Michele Posa: L'Arte dello Storytelling nel Wrestling - Intervista Esclusiva

Unisciti alla nostra Community Famiglia! Compila il "FORM" in basso, inserendo il tuo nome e la tua mail, ed entra nell'universo di Recitazione Cinematografica. Ti aspettiamo!


Non giudicare un libro dalla copertina.


~BELLE

VOGLIO AVVENTURE IN LUOGHI SCONOSCIUTI!

Benvenuti nella "Biblioteca di Belle", uno spazio dedicato a esplorare le diverse sfaccettature dell'arte della recitazione e del cinema. Oggi ci addentreremo in un mondo spesso percepito ai margini dell'arte performativa: il wrestling, grazie a un'intervista che ha tenuto uno dei Founders della nostra Community a Michele Posa, storico telecronista di Wrestling. Attraverso la sua esperienza scopriremo come la narrazione, l'espressione corporea e la presenza scenica siano elementi cruciali anche in questo ambito. Come attori e attrici, possiamo imparare molto osservando professionisti in campi apparentemente distanti dal nostro, ma che condividono la stessa essenza di storytelling e interpretazione.

MICHELE POSA: RACCONTARE WRESTLING DAL BORDO RING AL WEB


Michele Posa è da più di 20 anni la voce ufficiale del wrestling WWE in Italia insieme al suo partner di sempre Luca Franchini. In questi 20 anni ha raccolto esperienze uniche, tra cui la possibilità di “telecronare” da bordo ring in occasione di Wrestlemania 31 ed in occasione dell’unica puntata di Monday Night Raw registrata in Italia, al Mediolanum Forum di Milano. Oggi Michele Posa ci parla della sua esperienza, portando la testimonianza di un professionista della TV che, in oltre 20 anni, ha raccontato le gesta degli eroi del ring a generazioni di appassionati.


SIMONE: Spesso racconti di come la tua vocazione per la telecronaca sia nata quando eri piccolo, qual è stato l’elemento che ti ha acceso la scintilla?


MICHELE POSA: Credo che sia stato lo stupore, da bambino ogni cosa è nuova. Sei costantemente un Cristoforo Colombo che scopre nuove terre. Ed il wrestling era un qualcosa che usciva dai canoni di tutto ciò che vedevo. I cartoni animati come Mazinga o Jeeg Robot, per quanto banale possa sembrare, erano un prodotto della fantasia; mentre gli eroi del wrestling erano reali ed i narratori te li raccontavano come se la loro storia fosse un qualcosa di epico, di reale e le emozioni che mi trasmettevano lo erano. Quelle immagini riuscirono ad accendere in me una corrispondenza di amorosi sensi che mi condizionò molto. In più da giovani si culla dentro di sé quel fuoco da barbaro, quell’entusiasmo che ti porta a dire “mi metto alla prova”, quel coraggio che si accende ed il wrestling incarnava tutto ciò, perché il combattimento è insito nella nostra natura. Poi, va ovviamente veicolato nella maniera corretta, il wrestling non ha uno scopo pedagogico, ma comunque ti faceva sentire una vibrazione unica. In seguito ho scoperto di poter ambire al sogno di telecronare, possedendo e coltivando il talento della parola, ma questo è arrivato molto dopo.


SIMONE: Comunque, lo stupore è complesso da alimentare. Come hai fatto ad alimentarlo per così tanti anni?


MICHELE POSA: Beh, diciamo che dopo più di 30 mila ore di telecronaca e, probabilmente molte di più da spettatore, oggi lo stupore si è per lo più spento, ma è normale. Il wrestling è ripetitivo nelle sue formule, non può farti saltare ogni volta dalla sedia, ma quella piacevolezza data dallo stupore è stata sostituita da altre cose, collegate all’età che è cambiata, che hanno fatto perdurare la voglia di vederlo, e poi di commentarlo e, successivamente, di analizzarlo anche in altri media come internet. Andare a ricercare i meccanismi della scrittura, le piccolezze degli atleti, la ricerca degli aneddoti, anche la voglia di aumentare la mia conoscenza lessicale per raccontarlo. Quindi, dopo lo stupore iniziale, si sono accesi tanti focolai aggiuntivi che mi hanno permesso di mantenere l’entusiasmo della prima telecronaca, con un pò meno di emozione data dall’esperienza.


SIMONE: Ma questa conoscenza non rischia di intaccare il tuo lavoro?


MICHELE POSA: Non tanto. Il “professionista Michele Posa di wrestling”, chiamiamolo così, cambia e muta a seconda di dov’è. In telecronaca so quali sono i confini, così come su Internet o come, in questo caso, in un’intervista. E’ come se cambiassi personalità. A seconda di ciò che accade, il mio essere fan e la mia conoscenza si “camaleontano” per aderire all’occasione e, paradossalmente, la cosa più bella è raccontare il wrestling quando entro nello stato nel quale per me, ciò che vedo, è reale. Non avverto questo rischio, perché ogni situazione richiede un racconto differente e riesco facilmente ad adattarmi all’habitat in cui mi trovo.


