\"Il mago di Oz\" (1939) – Il sogno a colori dell’America che si cerca

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~ LA REDAZIONE DI RC

Il cinema è una macchina del tempo. Ogni film è una finestra su un’epoca, un riflesso delle idee, delle tecnologie e delle sensibilità artistiche che lo hanno generato. Guardando i film che hanno segnato la storia del cinema, possiamo osservare non solo l’evoluzione del linguaggio cinematografico, ma anche i cambiamenti culturali, sociali e tecnologici che hanno trasformato il modo in cui raccontiamo e viviamo le storie.

Ci sono film che hanno introdotto innovazioni tecniche rivoluzionarie, altri che hanno ridefinito il concetto stesso di narrazione. Alcuni hanno lasciato un’impronta indelebile nella cultura popolare, altri hanno cambiato per sempre il modo in cui pensiamo al cinema. Ogni grande film è il risultato di un momento storico preciso, di scelte artistiche coraggiose e di attori, registi e sceneggiatori che hanno saputo trasformare il loro tempo in immagini indimenticabili.

Questa rubrica esplora quei film che, per un motivo o per un altro, hanno lasciato un segno nella storia del cinema. Opere che hanno cambiato il modo in cui il pubblico guarda il grande schermo, influenzato generazioni di cineasti e ridefinito i confini di ciò che il cinema può essere.

Il film di oggi è...

"Il mago di Oz" (1939)

Il mago di Oz (The Wizard of Oz, 1939) è un film che ha fatto da spartiacque nella storia del cinema americano, diventando simbolo culturale, rivoluzione tecnica, parabola emotiva e politica.

Diretto da Victor Fleming (con contributi non accreditati di altri registi), tratto dal romanzo per ragazzi di L. Frank Baum, è il film che più di ogni altro ha rappresentato il passaggio tra due Americhe: quella grigia della Grande Depressione e quella a colori dell’immaginazione e della speranza.

Riconosciuto oggi come uno dei pilastri della cultura cinematografica del Novecento, Il mago di Oz è un’opera stratificata: semplice in apparenza, ma piena di riferimenti, invenzioni narrative, allegorie, e momenti di cinema assoluto.

La trama: un sogno, una fuga e un ritorno

Il film racconta la storia di Dorothy Gale (interpretata da Judy Garland), una ragazzina del Kansas che vive con gli zii in una fattoria spazzata dal vento e dal malcontento. Quando cerca di salvare il suo cagnolino Totò dalla minaccia di una vicina crudele, Dorothy scappa di casa. Ma una violenta tempesta si abbatte sulla prateria.

Durante il tornado, la casa in cui Dorothy si è rifugiata viene sollevata e trasportata via. Al risveglio, la ragazza si ritrova in uno strano mondo pieno di colori, creature magiche e personaggi bizzarri: il Regno di Oz. Qui scopre di aver inavvertitamente ucciso la Malvagia Strega dell’Est, schiacciandola con la sua casa, e viene accolta con entusiasmo dagli abitanti del villaggio, i Munchkin.

La sua unica speranza di tornare a casa, le dice Glinda, la Strega Buona del Nord, è raggiungere la Città di Smeraldo e chiedere aiuto al leggendario Mago di Oz. Così comincia un viaggio lungo la strada di mattoni gialli, durante il quale Dorothy incontrerà tre compagni:

Lo Spaventapasseri, che vorrebbe un cervello.

L’Uomo di Latta, che desidera un cuore.

Il Leone Codardo, in cerca di coraggio.

Insieme, affronteranno ostacoli, incantesimi e infine scopriranno che il Mago di Oz non è affatto un mago, ma un comune uomo dietro a un sipario. È Glinda a rivelare a Dorothy che ha sempre avuto il potere di tornare a casa, semplicemente battendo i tacchi delle sue scarpette rosse.

La ragazza lo fa. E si risveglia nel Kansas. Era tutto un sogno. O forse no.

Bianco e nero / Technicolor: il cinema scopre un altro mondo

Una delle invenzioni più audaci e memorabili del film è il passaggio dal bianco e nero al colore. La sequenza iniziale, ambientata nel Kansas, è in seppia: immagini spoglie, piatte, quasi documentaristiche. Quando Dorothy apre la porta della casa nel mondo di Oz, lo spettatore entra con lei in un’esplosione di colori.

