Miniserie televisiva o sceneggiato - il caso \"Gesù di Nazareth\"

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Articolo a cura di...


~ MASSIMILIANO AITA

In tutti i manuali di storia del cinema il discrimine tra miniserie tv e sceneggiato televisivonviene individuato nella circostanza che il secondo trasporrebbe in immagini libri o racconti perlopiù famosi.


Inoltre lo sceneggiato televisivo risulta caratterizzato da una recitazione perlopiù teatrale e da scenografie quantomai povere.


Per lungo tempo, la critica cinematografica ha definito Gesù di Nazareth uno sceneggiato televisivo

.

Prima di tutto, però, di cosa sto parlando? Cos’è Gesù di Nazareth?


Un breve cenno storico.


Gesù di Nazareth è una serie od uno sceneggiato prodotto da Rai Cinema e diffuso sulle reti nazionali tra fine marzo e fine aprile del 1977.


La sceneggiatura venne scritta, tra gli altri, da Anthony Burgess e Suso Cecchi d’Amico.


Tra gli interpreti Anthony Quinn e Sir Lawrence Olivier (l’uomo responsabile della mia folle avversione nei confronti dei dentisti. Per capire vedete “Il maratoneta”.


Bene, Gesù di Nazareth è uno sceneggiato od una miniserie.


Se consideriamo i Vangeli dei libri come gli altri, potremmo certo ricondurre l’opera

cinematografica della quale parlo tra gli sceneggiati.


Ma i Vangeli non sono libri come gli altri.


Sono i testi sacri della religione cattolica.


E soprattutto, la narrazione di Zeffirelli si pone in profonda antitesi con il messaggio che

i Vangeli trasmettono.


Gesù di Nazareth è dunque una vera e propria miniserie o meglio la miniserie italiana

antesignana di tutte quelle che seguiranno nei decenni successivi.


L’importanza dell’opera, tuttavia, non risiede né si risolve nel relativo incasellamento in una piuttosto che nell’altra categoria filmica.


No.


Ed in questo articolo cercherà di spiegarvi perché partendo da alcune premesse (che

spero non offendano nessuno).


Io non credo nel Dio dei cristiani.


Sono agnostico cedevole nel senso che il tema mi interessa poco, quasi mi interrogo sullo stesso e tuttavia ha le volte mi sfiora il dubbio che esista un’entità superiore.


Bene, per le cinque ore di durata di Gesù di Nazareth ho profondamente ed intensamente creduto che l’uomo della Galilea fosse davvero venuto sulla terra per salvarci.


E mi infastidisce molto che a questo risultato io sia giunto grazie alla regia di Franco

Zeffirelli.

L’ho sempre detestato; detestavo la sua affettazione, la sua arroganza intellettuale, il suo elitarismo.


Tutto questo traspare anzi emerge con prepotenza in Gesù di Nazareth ma, difficile da

spiegare se non vedete la miniserie, è perfettamente funzionale all’obiettivo che il regista voleva perseguire.


Tu sei davanti allo schermo e guardi questo individuo ieratico che, senza muovere

pressochè un muscolo, pronuncia il famoso incipit con cui iniziavano tutte le sue parabole “In verità, in verità vi dico…”.


Oppure lo vedi, piegato dalla sofferenza, con la corona di spine in testa, che rimane

immobile dinanzi a Pilato che gli offre la possibilità di guadagnare la libertà.


E ti chiedi (almeno io me lo sono chiesto): quale missione poteva avere questo individuo per accettare non di morire ma di morire crocifisso, tradito dalla sua stessa gente?


Solo una missione sovrumana può ai miei occhi giustificare questa implacabile coerenza.


Certo, voi potreste obiettare che anche Mandela e Ghandi non si sono piegati e che

dunque dovrei ritenere anche loro figli di Dio?


Sbagliato.


Perché Mandela e Ghandi avevano l’appoggio della propria gente; Mandela e Ghandi si

proponevano di uscire vivi dalle sofferenze e dalle persecuzioni sofferte per realizzare

qualcosa nel mondo terreno.


Ed invece, il Gesù di Nazareth di Zeffirelli ci restituisce un messaggio incredibilmente

potente: lui non è sceso sulla terra per ottenere un risultato immediato, per migliorare le

condizioni di vita del proprio popolo.


No.


Gesù è sceso sulla terra per sacrificare la sua vita affinchè l’intero genere umano venga

risparmiato.


Guardate la scena della crocifissione, la sofferenza così vera ed umana che viene rivelata al momento dell’infissione dei chiodi nelle mani.


Mio Dio (appunto).


Che potenza. Che forza evocativa.


Sapete?


Mai avrei pensato di emozionarmi ancora così tanto dopo cinquant’anni.


Eppure è accaduto e ciò ha suggerito una linea di riflessione.


La riflessione è questa (forse Alfonso Bergamo dirà che scrivo cavolate): perché un film, una serie o in generale una fiction rimane nel tempo?


Perché tratta di temi universali.


Perché parla a tutti gli esseri umani a qualunque latitudine si trovino; perché racconta

storie che – in modo diverso – tutti noi abbiamo vissuto o nelle quali crediamo.


Un film dice Alfonso è la realizzazione dell’idea di cinema del regista e certo può essere

un’idea fantastica che riesce a toccare tutte le corde giuste dal punto di vista tecnico.


Ma se non parla al cuore rimane un bellissimo prodotto; difficilmente diviene parte

dell’immaginario collettivo.


Pensate che nel Regno Unito Gesù di Nazareth fece 21 milioni di spettatori; in Germania

ottenne un’audience di oltre il 40%.


Soprattutto pensate che negli U.S. ogni Pasqua Gesù di Nazareth viene replicato su TBN ed History Channel.


Ecco, il mio augurio – per il futuro – è che altri film italiani sappiano parlare all’anima del mondo – trattando temi un po' meno banali di amore e cuore e un po' meno locali di quelli raccontati in Vermiglio.


Apriamo le ali e voliamo.


Il cielo, quello cui tutti voi credenti (sono tornato agnostico) esplicitamente e tutti noi

ipocritamente non credenti, ci aspetta.

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