\"Mickey 17\" - il punto è sempre il modo in cui si racconta

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Articolo a cura di...


~ CLAUDIA LAZZARI

Nel 2054 la Terra è un pianeta senza possibilità di realizzazione o di gestione di una vita più o meno vivibile. La situazione è così grave che le persone decidono di intraprendere migrazioni interstellari per sfuggire ai propri destini. A gestire queste spedizioni, sono sempre i privilegiati, come Kenneth Marshall (Mark Ruffalo), politico mancato che cerca di creare una nuova umanità su un pianeta abitato da creature sconosciute. Mickey Barnes (Robert Pattinson), in pericolo di vita a causa di pasticci con alcuni usurai, decide di salire su un'astronave, firmando un contratto come sacrificabile. Il suo lavoro? Morire infinite volte da cavia per la sperimentazione e rinascere altrettante volte attraverso una macchina ultratecnologica che "ristampa" un corpo mantenendone sempre la coscienza.


Ad ogni rinascita, gli viene assegnato il numero corrispondente, finché alla ristampa di Mickey 18 accade qualcosa: Mickey 17, che sarebbe dovuto essere stato ucciso dalle creature del pianeta, viene stampato prima di scoprire che la versione precedente è stata risparmiata dalle creature. I due Multipli, inizialmente, cercano di eliminarsi reciprocamente: questo errore non potrebbe mai verificarsi, per legge, altrimenti verrebbero eliminate entrambe le versioni per sempre. Ma successivamente, gli eventi li uniranno, come due parti di un solo umano, come quelle parti di noi stessi che rinneghiamo e che, a volte, abbiamo la fortuna di accogliere.


Tratto dal romanzo di Edward Ashton, Mickey7, Bong Joon-ho costruisce un mondo fantascientifico degno della sua mente brillante. La rivisitazione, una grottesca distopia sci-fi, conserva lo stravagante genio e le bizzarrie del suo cinema. Il risultato è un irriverente e divertente caos ordinato che balla su di un meccanismo sempre attivo, dagli effetti stranianti. I personaggi che trainano il senso del film, Marshall e Barnes, sono i più "ridicoli" e pomposi e tirano fuori una personalità equilibrata solo nel finale, quando il multiplo di Mickey 17, Mickey 18, si sacrifica facendosi esplodere insieme al magnate Marshall. Rappresentano, in poche parole, la follia umana di chi comanda e di chi subisce, per poi rivelare alla fine la natura della loro essenza, che è ovviamente anche la nostra: la paura della morte e la voglia di vincerla costantemente; una paura che più aumenta, più si esaurisce in azioni folli e - alle volte - deplorevoli. Cosa sono, spesso, la cattiveria o la sottomissione, se non enormi forme di fragilità?

E, per quanto riguarda le donne? Come spesso accade, muovono i fili maschili e alleviano le loro pene, insegnandogli - alla fine - il dolce stare al mondo.


Ylfa, Toni Collette, moglie di Marshall, suggerisce esplicitamente al marito come svolgere il suo lavoro, tanto che il vero confronto finale con l'eroe sarà proprio con lei: Marshall funge, infine, da semplice "arma"; Nasha, Naomi Ackie, è l'amore di Mickey, dall'inizio alla fine e con tutte le sue versioni. Anche quella di Mickey 18, completamente diversa dalle coscienze precedenti, personificazione di ciò che Mickey 17 odia e vorrebbe essere. E' una delle due donne che si ribella al sistema e ripristina gli equilibri dopo la pace; Gemma, Holliday Grainger, la seconda delle due, si evolve a contatto con la semplice ingenuità di Mickey 17, con la sua abitudine al morire che diventa il motivo per cui sovverte tutte le sue convinzioni.


Mickey 17 ci presenta il tema caro a Bong Joon-ho della disparità sociale tra esseri umani, ma accende il vero riflettore sull'odierna spettacolarizzazione della morte, che la rende un qualcosa senza valore e facilmente replicabile, come un oggetto consumistico qualsiasi. Le varie ristampe di Mickey diventano, man mano, sempre più buffe e ridicole, scatenando anche il riso ad un certo punto. Il corpo di Mickey viene trattato, all'inizio, come il cadavere di Mickey Barnes, per poi diventare il fagotto inconsistente dell'ennesima copia numerata di Mickey. Finché la natura umana si ribella e mette in discussione la sua assuefazione alla vita stessa.


La regia è pura maestria e, del cast, direi che mi basta scriverne i nomi. Quando la macchina è costantemente sopra le righe, nella scrittura, nella regia e nell'interpretazione, non si può che ammirare la coerenza del risultato come in questo film. L'anticonvenzionalità costruisce gli immaginari e spinge gli spettatori a porsi delle domande. La soluzione più necessaria per la piattezza delle attuali acque cinematografiche in cui navighiamo.

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