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~ LA REDAZIONE DI RC
Il monologo in Blonde è un momento cruciale che offre uno spaccato della vulnerabilità e dei sogni più intimi di Norma Jeane. A questo punto del film, Marilyn Monroe è già diventata una figura di successo internazionale, ma dietro l'immagine pubblica scintillante c'è una donna stanca di essere un'icona e desiderosa di ritrovare un senso di autenticità nella sua vita e nel suo mestiere. Il monologo si presenta come una confessione spontanea, un’esplosione di desideri che sembrano semplici – vivere altrove, studiare recitazione, avere una famiglia – ma che, nel contesto della sua vita, assumono un carattere quasi utopistico. Norma Jeane non parla come Marilyn Monroe, l’attrice idolatrata da Hollywood, ma come una giovane donna che anela a una connessione profonda con il suo mestiere e con le persone che la circondano.
MINUTAGGIO: 1:08:30-1:09:28
RUOLO: Blonde
ATTRICE: Ana De Armas
DOVE: Netflix
INGLESE
I just wanna begin again from zero. I wanna live in… I wanna live in another world. Away from Hollywood. I wanna live in… …Chekhov! I wanna move to New York. And study acting. Serious acting. In the movies, they chop you all to bits. Cut, cut, cut. It's a jigsaw puzzle. But you're not the one to put the pieces together. Oh, but to live in a part. To just be in it till the closing curtain every night. But mostly, I… I wanna settle down. Like any girl. And have a family. Oh, I love children so. I'm crazy about babies.
ITALIANO
Voglio soltanto ricominciare da zero. Voglio vivere in… voglio vivere in un altro mondo, lontano da Hollywood. Voglio vivere in… Oh, Cechov! Voglio trasferirmi a New York. E studiare recitazione. Recitazione vera. Nei film ti scompongono in mille pezzi. Taglia, taglia, taglia, è come fare un puzzle, ma non sei tu quella che mette insieme i pezzi. Oh, ma vivere in un ruolo… interpretarlo fino alla chiusura del sipario, tutte le sere. Ma, soprattutto… io voglio sistemarmi. Come ogni ragazza. E avere una famiglia. (Ridacchia) Oh, amo i bambini così tanto. Sono pazza per i bambini.
Blonde (2022), diretto da Andrew Dominik, è un adattamento cinematografico del romanzo omonimo di Joyce Carol Oates. La pellicola è una rivisitazione romanzata e altamente stilizzata della vita di Marilyn Monroe, interpretata da Ana de Armas. Va detto subito: non si tratta di un biopic tradizionale. Dominik non intende raccontare la "vera" vita di Marilyn, ma esplora un'immagine frammentata, spesso distorta, del mito di Norma Jeane Baker, il vero nome della Monroe, portando lo spettatore in un viaggio attraverso il lato oscuro della fama e l'identità smarrita dietro il glamour hollywoodiano.
Il film ripercorre momenti fondamentali della vita di Norma Jeane, intrecciando eventi storicamente accaduti a ricostruzioni immaginative che amplificano il dramma interiore della protagonista. L’infanzia di Norma Jeane è uno degli elementi chiave del racconto. La storia inizia con una rappresentazione inquietante del suo rapporto con la madre, Gladys (Julianne Nicholson), una donna affetta da gravi disturbi mentali che abbandona Norma in un orfanotrofio. Questo trauma iniziale diventa il filo conduttore della narrazione, influenzando ogni relazione e decisione nella vita della protagonista. Dominik insiste sulla separazione tra Norma Jeane e il suo alter ego, Marilyn Monroe, suggerendo che quest'ultima è una costruzione artificiale che finisce per divorare l’identità autentica della donna. Con la crescita, vediamo Norma Jeane diventare Marilyn, l’icona di Hollywood. La sua carriera è un’ascesa fulminea, ma viene ritratta come il frutto di sfruttamento e manipolazione. Una delle scene più controverse del film mostra Marilyn subire un abuso da parte di un potente dirigente degli studios, un evento che rappresenta il prezzo che deve pagare per entrare nel sistema. Questo tema si ripete: ogni successo sembra arrivare a un costo personale devastante.
Il film segue poi i matrimoni falliti di Marilyn, con il giocatore di baseball Joe DiMaggio (Bobby Cannavale) e il drammaturgo Arthur Miller (Adrien Brody), entrambi descritti come uomini che non riescono a comprendere o amare Norma Jeane per quello che è, ma solo per ciò che rappresenta. La relazione con Miller è particolarmente toccante in quanto sembra offrire una breve illusione di stabilità, presto distrutta dal peso della sua sofferenza emotiva.
Uno degli aspetti più intensi del film è l’ossessione di Norma Jeane per il padre mai conosciuto. Dominik costruisce questa figura paterna assente come una sorta di fantasma simbolico che perseguita la protagonista per tutta la vita. Marilyn riceve lettere anonime firmate da un presunto padre, che alimentano il suo desiderio di essere amata incondizionatamente, ma anche la sua fragilità psicologica. Il terzo atto del film si immerge nel declino di Marilyn. Vediamo il progressivo peggioramento della sua salute mentale e il consumo da parte dell'industria cinematografica, che la trasforma in un simbolo vuoto, una "bambola" al servizio di un pubblico voyeuristico. Il climax arriva con l’esplorazione delle relazioni più distruttive della sua vita, inclusa quella con il Presidente John F. Kennedy, mostrata in una sequenza che ha suscitato molte polemiche per la sua crudezza e per il ritratto cinico del potere.