SIMONE: Cosa vuol dire fare una bella telecronaca?


MICHELE POSA: Una buona telecronaca ha due linee guida, la prima è alla portata di tutti, che è l'italianizzazione di quello che gli atleti dicono e fanno. Cioè rendo il prodotto potabile a tutti togliendolo dalla lingua madre che non è comprensibile per chi non la conosce. La seconda, è il racconto della storia. Il bravo telecronista di wrestling non ha la necessità di chiamare le mosse, ma ti deve far vivere la vicenda raccontata, anche quando riguarda un atleta più marginale o che ti risulta, all’infuori della telecronaca, più indigesto. Devi rendere quello scontro un qualcosa di fondamentale ed imperdibile, tanto da risintonizzarsi la settimana successiva. Non perché ci sei tu con la tua voce, ma perché ci sono loro con una vicenda, che proseguirà chissà come la prossima settimana, e quella dopo ancora. Poi, ci sono altri elementi, come i tormentoni, il bagaglio lessicale, i tempi e l’interazione con il partner.. Il wrestling è una disciplina sportiva a base narrativa. Certo, la federazione ci mette del suo. Se la storia è banale e zoppicante o ha dei buchi fai fatica a raccontarla, ma lì subentri tu con le tue capacità. Sei tu che colmi quei buchi e sei tu che aiuti gli atleti quando commettono errori. Una mossa imperfetta viene derisa dal fan tossico, mentre un telecronista te la giustifica. Non è necessario che le mosse siano perfette, ma è necessario che siano efficaci. Se uno combatte, non cerca l’approvazione dei giudici, non è come il pattinaggio artistico.


SIMONE: Paradossalmente sarebbe più corretto definire il tuo lavoro come quello di un narratore.


MICHELE POSA: Guarda, c’è un documento che la WWE ha inviato ai telecronisti dove vieni definito come “Storyteller”. Sei un Bardo, un pò come il mio soprannome (ride). Durante un incontro Michael Cole (il capo dei telecronisti americani) ci disse che, paradossalmente, potremmo fare una grande telecronaca senza nominare nessuna tecnica. A casa saltano dalla sedia non per la conoscenza tecnica, ma per il racconto emotivo dei personaggi, che può portare la gente ad investire tempo e, successivamente, del denaro nella WWE. Questo non lo disse, ma era sottinteso, che se il telecronista si limitasse ad essere uno che elenca le mosse, sarebbe il primo a rompere la magia, a non fare quello che è giusto. Poi, se racconti anche le mosse, è meglio. In generale, è importante portare gli spettatori in questo mondo, e ci entri tramite gli archetipi, i personaggi, le motivazioni di quest’ultimi, e, soprattutto, con le domande. Cosa faresti? Da che parte stai? Come vorresti che vada a finire? Finirà proprio così? Scopriamolo assieme.


SE SOLO POTESSI... VEDERE IL MONDO FUORI DA QUI

SIMONE: Nel 2015 tu ed il tuo partner di sempre Luca Franchini, avete avuto l’onore di telecronare a bordo ring Wrestlemania 31. Come funziona una macchina che coinvolge migliaia di persone?


MICHELE POSA: La risposta è semplice: non lo so. Già nella tua premessa c’è un’ignoranza che non sono in grado di colmare. Ci lavorano migliaia di persone ad una kermesse del genere e, mentre loro lo fanno, tu occupi una piccola casella che devi riempire e non hai la percezione di quello che accade attorno a te, se non attraverso il movimento di tantissime api operaie appartenenti ad una nidiata numerosissima. Una volta mi hanno mandato a cambiare nella stanza dei cameraman ed ho visto che c’erano 50 telecamere con tutta l’attrezzatura degli assistenti. Solo da lì, partivano 100 persone, tutte coordinate da uno staff di dirigenti. E questo è solo uno dei tanti comparti. Mentre tu vivi la tua esperienza, non hai l’esatta percezione di ciò che ti gira attorno.


SIMONE: Qual è la cosa che ti ha lasciato esterrefatto di una macchina produttiva simile?


