Monologo maschile - Adam Sandler in \"Un tipo imprevedibile\"

Unisciti alla nostra Community Famiglia! Compila il "FORM" in basso, inserendo il tuo nome e la tua mail, ed entra nell'universo di Recitazione Cinematografica. Ti aspettiamo!


Articolo a cura di...


~ LA REDAZIONE DI RC

Introduzione al monologo

Il monologo iniziale di Happy Gilmore è un piccolo corto in forma di parole. Una sequenza narrativa che salta tra ricordi d’infanzia, idoli sportivi, lutti familiari, aggressioni con martelli, lavori improbabili e battaglie a colpi di sparachiodi. Ma nonostante la sua struttura caotica e lo stile da confessione comica, questo passaggio stabilisce chiaramente due cose: chi è Happy e perché è così.

Amo l'hockey

MINUTAGGIO: 1:00-3:45

RUOLO: Happy

ATTORE: Adam Sandler

DOVE: Netflix

ITALIANO

Mi chiamo Happy Gilmore. Adoro l’hockey fin da quando ero abbastanza grande per pattinare. Veramente non ero granché come pattinatore, ma questo non ha impedito a mio padre di insegnarmi i segreti dell’hockey, e soprattutto il colpo segreto del colpo secco. Mio padre viveva per l’hockey, mia madre no. Per questo si è trasferita in Egitto, dove per un raggio di tremila miglia non esistono stati del ghiaccio. Papà mi portava sempre alle partite ad applaudire il nostro giocatore preferito, Terry O’Rilly, il “Diavolo della Tasmania”. Non era certo un gigante, ma non aveva paura di nessuno, proprio come me. Bell’uomo è? Diceva che da grande sarei potuto diventare qualunque cosa avessi voluto, ma io non ho mai voluto essere altro che un giocatore di hockey. Si, la mia infanzia filava via benissimo, ma la vita è piena di sorprese. Dopo il funerale, i parenti mi hanno mandato a vivere da mia nonna, a Waterbury. Ero un pò preoccupato, visto che non la conoscevo bene. Ma lei si era mascherata come Gene Simmons dei KISS per farmi ridere. E’ la persona più dolce del mondo. Purtroppo dopo la morte di mio padre sono diventato infiammabile. Quel ragazzino aveva rubato la mia lingua di melelicche, e invece di farmela ridare non ho resistito alla tentazione di prenderlo a martellate in testa, notare lo stile… Comunque, il più delle volte non mi vergognavo a chiedere scusa. Durante le superiori ho giocato nelle squadre giovanili di hockey, e ho ancora due record. Ho collezionato il maggior numero di espulsioni e sono stato l’unico che si sia mai tolto i patini per cercare di accoltellare l’avversario. Dopo il diploma ho fatto lavori diversi: ho fatto l’operaio, l’uomo elle pulizie, la guardia di sicurezza, l’aiuto benzinaio, e l’idraulico. Ultimamente lavoravo nell’edilizia. Non era un brutto settore, ero diventato bravo con la sparachiodi. Solo che un giorno, il mio capo, il signor Larson, si è messo in mezzo. Cos’ ho scoperto che anche lui era un tipo infiammabile, guardate che mostro. Ha messo a segno qualche colpo fortunato, ma sono ancora convinto di aver vinto io. A ogni modo quei lavori non erano per me. Io sono stato messo su questo pianeta per un solo scopo: giocare a hockey.

Un tipo imprevedibile

Un tipo imprevedibile (titolo originale Happy Gilmore), una commedia sportiva del 1996 che – come capita spesso nei film di Adam Sandler di quel periodo – parte da una premessa assurda per costruire attorno un piccolo mondo fatto di umanità esagerata, personaggi caricaturali e uno sguardo, sotto sotto, tenero su chi viene considerato un disadattato. Happy Gilmore non è un personaggio nato per il golf. È un uomo che arriva da un mondo opposto: quello dell’hockey su ghiaccio. Violento, ruvido, urlato.

La sua frustrazione è palpabile fin dall’inizio: vuole entrare in una squadra professionistica, ma ogni tentativo fallisce. Happy è troppo impulsivo, troppo istintivo, e soprattutto... troppo arrabbiato. Questa rabbia ha però un'origine precisa: è cresciuto in un contesto difficile, segnato dalla perdita del padre e da una madre assente, e l'unica figura familiare realmente presente è sua nonna, che sta per perdere la casa a causa di un debito con il fisco. Ecco la scintilla che innesca il vero motore narrativo del film: Happy non cerca la gloria sportiva, ma i soldi per riscattare la casa della nonna. È una missione semplice, terra-terra, ma carica di significato emotivo.