Il desiderio di "ricominciare da zero" è il punto di partenza del monologo e il cuore pulsante del discorso. Norma Jeane sogna di abbandonare Hollywood e di trasferirsi a New York, lontano dalle luci e dalla macchina dell’industria cinematografica che la "scompone in mille pezzi". La metafora del puzzle – "Taglia, taglia, taglia, è come fare un puzzle, ma non sei tu quella che mette insieme i pezzi" – descrive il modo in cui Hollywood manipola e frammenta l'identità dell'artista per creare un prodotto finito che non riflette più la persona reale. Norma non si sente più un soggetto attivo, ma un oggetto passivo all'interno di un sistema che ha il controllo totale sulla sua immagine.
Questo desiderio di autenticità si esprime anche attraverso il riferimento al teatro e a Čechov. Norma idealizza il teatro come il luogo in cui un'attrice può vivere un ruolo dall'inizio alla fine, senza interruzioni, in un processo creativo che restituisce continuità e verità alla performance. Čechov, figura emblematica del teatro drammatico russo, diventa qui un simbolo di profondità artistica e di realismo emotivo, in netto contrasto con il mondo artificiale e frammentato dei film hollywoodiani. Il suo desiderio di "vivere in un ruolo" sottolinea il bisogno di trovare un senso di completezza che l'industria cinematografica le nega.
La seconda parte del monologo rivela il lato più intimo e personale di Norma Jeane: il sogno di una famiglia. "Voglio sistemarmi. Come ogni ragazza. E avere una famiglia" esprime un desiderio profondamente umano e universale, ma che, per lei, è irraggiungibile. L’amore per i bambini – "Oh, amo i bambini così tanto. Sono pazza per i bambini" – rivela una fragilità toccante, che affonda le sue radici nei traumi dell'infanzia e nel suo rapporto complicato con la maternità.
Nel contesto del film, il desiderio di avere figli assume una doppia valenza: è sia un’aspirazione autentica che una forma di compensazione per il vuoto lasciato dall'abbandono della madre. Norma Jeane vede nella maternità una possibilità di guarigione, un modo per creare quella stabilità e quell'amore incondizionato che lei stessa non ha mai ricevuto. Tuttavia, lo spettatore è consapevole del fatto che, per Marilyn, la possibilità di costruire una famiglia normale è praticamente impossibile, dato il peso della sua fama e della sua vulnerabilità emotiva.
Il monologo è anche un ulteriore approfondimento del tema ricorrente nel film: la frattura tra Norma Jeane e Marilyn Monroe. Quando Norma parla di voler ricominciare, di studiare recitazione "vera" e di vivere una vita semplice e autentica, sta implicitamente rifiutando l’identità pubblica di Marilyn, una costruzione artificiale che la imprigiona. Il riferimento a New York è significativo: la città rappresenta non solo un luogo geografico, ma anche una possibilità di rinascita artistica e personale. È lì che Norma spera di liberarsi dal peso di essere Marilyn e di trovare un’identità autentica attraverso l’arte. Tuttavia, il tono del monologo – con le sue risate nervose e il flusso di pensieri frammentato – suggerisce che anche lei è consapevole dell’improbabilità di questa fuga. Hollywood l’ha definita, e uscirne non è una semplice questione di volontà.
Čechov rappresenta per Norma Jeane un rifugio ideale, un mondo alternativo in cui il mestiere di attrice non è frammentato o manipolato, ma integro e rispettato. Čechov non è una scelta casuale: le sue opere sono note per il loro realismo psicologico e per l'attenzione ai dettagli emotivi, due qualità che Norma Jeane sente mancare nel suo lavoro a Hollywood. Il riferimento a Čechov è anche una proiezione dei suoi sogni irrealizzati: il teatro diventa un simbolo di un’arte pura e incontaminata, lontana dal compromesso e dall'artificiosità del cinema.
Questo monologo in Blonde è una finestra sui sogni infranti di Norma Jeane, che desidera una vita semplice, autentica e piena d’amore, lontana dall’opprimente macchina di Hollywood. Tuttavia, ciò che rende il momento così potente è il sottotesto tragico: lo spettatore sa che questi desideri sono destinati a rimanere irrealizzati. Norma Jeane è intrappolata nell'identità di Marilyn Monroe, un personaggio che la consuma e la isola, rendendo impossibile la fuga che tanto desidera. Il monologo rivela anche la tensione tra il bisogno umano di amore e connessione e le aspettative disumanizzanti imposte dall'industria cinematografica. Norma Jeane non è solo un’attrice che vuole recitare "ruoli veri" o una donna che vuole una famiglia; è una persona che cerca di ritrovare se stessa in un mondo che l’ha scomposta e alienata.
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