Questa transizione non è solo un trucco tecnico, ma un’idea narrativa potente: il mondo della fantasia è più vivido, più pieno, più reale del mondo reale stesso.

Per il pubblico del 1939, il colore al cinema non era una novità assoluta, ma Il mago di Oz lo usò con una consapevolezza estetica straordinaria. Ogni elemento della scenografia, dei costumi e degli effetti è pensato per sfruttare al massimo il Technicolor, rendendo Oz un luogo che, ancora oggi, appare più vivido della maggior parte dei film moderni.

Temi principali: identità, desiderio, e la (falsa) illusione del potere

Sotto la superficie della fiaba, Il mago di Oz è pieno di riflessioni più adulte di quanto si possa pensare. Il Mago, autorità indiscussa di Oz, è in realtà un impostore, un uomo comune che si nasconde dietro la tecnologia e l’apparenza. È il classico caso di “l’uomo dietro la tenda”. Un’idea che negli anni ’30 – con la disillusione verso le istituzioni, i fallimenti politici e la crisi economica – aveva un peso enorme.

Lo Spaventapasseri ha già intelligenza, l’Uomo di Latta è già capace di emozioni, il Leone ha già dimostrato coraggio. Ma ognuno ha bisogno che qualcuno gli dica di avere quel dono per poterne prendere coscienza. È un messaggio psicologico molto chiaro: il valore non è qualcosa che ci viene dato, ma qualcosa che riconosciamo in noi stessi.

Dorothy lascia una realtà difficile per cercare qualcosa di meglio, ma scopre che “there’s no place like home”. Il viaggio in Oz è una fuga, ma anche un percorso di crescita. Alla fine torna cambiata, con uno sguardo diverso sulla propria casa. È una parabola dell’emancipazione individuale, tipica dell’ideologia americana di quegli anni.

Judy Garland: un’icona nata sotto un arcobaleno

L’interpretazione di Judy Garland è uno degli elementi che rendono il film immortale. Aveva solo 16 anni, ma la sua performance è di una intensità emotiva e naturalezza disarmanti.

La canzone "Over the Rainbow" – composta da Harold Arlen e Yip Harburg – diventa subito il cuore pulsante del film. È un inno alla speranza, al desiderio di qualcosa di meglio, al sogno di un altrove. Ma è anche una ballata malinconica, che contiene in sé tutta la nostalgia e la tenerezza dell’infanzia.

Judy Garland non fu solo la protagonista. Divenne un’icona pop, e con Il mago di Oz iniziò una carriera che avrebbe influenzato la cultura americana in profondità. La sua figura, con il tempo, ha assunto valenze identitarie e simboliche anche per comunità come quella LGBTQ+, che hanno trovato in Dorothy un simbolo di alterità e appartenenza. La scelta di Judy Garland fu oggetto di discussione: la MGM voleva inizialmente Shirley Temple, ma alla fine Garland vinse per il suo talento e per il timbro unico della sua voce. Le scarpette rosse nel libro originale erano d’argento. Furono cambiate in rosse per sfruttare al meglio il Technicolor. Il costume del Leone pesava più di 40 kg, fatto con vera pelle di leone.

Eredità e impatto

Il mago di Oz è un film che ha educato intere generazioni alla potenza del cinema. Le sue immagini, le sue canzoni, le sue frasi – “We’re not in Kansas anymore”, “There’s no place like home”, “Follow the yellow brick road” – fanno ormai parte del linguaggio culturale globale.

Ha influenzato il cinema fantastico, il musical, l’animazione, la cultura pop e persino la filosofia politica e sociale. Da David Lynch a Pink Floyd, da Wicked a Il ritorno al futuro, le tracce di Oz sono ovunque.

Il mago di Oz non è un semplice film. È un rito di passaggio, una mappa per orientarsi tra realtà e immaginazione, tra desiderio e paura, tra fuga e ritorno.

È un cinema che non spiega, ma incanta. E che ci ricorda che, anche quando tutto sembra grigio e spento, esiste sempre una strada, magari fatta di mattoni gialli, che ci può portare dove vogliamo andare. Basta crederci.

E, magari, cantare qualcosa sotto un arcobaleno.

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