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Articolo a cura di...
~ CLAUDIA LAZZARI
Cosa ne è delle donne della criminalità organizzata? Qual è il loro ruolo nelle "migliori" famiglie dei paesi, quale la loro educazione e la loro condizione di mogli e madri?
The good mothers è una serie, a mio avviso, passata un pò troppo in sordina rispetto al resto. Con la regia di Elisa Amoruso e Julian Jarrold, la serie è un'opera corale che narra le vicende di alcune donne cresciute nella 'ndrangheta calabrese, che decidono di collaborare con una coraggiosa procuratrice.
Le vicende sono tratte da una storia vera, in particolare racchiusa nel libro "The good mothers" di Alex Perry e le vicende sono scritte da Stephen Butchard.
La p.m. Anna Colace (Barbara Chichiarelli) ha un'idea che potrebbe far saltare tutta la n'drangheta principale che risiede in un paese calabrese: abbattere i clan dall'interno, arrivando alle donne che li custodiscono e aiutandole ad allontanarsi dalle proprie famiglie, diventando testimoni di giustizia.
Lea Garofalo (Micaela Ramazzotti) partecipa al programma di protezione con sua figlia Denise Cosco (Gaia Girace). Dopo diversi anni trascorsi sotto identità false e cambiando continuamente città, Lea ritorna da suo marito, il boss Carlo Cosco, con la speranza di essere perdonata e di dare a sua figlia una stabilità. La donna viene fatta sparire subito. Poi c'è Giuseppina Pesce (Valentina Bellè), moglie del boss detenuto Salvatore Pesce, che decide di entrare nel programma dopo essere stata arrestata in compagnia del suo amante: diseredata per aver disonorato la famiglia, al di là delle sue dichiarazioni, la pericolosità dell'adulterio le conferisce una spinta ancor maggiore nel tentativo di mantenere la sua decisione.
Maria Concetta Cacciola (Simona Distefano), migliore amica di Giuseppina e figlia del boss Cacciola, vive praticamente una condizione di isolamento ancor maggiore di Giuseppina, essendo stata scoperta a scambiare dei messaggi con altri uomini. Trova il coraggio di denunciare la propria famiglia quando dopo la notizia delle testimonianze di Giuseppina, complice anche una violenta carrellata di botte dategli da suo padre; Concetta, però, non sopravviverà, si suiciderà dopo aver cercato il perdono della famiglia, come aveva tentato Lea. La sua morte farà sì che Giuseppina, dopo aver deciso di ritornare a casa, ritorni sui suoi passi.
Denise Cosco, che si innamorerà - senza saperlo - del braccio destro di suo padre, coinvolto nell'omicidio della madre, riuscirà a far condannare definitivamente tutta la sua famiglia; lo stesso vale per Giuseppina Pesce, che porterà avanti la lotta anche per Concetta.
Questa storia parla di donne in uno dei contesti più maschili che esista e ne evidenza la loro condizione sociale perfettamente applicabile a quella esterna alla criminalità, nella sua forma più violenta e arcaica, come solo in posti profondamente arretrati e altrettanto radicati può esistere. Le protagoniste sono intrappolate nel loro ruolo di donne, di mafiose, di madri e di sorelle. Nella forma più drammatica, diventano anche prigioniere dei propri figli che, educati dalle famiglie di appartenenza e troppo irrazionali per comprendere la pericolosità della loro posizione, non capiscono le scelte coraggiose delle proprie madri, contribuendo in maniera notevole alle loro scelte e al loro dolore.
Anna Colace e Giuseppina Pesce, in particolare, sviluppano un rapporto che evidenzia una stessa personale natura: la Colace è una donna durissima, che lotta di continuo con le proprie emozioni - che la bravissima Chichiarelli ci sbatte in faccia nella loro forma più velata - per scindere il proprio dovere dal modo in cui le vite con cui si interfaccia la colpiscono nel personale; la Pesce affronta la sua vita in maniera assolutamente anticonvenzionale, sia tiene la fama di "puttana" guadagnata in paese, i maltrattamenti della famiglia, continuando a "parlare troppo" e tentando, inizialmente, anche davanti alla p.m. di mantenere la propria corazza come se fosse convinta di star vivendo comunque in un contesto di giusti valori. Lei non subisce, ma non dà neanche il taglio netto, prima dello sviluppo degli eventi, per tenersi quanto più integra possibile all'interno del suo subconscio. Madri, nonne e sorelle di questa vicenda sono assolutamente succubi e più o meno convinte della giustezza della loro posizione. Solo la sorella di Lea, zia Marisa (Alessandra Roca), offre a Denise un appoggio quanto meno emotivo e aperto e concorde con le sue posizioni antisistemiche. Grazie alla sua consapevole permissività e all'appoggio dell'avvocata di sua madre, Denise riesce pian piano a trovare il coraggio di sfuggire a suo padre e, con l'arresto di Carmine Venturino (Andrea Dodero) da lei amato, ma rivelatosi complice nell'assassionio di sua madre, vince totalmente la propria paura.
La regia e il cast sono esemplari: durezza interpretativa, sottolineata da ombre e chiariscuri, controluce e inquadrature dai tratti mistici e fiabeschi. Punti di vista racchiusi in quadri originali, che parlano in pochi frame. Introspezione tanto più potente quanto più è trattenuta, le parole l'accompagnano con un'ambiguità che ne chiarisce perfettamente le emozioni.
Un crime potente, equilibrato, non facilmente prevedibile, commovente e potente, premiato al festival di Berlino. Un crime femminile e il modo in cui mi ha colpito è direttamente proporzionale al grande sentimento di scontatezza che provo nel non averne, personalmente, sentito molto parlare. Io stessa lo recupero dopo due anni, ricordandomi una pubblicità che tempo fa aveva attirato la mia attenzione. Crime, più criminalità organizzata, più donna, più assenza di sparatorie, inseguimenti e morti violente? Mix acchiappa pubblico?!
Io voglio che chi non lo abbia visto lo recuperi e ne parli con noi. Fila dritto negli ultimi prodotti che stanno asfaltando la piattezza del panorama cinematografico recente. Un'ottima prova di cinema femminile in cui tutti gli elementi funzionano e strabordano di personalità.
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