L’assurdità comica del film nasce proprio dal contrasto tra il protagonista e l’ambiente in cui viene catapultato: Happy si ritrova nel mondo del golf, sport elitario e composto, con i suoi codici, le sue regole, la sua estetica raffinata. Un mondo che è tutto ciò che lui non è. Ma paradossalmente, proprio in questa disciplina trova la possibilità di esprimersi grazie a una forza fuori dal comune e un colpo lungo devastante. Il film gioca sullo scontro tra due stili: quello di Happy, caotico, teatrale, aggressivo, e quello del suo rivale Shooter McGavin, perfettino, tecnicamente impeccabile, ma profondamente insicuro. McGavin rappresenta il sistema, le regole prestabilite, e reagisce con rabbia alla popolarità di Happy, perché lo considera una minaccia per la “dignità” del gioco. Ma ciò che Happy fa – e che il pubblico ama – è portare vita, spontaneità, passione su un campo che sembrava morto di formalismi.

Analisi Monologo

"Veramente non ero granché come pattinatore, ma questo non ha impedito a mio padre di insegnarmi i segreti dell’hockey." Il primo elemento ricorrente è la mitizzazione del padre. Happy lo descrive come una figura affettuosa, presente, che lo porta alle partite, che gli insegna il “colpo secco” (metafora potente per tutta la sua traiettoria di vita: forza bruta, istintiva, poco raffinata ma efficace). L’hockey non è solo uno sport, è l’eredità emotiva lasciatagli dal padre. È la cosa che li teneva insieme. E questa eredità è sacra, persino comica nel modo in cui viene trattata: il nome “Terry O’Rilly, il Diavolo della Tasmania”, è reale (un giocatore noto per la sua aggressività) ma anche simbolico. Happy si riconosce in questo tipo di sportivo: piccolo, incazzato, impossibile da domare.

"Mia madre si è trasferita in Egitto, dove per tremila miglia non esistono stadi di ghiaccio." La battuta è geniale nella sua semplicità: dietro all’umorismo c’è l’abbandono. E Happy la butta sul ridere, sempre. È un meccanismo di difesa. È il modo con cui il film ci mostra che il dolore in lui è mascherato da comicità, che la sua goffaggine non è altro che una corazza. "Si era mascherata come Gene Simmons dei KISS per farmi ridere." Un’immagine che riassume tutta la dolcezza surreale di questo mondo. Dopo il lutto, Happy viene affidato a una figura che conosce poco, ma che diventa subito il suo punto di riferimento. La nonna non è solo “carina” – è l’unica persona disposta a travestirsi da rockstar per alleviare il dolore di un nipote. È la sua casa emotiva, e sarà il motore dell'intera vicenda (la casa da salvare è la casa della nonna, non una proprietà qualsiasi).

"Dopo la morte di mio padre sono diventato infiammabile." Happy usa un aggettivo fisico, quasi pirotecnico, per descrivere la sua instabilità emotiva. Ed è proprio qui che il monologo vira nel comico-demenziale: l’aggressione a un bambino per una leccornia, i record scolastici legati a espulsioni e tentativi di accoltellamento, i mille lavori falliti, il conflitto con Larson a colpi di sparachiodi… Ma sotto il ridicolo, l’idea è semplice e forte: Happy non è mai riuscito a incanalare la sua rabbia in qualcosa di costruttivo. Fino a quando non scoprirà il golf. "Io sono stato messo su questo pianeta per un solo scopo: giocare a hockey." È una dichiarazione tragicamente ironica. Perché lo spettatore sa che il vero talento di Happy non si realizzerà mai nell’hockey. Il suo sogno è sbagliato. O meglio: è sincero, ma incompatibile con la realtà. Questo elemento anticipa uno dei temi forti del film: il talento a volte si manifesta nei luoghi più inaspettati, ma per accettarlo serve maturità.

Conclusione

Questo monologo funziona come manifesto emotivo e fotografia del caos interiore di Happy Gilmore. È narrato con tono ironico, spesso ai limiti del surreale, ma dietro la comicità c’è una struttura coerente: Il legame con il padre e l’hockey come fondamento. L’abbandono materno e il lutto come rottura. La nonna come affetto stabile. La rabbia come reazione. I lavori come fallimenti. Il sogno come unica direzione possibile.

Entra nella nostra Community Famiglia!

Recitazione Cinematografica: Scrivi la Tua Storia, Vivi il Tuo Sogno

Scopri 'Recitazione Cinematografica', il tuo rifugio nel mondo del cinema. Una Community gratuita su WhatsApp di Attori e Maestranze del mondo cinematografico. Un blog di Recitazione Cinematografica, dove attori emergenti e affermati si incontrano, si ispirano e crescono insieme.


Monologhi Cinematografici, Dialoghi, Classifiche, Interviste ad Attori, Registi e Professionisti del mondo del Cinema. I Diari Emotivi degli Attori. I Vostri Self Tape.

© Alfonso Bergamo - 2025

P.IVA: 06150770656

info@recitazionecinematografica.com