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~ CLAUDIA LAZZARI

Roma, 1980. Goliarda Sapienza (Valeria Golino) esce di prigione, dopo un breve soggiorno causato da un furto di gioielli, che ha poi rivenduto per guadagnare qualche soldo. Il suo lavoro, infatti, non frutta: l'unico libro pubblicato non è stato degno di nota, le collaborazioni giornalistiche e le correzioni di bozze sono ugualmente non d'aiuto. 

Il suo disincanto, il senso di non appartenenza al mondo, lo straniamento che l'affligge soprattutto in compagnia delle persone e la sua arte incompresa, sono elementi inaspriti dal soggiorno in carcere, che la lega molto di più al mondo dentro che a quello fuori

Tornata alla realtà, infatti, trova conforto solo nella compagnia di Roberta (Matilda De Angelis) e Barbara (Elodie), sue compagne di cella. Le due donne, con la loro sfacciata appartenenza alla parte "bassa" della città, incarnano le pulsioni di Goliarda, le emancipazioni più profonde, la libertà e la possibilità che l'avanzare dell'età sembra averle tolto. 

Forte è, dunque, il contrasto tra il distacco e il disagio che la scrittrice non riesce a non esprimere e la goliardica potenza delle due donne, soprattutto quella di Roberta. A quest'ultima, Goliarda si legherà affettivamente, provando uno slancio emotivo che tutto confonde: amore, alter ego, figlia perduta che cerca una madre e madre perduta in cerca di qualcuno da accudire. Goliarda si sente libera attraverso il rapporto con Roberta e Roberta si sente protetta e confortata, in assenza di una famiglia che mal tollera le sue sovversioni politiche e, certamente, la sua dipendenza da eroina. Roberta è una donna perduta che, prima di perdersi davvero, lascia a Goliarda gli spunti per scrivere l'opera realmente esistente "L'università di Rebibbia", da cui è tratta tutta la conoscenza per la stesura di questa storia. Tutto ciò, mentre L'arte della gioia già giaceva sulla scrivania, preludio di una delle rivoluzioni letterarie non accettate, denigrate e approvate solo dopo il focoso successo francese. 

Mario Martone e Ippolita di Majo scrivono un'opera dalle sensazioni così palpabili che gli spazi della storia sembrano appartenerci: la casa di Goliarda dalla quale rischia di essere sfrattata, la Roma degli anni di piombo, sconfortata e bellissima, Rebibbia e i suoi esterni di selvaggia natura, i colori di un'epoca andata e che tutt'ora vorremmo afferrare con le mani. Un film fatto di gesti e di frasi che instillano l'intimità così profondamente da pizzicare le corde più toccanti dell'animo. Una storia di verità umana che risiede, come sempre, nella nullatenenza, nell'aggrapparsi alle cose semplici, necessarie, che sono quelle che ti tengono su molto più facilmente rispetto al possedere la complessità del consumo che già avanzava. Golino, De Angelis ed Elodie, si scompongono e si ricompongono con maestria, belle e imponenti nei loro caratteri, vere e precise nei disagi che non scalfiscono mai il loro essere presenti, anche nell'illusione. 

Valeria Golino, che già dirigendo L'arte della gioia aveva profondamente scavato nella personalità di Goliarda Sapienza, mette in scena una Modesta cresciuta, non pronta ad invecchiare, alla ricerca di uno spazio concreto di compiutezza, di gioia, creato a fatica in gioventù e sfumato con l'età nemica. Nemica degli altri.

"So gli altri che ci fanno ammalare". 

Un film che profuma di sensazioni leggere, anche se nostalgiche, di speranza, nonostante il momento di perdizione emotiva e pratica che dipinge. 

Un fatto di donne, che per sempre sarà, uno di quelli che spiega bene, per cui mi sento grata.

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