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~ LA REDAZIONE DI RC
In questo monologo tratto da Le Beatrici, Stefano Benni dà voce a una Beatrice che non ha nulla dell’icona angelicata cantata da Dante nella Vita Nova e nella Divina Commedia. Qui, la Beatrice medievale parla al pubblico con tono scanzonato, sarcastico e diretto, demolendo l’aura sacra che la tradizione le ha cucito addosso. Non è più la musa eterea, ma una ragazza ironica, stufa di essere ridotta a simbolo letterario. Il risultato è un ritratto divertente e pungente, che gioca con la storia della letteratura e con la distanza tra mito e quotidianità.
Oh, è curiosa la vita nel Medioevo! Che poi Medioevo lo dite voi, io dico milleduecentottantaquattro, poi voi lo chiamerete come vi pare… le epoche, si sa, gli si dà il nome più tardi. Le dittature, per esempio: se ne parla sempre male dopo, intanto però tutti se le puppano.
Eh ma io non devo parlare di politica, che qua ci si mette tutti nei guai. A Canappione gliene stanno capitando di tutti i colori coi guelfi, coi ghibellini, coi bianchi e coi neri …
Chi è Canappione? Ah scusate, io L’Alighieri lo chiamo così. Mia madre mi dice “Eh non t’azzardare che è un grande e importante poeta lui!”. Sì però di grande e importante c’ha pure il naso, via! C’ha un becco che pare una poiana, pare… una caffettiera! Anche se non è ancora stata inventata.
Insomma, lui fa il poeta ma si incazza con tutti e li mette tutti all’inferno! E ce l’ha con Pisa e con Arezzo, e con i papi e con gli arcivescovi. Mi sa che prima o poi lo fanno fuori! Lo mettono fuori dal palinsesto a legnate!
Mi dispiacerebbe? Oh, lo dico a voi in confidenza: io a quello non lo sopporto! Mi ha vista la prima volta che c’avevo otto anni, lui nove. Mica mi ha detto “si gioca insieme, ti regalo un gelato…” no… c’ha fatto dieci poesie di duemila versi, il piccino!
Ci siamo incontrati solo una volta, l’anno scorso, c’avevo diciotto anni e da allora sparito, di nebbia! Gli è timido dicono. E poi tutti a dire “Oh ma quanto sei fortunata! Quello è un poeta, ti dedicherà il capolavoro della letteratura italiana., ti renderà famosa, è come.. come uno sponsor – sponsor è una parola latina, non inglese – sai quante vorrebbero essere cantate da lui?” Sì va beh, ma io sono una donna eh, mica una serenata! Mica posso aspettare che abbia finito il capolavoro e che mi abbia angelicata e intanto io buona e zitta!
A diciannove anni, nel Medioevo, si è già nell’anticamera da zitelle! O magari poi ti capita un casino come Giulietta! Tac, secca a quindici anni poverella… o come Ofelia!
Oltretutto poi, bello non è. Mi passa a venti metri, lo vedo che mi guarda, sospira, si gratta il becco ma mai che si facesse avanti! O vien qui tosto, Dantino mio! Fammi, che so, un regalino, un anellino! Va beh’, non si può andare al cinema, allora portami almeno a vedere la piena dell’Arno! E poi mi dicono “Sii paziente, gli è un poeta, ti regala i suoi versi!” Eh, una bella fava!
“Le Beatrici” di Stefano Benni è un’opera teatrale del 2011 che si muove in bilico tra satira e poesia. È un testo che nasce dalla vocazione di Benni per la parola detta a voce alta, più che letta sulla pagina: in questo senso è un vero e proprio contenitore di monologhi femminili, scritti per essere incarnati, recitati, fatti vibrare in scena. Il testo raccoglie otto monologhi di altrettante figure femminili, ciascuna con un nome, un tratto distintivo e un universo personale. Benni le chiama “beatrici” in modo ironico e provocatorio, rovesciando il simbolo dantesco della donna angelicata. Queste donne, invece di incarnare l’ideale etereo della musa, portano in scena nevrosi, desideri, frustrazioni, rabbie e ossessioni quotidiane. Sono donne che parlano senza filtro, oscillando tra comicità e disperazione.
