. Flaherty nel 1922.


Si tratta di un’opera che ha definito il concetto stesso di cinema documentario, raccontando la vita quotidiana di una famiglia Inuit nel duro ambiente dell’Artico. Ma è anche un film che ha sollevato discussioni su quanto il documentario debba essere una registrazione oggettiva della realtà e quanto invece sia una costruzione narrativa influenzata dal regista.

La trama: la vita nell’Artico

Nanuk l'esquimese segue Nanuk, un cacciatore Inuit, e la sua famiglia, mostrando la loro lotta quotidiana per la sopravvivenza in un ambiente ostile. Vediamo Nanuk costruire un igloo, cacciare foche, pescare tra i ghiacci e affrontare tempeste di neve. Il film ritrae uno stile di vita che, già all’epoca, stava scomparendo con l’arrivo delle influenze occidentali.


Flaherty racconta la storia con uno sguardo intimo e partecipe, trasformando la vita quotidiana di Nanuk in un viaggio epico attraverso paesaggi mozzafiato. Il film non ha una narrazione tradizionale, ma è strutturato in una serie di episodi che mostrano diversi aspetti della vita Inuit, dando allo spettatore un senso di immersione nella cultura e nelle difficoltà di questo popolo.

Una realtà (parzialmente) costruita

Uno degli aspetti più discussi di Nanuk l’eschimese è il suo rapporto con la realtà. Oggi sappiamo che Flaherty mise in scena alcune situazioni per rendere il film più narrativo e coinvolgente. Ad esempio, le tecniche di caccia mostrate non erano più quelle effettivamente utilizzate dagli Inuit in quel periodo: Nanuk e la sua famiglia vennero persuasi a tornare a metodi più antichi per rendere il film più “autentico”.


Anche il modo in cui i personaggi vengono rappresentati è filtrato da una visione occidentale. Il nome stesso “Nanuk” (che significa “orso” in Inuktitut) fu scelto da Flaherty, mentre il vero nome del protagonista era Allakariallak. Nel film viene mostrato Nanuk che scopre con meraviglia un grammofono, sottolineando la distanza tra la sua cultura e la modernità occidentale, ma in realtà gli Inuit già conoscevano e usavano oggetti simili.


Queste manipolazioni sollevarono, e continuano a sollevare, una domanda fondamentale: un documentario deve essere una ripresa oggettiva della realtà o è sempre una costruzione soggettiva del regista? Flaherty scelse chiaramente la seconda strada, creando un’opera che fosse più coinvolgente ed emozionante, anche a costo di sacrificare alcuni elementi di autenticità.

L’importanza di Nanuk l’eschimese

Nonostante queste controversie, Nanuk l’eschimese resta un film fondamentale per la storia del cinema. È considerato il primo vero documentario e ha definito molte delle regole e delle convenzioni del genere.



1. Il documentario come racconto cinematografico


Flaherty costruì una narrazione visiva che desse al film un senso di storia e di progressione drammatica. Questo approccio è ancora oggi alla base del documentario moderno, che non è mai solo un insieme di immagini, ma una costruzione narrativa pensata per coinvolgere lo spettatore.



2. L’uso della macchina da presa nel documentario


Per realizzare il film, Flaherty trascorse anni tra gli Inuit, sviluppando un rapporto di fiducia con loro. Questo gli permise di riprendere la loro vita con un’intimità che, per l’epoca, era senza precedenti. Il suo stile di ripresa, con inquadrature fisse e attenzione ai dettagli della vita quotidiana, influenzò profondamente il cinema documentaristico successivo.



3. L’importanza dell’ambientazione


Uno degli elementi più potenti del film è il modo in cui l’ambiente artico diventa un protagonista della storia. Il ghiaccio, il vento, le tempeste di neve non sono solo lo sfondo, ma forze vive che modellano l’esistenza dei personaggi. Questo uso del paesaggio come elemento narrativo ha ispirato innumerevoli cineasti, dal documentario naturalistico ai film d’autore.

L’eredità del film e il dibattito sull’etica documentaristica

Oggi Nanuk l’eschimese è studiato non solo per il suo valore cinematografico, ma anche per il dibattito che ha generato sul confine tra documentario e finzione. Il film ha aperto la strada a molti altri grandi documentaristi, come Dziga Vertov (L’uomo con la macchina da presa, 1929) e Jean Rouch (Moi, un noir, 1958), che hanno sperimentato con il rapporto tra realtà e messa in scena.


Allo stesso tempo, il film è stato criticato per la sua rappresentazione romantica e paternalistica degli Inuit, che vengono mostrati come “nobili selvaggi” in lotta contro la natura, un’immagine che ha influenzato a lungo la percezione occidentale dei popoli indigeni.


Negli anni successivi, registi come Werner Herzog e Joshua Oppenheimer hanno esplorato in modo ancora più radicale il concetto di documentario come costruzione soggettiva, riconoscendo che la realtà filmata è sempre filtrata dallo sguardo del regista.



Conclusione: il primo grande documentario della storia del cinema


Nanuk l’eschimese è un film che ha posto domande fondamentali sulla natura del cinema e sul rapporto tra realtà e rappresentazione. Con la sua combinazione di realismo e costruzione narrativa, Flaherty ha dimostrato che il documentario poteva essere tanto coinvolgente quanto il cinema di finzione, aprendo la strada a un genere che oggi è più vivo che mai. E, nonostante le controversie, l’impatto visivo e emotivo del film rimane straordinario. Ancora oggi, guardando le immagini di Nanuk che lotta contro il gelo e la fame, sentiamo la stessa forza e la stessa meraviglia provate dagli spettatori di un secolo fa.

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