MICHELE POSA: Direi la meticolosità che c’è dietro alle prove. Prove che, sicuramente, iniziano giorni prima e finiscono poche ore prima che si aprano i cancelli dello stadio. Giorni prima perché negli alberghi in cui risiedono affittano un salone dove montano un ring dove provano i match e, nel giorno stesso, perché li vedi. Anche solo per una persona che esce per un piccolo segmento. Mi ricordo che The Rock, prima di Wrestlemania 32, provò per 40 minuti di fronte a Vince McMahon (l’allora capo creativo della WWE) il momento in cui esce ed incendia una scritta col lanciafiamme; il tutto mentre altri atleti provavano altre cose in altre zone dell’arena. Oppure abbiamo visto Stephanie McMahon provare diverse volte un discorso. Durante lo show andò molto bene, ma in una delle prove andò molto meglio. Paradossalmente, ho visto la versione migliore possibile che nessun altro ha visto. Oppure, a Wrestlemania 34, ho visto Ronda Rousey provare l’ingresso una decina di volte davanti a dei dirigenti che le davano diverse indicazioni sulla velocità e sull’espressione da tenere. Sembra una fesseria, ma sono aspetti fondamentali. Non devi essere né troppo lento né troppo veloce. Devi avere l’espressione giusta. Sono queste le cose che mi hanno sorpreso, dettagli che non si vedono se non nelle foto pubblicate che sono, tra l'altro, quelle meno viste perché non riguardano un risultato, uno scoop o un aneddoto. Raccontano, però, del lavoro enorme che c’è dietro. Sono riusciti a raggiungere un livello così alto che diventa una notizia quando sbagliano.


SIMONE: Prima tu hai accennato ai tuoi canali Youtube e Twitch. Cosa porta un professionista della televisione ad andare su queste piattaforme?


MICHELE POSA: Lo scoprire una piattaforma che guardavo con diffidenza. Però poi ho compreso che era un buon palcoscenico per raccontare ulteriormente lo show con tempi e profondità differenti. In aggiunta, mi sono accorto che è un bene per te stesso perché confermi la tua presenza mediatica come una delle fonti principali connesse al wrestling. Quindi, più che dal punto di vista economico che, per me, è marginale; ho la possibilità di parlare di wrestling sotto l’aspetto che mi piace, cioè quello giornalistico e di analisi, senza i tempi della telecronaca. E poi è strategico, perché i numeri social oggi sono importanti sia per gli sponsor che per le emittenti. Prima c’erano pochi modi per restare legati ad un interesse, oggi si sono moltiplicati e non esserci è quasi un autogol. Conscio dei limiti e del tempo che posso dedicarci, ho deciso di avvicinarmici.


SIMONE: Poi, tu sei un po’ un precursore dei telecronisti online.


MICHELE POSA: Si, quando ho iniziato era anche più complicato a causa dei tempi di caricamento dei video. Grazie alla banda larga chiunque può tentare questa strada. Sono su questi social da tanto, ne sono tutto sommato contento e mi piacerebbe che diventassero un lavoro parallelo. La strada è lunga, ma perduriamo.


SIMONE: Perchè tutto sommato?


MICHELE POSA: Ti scontri con la legittima ambizione per la quale vorresti raggiungere dei risultati migliori per il tempo che ci impieghi. Però è il pubblico che decide e, questo pubblico, è composto in larga parte da ragazzi molto giovani che potrebbero vedere in un telecronista ufficiale di più di 40 anni la fonte non idonea per il wrestling. In generale, la cosa che più mi amareggia è il fatto che i contenuti mi sembrano buoni, ma si fa fatica a farli conoscere o a convincere qualcuno della loro valenza. Lo strillo di una fake news si propaga più velocemente rispetto ad una mia analisi più ponderata della notizia. Però è il clamore ed il proporlo in maniera furba che poi porta i risultati, ma io, seguendo il metodo giornalistico, non riesco a proporlo. Probabilmente, quello che porto io non è contemporaneo. Ma è un qualcosa con cui devi fare i conti e devi scegliere se proseguire così o meno.


SIMONE: Questo è un blog in cui si parla di cinema. Ci sono state diverse incursioni del mondo del wrestling in quello del cinema. Quale di queste ricordi con più affetto?


MICHELE POSA: E’ una domanda complessa, ma la risposta migliore che posso darti è Batista ne “I Guardiani della Galassia”. Anche se ci sono stati casi come Kevin Nash in “The Punisher”, è il primo sconfinamento importante di un wrestler nel mondo dei supereroi. Non è che sono legato, ma è un punto di svolta. I wrestler, grazie anche a Batista, non sono più presi in considerazione solo per gli action movie, come era per The Rock, ma sono anche percepiti come inseribili in quel mondo. Tant’è che sembrano molto interessati soprattutto alle donne come Becky Lynch o Charlotte Flair, viste le loro capacità fisiche e recitative. Ho come l’impressione che Batista abbia messo delle orme importanti. Può darsi che sia sbagliata come analisi, ma non ricordo un wrestler in un ruolo Marvel o DC prima di lui.


SIMONE: Poi Batista è andato oltre, lavorando con registi come Shyamalan o Villeneuve.


MICHELE POSA: Ricordo che lui in molte interviste ha detto che vuole andare oltre ai ruoli che il suo corpo gli imporrebbe, come quello del bruto muscoloso.


