Recensione - \"Diamanti\" di Ferzan Özpetek a cura di Massimiliano Aita

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Recensione a cura di...


~ MASSIMILIANO AITA

Sono appena rientrato.


Ho visto mio nipote a teatro.


Domani devo partire per Prato.


Ho la prova generale.


Dovrei andare a letto.


Dormire.


Dovrei.


Non posso, non riesco.


Mi scaldo l’ennesima tazza di caffè solubile.


Mi metto al pc.


E comincio.


Comincio a raccontare di un pomeriggio in cui avevo bisogno di emozionarmi ancora davanti ad un nuovo film.


Ed ho visto il presente ed il futuro del cinema italiano: il suo nome è Ferzan Özpetek.


Sto citando consapevolmente la famosa frase di Jon Landau su Bruce Springsteen perché credo che l’allora giornalista di Rolling Stone abbia provato le stesse sensazioni che ancora adesso provo io.


Ho il cuore in subbuglio.


Il sangue scorre velocemente, troppo velocemente.


La testa è piena di pensieri che si sovrappongono, si aggrovigliano.


Da dove inizio mi chiedo?


Potrei prendere avvio dalla definizione che il Vocabolario Treccani online dà di “capolavoro”: miglior opera di un’artista oppure opera, in senso ampio, di qualità eccellente.


Bene, a Diamanti si attagliano entrambi i significati.


E’ il capolavoro di Özpetek ed è un film che raggiunge vette poetiche ineguagliate in questo 2024.

Dipenderà forse dall’ambientazione: un atelier sartoriale; dipenderà forse dalla prova attoriale stellare di Luisa Ranieri e Jasmine Trinca; dipenderà dalla capacità di Özpetek di maneggiare con cura le qualità dei propri attori al punto da rendere persino Geppi Cucciari graffiante senza fastidiosi eccessi.


Io non lo so da cosa dipende.


So che tutta la narrazione sembra una sinfonia in tempo crescente: adagio, andante, mosso, allegro, presto.


Una prova corale in cui la storia personale di ciascuna delle diciotto (diciotto) coprotagoniste femminili diventa storia condivisa e quindi comune.


Questo film rappresenta la più emblematica smentita di uno degli insegnamenti fondamentali che ti impartiscono ai laboratori di sceneggiatura: il protagonista deve essere uno o al massimo la stessa storia deve essere vista con occhi diversi.


In Diamanti, come ho detto, accade che molteplici rette entrano apparentemente in rotta di collisione le une con le altre ma il momento di rottura diviene, al contrario di quanto si aspetta lo spettatore, momento di fusione e punto cardine dell’evoluzione dei personaggi.

Tutta questa complessità d’intreccio per raccontare una fabula apparentemente semplice: il percorso dell’atelier verso la creazione dei costumi per il più importante film dell’anno.


Ed oltre alle attrici sono i costumi i veri protagonisti del film.


Costumi d’epoca e nello stesso tempo moderni; tanto pesanti nella loro struttura quanto leggiadri nella loro capacità di trasmettere emozioni.


Tutto ciò viene reso possibile da una fotografia che non so se sia perfetta dal punto di vista tecnico ma ragazzi dal punto di vista della comunicazione “spacca”.


Le inquadrature possono sembrare banali (si oscilla quasi sempre tra primi piani, campi medi con l’abituale ricorso a campi e controcampi) ma hanno il tempo “giusto”.


E’ come se Özpetek fosse un direttore d’orchestra che dà l’attacco a quello specifico movimento, a quello specifico strumento con un diverso posizionamento della macchina da presa.


Posizionamenti che mai appaiono frutto di scelte costruite a tavolino ma sembrano assecondare il naturale corso della narrazione.


A proposito, sono uscito dal cinema piangendo.


Perché c’è tanta bellezza in questo mondo.


Basta saperla cogliere.

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