Alcuni esempi:
La suora, che prega Dio con un linguaggio che scivola continuamente nel terreno, mescolando devozione e ironia.
La moglie tradita, che esprime la rabbia di chi ha visto crollare un legame costruito per anni.
La donna ossessionata dal sesso, che racconta la sua dipendenza con un tono surreale e grottesco.
La Beatrice più lirica, che si rivolge direttamente al pubblico in un discorso intimo, sfiorando la poesia.
Benni lavora su un registro duplice:
da un lato, linguaggio comico e parodico, fatto di giochi di parole, scarti improvvisi e deformazioni linguistiche;
dall’altro, momenti di lirismo improvviso, in cui il tono si abbassa e lascia emergere la malinconia o la fragilità dei personaggi.
Questa alternanza è tipica di Benni: il riso diventa un grimaldello per aprire una finestra su temi più duri – solitudine, dipendenza, religione, amore, morte.
Le donne di Benni non sono ritratti realistici, quanto piuttosto maschere. Hanno qualcosa della commedia dell’arte e qualcosa del cabaret: rappresentano pulsioni e ossessioni umane, esasperate fino al parossismo. Non sono pensate per essere lette in silenzio, ma per essere interpretate da attrici capaci di dare corpo a quelle parole, di esagerarne i ritmi e i colori.
L’attacco del monologo è già un manifesto: «Oh, è curiosa la vita nel Medioevo!». Beatrice prende subito posizione, smontando con ironia le categorie storiche (“Medioevo lo dite voi, io dico milleduecentottantaquattro”). Benni utilizza questa voce femminile per ridicolizzare l’idea di un passato idealizzato, e lo fa attraverso anacronismi e battute fulminanti: dal “palinsesto” alle “caffettiere” non ancora inventate.
Il cuore del pezzo è il rapporto con Dante. Beatrice lo chiama “Canappione”, soprannome che ridimensiona il mito e lo trasforma in un ragazzino goffo con un naso sproporzionato. La critica non riguarda soltanto l’uomo, ma soprattutto la condizione di chi viene trasformata in musa senza avere voce in capitolo. La Beatrice di Benni è insofferente all’“angelicata”, consapevole che dietro le poesie che la celebrano si nasconde un’immobilità forzata: «io sono una donna eh, mica una serenata!».
Interessante è il modo in cui Benni fa emergere la frustrazione di una ragazza giovane nel Medioevo, incastrata tra aspettative sociali e destini precoci. A 19 anni Beatrice si sente già a rischio di diventare “zitella”, e la sua voce si intreccia con figure tragiche come Giulietta e Ofelia. In questo cortocircuito tra storia letteraria e ironia quotidiana sta la forza del testo: il mito si sgonfia, e dietro resta una ragazza che desidera un anello, una passeggiata sull’Arno, un gesto concreto.
Dal punto di vista attoriale, il monologo è un terreno ricco. Richiede un ritmo rapido, pieno di cambi improvvisi: dal sarcasmo leggero alla frustrazione sincera, dalle battute colloquiali alle citazioni colte. La voce deve oscillare tra il tono comico e il sottofondo di malinconia, perché dietro le risate resta l’immagine di una donna che rivendica il diritto a vivere, non solo a essere idealizzata.
La Beatrice di Stefano Benni è un’operazione di riscrittura ironica e teatrale: un personaggio che prende la parola per smontare secoli di interpretazioni e restituirsi alla propria umanità. Questo monologo mostra bene il gioco di Le Beatrici: ridare voce a figure femminili costrette al silenzio o trasformate in simboli. Tra comicità e sarcasmo, emergono le domande più concrete: che cosa significa essere donna, essere desiderata, essere ricordata? In questo senso, la Beatrice “anti-dantesca” di Benni è un piccolo atto di liberazione teatrale.
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