SIMONE: Tu hai detto che il wrestling moderno è una disciplina narrativa, se potessi rubare uno strumento narrativo al cinema per inserirlo nel wrestling, quale sarebbe?


MICHELE POSA: Il wrestling, magari dico un’eresia, ma al livello di equipaggiamento e di effetti speciali, non ha tanto da invidiare al cinema, rimanendo nei confini di ciò che può proporre. Cosa ruberei? E’ difficile ibridarlo con tecniche che non hanno mai utilizzato. Una cosa banale sarebbero i flashback, molti film sono basati su questo. Nel wrestling è difficile utilizzarlo, perchè vedi tutto in diretta. Spesso c’è il video con scritto “early this night”, quindi un’idea c’è. Però, su di un flashback più cinematografico e forte ci si potrebbe lavorare di più. E’ complicato aggiungerlo, perchè devi capire come proporlo. Chi è che mi porta a vedere ciò che il wrestler ha vissuto? Bisogna studiarlo, con prove su prove. Perché il resto è stato fatto. Ovviamente non potrai mai fare il piano sequenza di “Birdman”, ma ciò che è possibile è stato fatto. Il flashforward è impossibile, ovviamente, ma il flashback si.


SIMONE: Sarebbe interessante, perchè il flashback racconta un evento in maniera più “personale” rispetto ad un asettico “early this night”.


MICHELE POSA: Ora c’è una rivalità tra Sami Zayn e Kevin Owens, due grandi amici che hanno condiviso tutta la carriera, alternando fasi in cui erano in rivalità a fasi in cui erano alleati. Ora, immaginati Kevin Owens che cammina nel backstage e vede due ragazzi giovani che somigliano a loro due; quello che assomiglia a Kevin Owens aiuta quello che somiglia a Sami Zayn. Poi, con un flashback vediamo che tra i due wrestler in questione è successo un episodio simile diversi anni prima. Noi riusciamo a vedere i suoi ricordi e capiamo perché questa cosa lo ha turbato. Funziona? Non lo so. Bisognerebbe testarlo. Magari è fighissimo, ma il pubblico la rigetta. Non andremmo a prendere una tecnica per il gusto di usarla, ma potenzierebbe il racconto. Non ti dico che sono amici, te lo faccio vedere.


SIMONE: Grazie mille Michele per il tuo tempo.


MICHELE POSA: Grazie a te.



Intervista a cura di: Simone Ferdinandi

SI, SONO STATA IO CHE HO LIBERATO IL PRIGIONIERO

Carissimi lettori, spero che questa intervista vi abbia aperto gli occhi sulla profondità e la complessità del mondo del wrestling, un universo dove la recitazione e la performance si fondono in un tappeto di storie emotivamente coinvolgenti. Michele Posa ci mostra come la narrazione e l'espressione emotiva possano trasformare uno sport in un'arte, un concetto che risuona profondamente con noi, attori e attrici, nel nostro viaggio artistico. Ogni volta che saliamo sul palco, o ci troviamo davanti alla macchina da presa, abbiamo l'opportunità di raccontare una storia, di trasportare il pubblico in un viaggio emozionale. Prendiamo ispirazione da queste parole e ricordiamo che, indipendentemente dal palcoscenico su cui ci troviamo, il cuore della nostra arte risiede nel potere della narrazione e nella sincerità della nostra espressione.


Con amore e ispirazione,

Belle.

HERMIONE

Un'icona di saggezza e astuzia nel mondo di Harry Potter, si è reinventata come una voce autorevole nel blogging per il sito di Recitazione Cinematografica. Con la sua rubrica, "L'Atelier di Hermione", offre un laboratorio unico dove aspiranti attori e attrici possono imparare e crescere. La sua esperienza magica si fonde con tecniche d'avanguardia per formare talenti brillanti nel campo cinematografico. Attraverso i suoi articoli, Hermione guida i lettori in un viaggio incantato, trasformando le loro ambizioni in realtà tangibili. Con passione e un pizzico di magia, rende l'arte della recitazione accessibile e affascinante per tutti.

Entra nella nostra Community Famiglia!

Recitazione Cinematografica: Scrivi la Tua Storia, Vivi il Tuo Sogno

Scopri 'Recitazione Cinematografica', il tuo rifugio nel mondo del cinema. Una Community gratuita su WhatsApp di Attori e Maestranze del mondo cinematografico. Un blog di Recitazione Cinematografica, dove attori emergenti e affermati si incontrano, si ispirano e crescono insieme.


Monologhi Cinematografici, Dialoghi, Classifiche, Interviste ad Attori, Registi e Professionisti del mondo del Cinema. I Diari Emotivi degli Attori. I Vostri Self Tape.

© Alfonso Bergamo - 2025

P.IVA: 06150770656

info@recitazionecinematografica.com