Monologo - Ben Affleck in \"Jersey Girl\"

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~ LA REDAZIONE DI RC

Introduzione al monologo

Il monologo che Ollie (Ben Affleck) rivolge alla figlia Gertie arriva in un momento fondamentale del film “Jersey Girl”: dopo mesi di silenzio emotivo, dopo un lutto mai veramente affrontato, dopo errori, rabbia e distacco, il personaggio si ferma e si apre. Ma non lo fa con retorica o in modo perfetto: parla a ruota libera, come lui stesso dice, inciampando nelle parole, mescolando dolore e tenerezza, sarcasmo e sincerità.

E questa è la chiave: la goffaggine del discorso non è un limite, è la sua forza. Perché parla davvero da padre, e non da eroe. Non da protagonista cinematografico, ma da essere umano in cerca di perdono e di riconnessione.

Sei uguale a tua madre

MINUTAGGIO: 29:00-32:42

RUOLO: Ollie

ATTORE: Ben Affleck

DOVE: Netflix

ITALIANO

Si, è una cosa temporanea, sai… il fatto che abitiamo dal nonno. Allora… forte la cosa del principe di Bel Air, è… un bel casino. Certo che sono proprio un coglione patentato. I miei capi hanno detto che quelli che facevano le PR per Hitler ora avrebbero più probabilità di me di lavorare in questo campo. Allora… ehi, come va? Ma lo sai che un pò le assomigli? Una versione più lagnosa e pelata della tua mamma. Era… come vorrei che avessi potuto conoscerla. Lei ti voleva a tal punto… aveva una voglia matta di conoscerti. Si, proprio una voglia matta. Certe volte vorrei essere morto io al posto della tua mamma, perché lei non avrebbe mai permesso che il lavoro le impedisse di stare con te, come invece ho finito per fare io, quest’ultimo mese e qualcosa. Solo che io… non mi aspettavo che la mamma se ne andasse così all’improvviso. Per me è stata molto molto dura. Ho provato ad anestetizzarmi col lavoro, sai per non dover pensare che lei non sarebbe più tornata; perché io amavo a tal punto la tua mamma, a tal punto… lei mi aveva acceso la vita. E quando capita una cosa così, vorresti che durasse per tutta la vita, finché uno non muore. Ma solo che non ti aspetti che… lei mi manca, manca tanto. E tu sei un pezzetto di mamma, lo sai? E perciò tu sei molto speciale per me. Non mi lasciare mai, perché insieme alla tua mamma sei la cosa più bella, io ti amo. E mi dispiace per come mi sono comportato. E ti prometto che migliorerò adesso, sarò il padre migliore del mondo. Perché è questo che voleva la tua mamma, ed è questo che meriti tu. Ed è l’unica cosa che mi resta. Sono solo tuo padre. Certe volte papà parla a ruota libera, lo sai? Neanche tua mamma lo sopportava tanto. Vuoi vedere una sua fotografia? Ce l’ho. Ecco la tua mamma. E’ proprio bella, ok… vuoi tenerla tu? Papà ne ha moltissime. Ecco qua. Buonanotte, Gertie.

Jersey Girl

Jersey Girl” è un film del 2004 scritto e diretto da Kevin Smith, un autore che, fino a quel momento, era noto soprattutto per il suo stile irriverente, dialoghi iper-verbosi e personaggi legati al mondo nerd e pop (vedi Clerks, Chasing Amy, Dogma). Con Jersey Girl, Smith cambia registro. Non del tutto — la sua impronta resta, soprattutto nei dialoghi — ma decide di raccontare una storia più emotiva, più intima. Qualcosa che ha a che fare con la perdita, con il diventare genitori, e con l’idea di fallimento e redenzione.

Il protagonista è Ollie Trinke (interpretato da Ben Affleck), un pubblicitario rampante che vive e lavora a Manhattan. All'inizio del film è in piena ascesa professionale, innamorato di Gertrude Steiney (Jennifer Lopez), brillante e ironica. I due si sposano e aspettano una bambina. Ma succede qualcosa che sposta completamente la direzione del film.

Gertrude muore durante il parto.

E qui il tono cambia, immediatamente. La commedia da love story si spezza in qualcosa che ha a che fare con il dolore reale, quello che non si può sistemare con una battuta brillante.

Ollie si ritrova vedovo e padre single, completamente incapace di gestire entrambe le cose. Cerca di mantenere il lavoro, ma crolla. In un momento di frustrazione e stress, insulta pubblicamente un suo cliente (una figura del mondo musicale), e viene licenziato. A quel punto, torna nel New Jersey, dove era cresciuto, per vivere con suo padre Bart Trinke (George Carlin).

La figlia — Gertie — cresce, e Ollie lentamente si ricostruisce una vita: lavora come addetto comunale, è molto più vicino alla dimensione quotidiana, provinciale e, in fondo, più concreta rispetto al suo passato newyorkese.

A fare da spartiacque tra la sua vecchia vita e quella nuova arriva Maya, interpretata da Liv Tyler. Una commessa di videoteca che entra nella vita di Ollie e Gertie con leggerezza e schiettezza. Non è un personaggio romantico in senso tradizionale, è quasi un contrappunto: non cerca di sostituire nulla, è lì a dare uno specchio, una seconda occasione forse, ma non a tappare buchi.

Anche se il film ha un impianto da commedia romantica, in realtà Jersey Girl è soprattutto un film padre-figlia. Tutto ruota attorno al rapporto tra Ollie e Gertie: come lui, passo dopo passo, si lascia alle spalle le aspettative di successo, la frustrazione per quello che ha perso, e impara ad abitare davvero quel ruolo di padre.

Analisi Monologo

Si, è una cosa temporanea, sai… il fatto che abitiamo dal nonno.” La frase d’apertura sembra casuale, quasi da chiacchiera quotidiana. Ma già qui c’è una bugia bianca: Ollie vuole rassicurare Gertie, anche se sa che la loro situazione è tutt’altro che transitoria. È un modo per proteggere lei e, forse, anche sé stesso dalla verità. Certo che sono proprio un coglione patentato.” Questa autodefinizione brusca rompe la forma. Ollie non sta cercando di risultare “appropriato”: sta confessando, e usa un linguaggio che riflette il suo modo crudo di essere onesto. È anche un esempio di quanto Smith non voglia edulcorare i suoi personaggi nemmeno nei momenti più delicati.

Una versione più lagnosa e pelata della tua mamma.” Qui c’è una tenerezza involontaria, goffa. Il paragone fa sorridere, ma è anche doloroso: Ollie sta ricordando la moglie attraverso la figlia. E lo fa in modo disordinato, affettuoso, umano. Non la idealizza. La nomina con nostalgia vera, quasi a volerla tirare fuori dal sonno della bambina. Certe volte vorrei essere morto io…” Questo è il punto più vulnerabile del discorso. Non è un’esagerazione: è una frase detta nel buio, al confine tra il rimorso e il desiderio impossibile. Esprime non solo la colpa, ma anche la percezione di non essere all’altezza: del ruolo di padre, della memoria della moglie, della vita stessa.

Lei mi aveva acceso la vita.” Non è una frase poetica. È un riconoscimento definitivo. Ollie capisce che Gertrude non era solo una parte della sua vita: era il suo punto d’equilibrio, la sua spinta vitale. E ora quel fuoco lo vede riflesso in Gertie. “Tu sei un pezzetto di mamma, lo sai? Questa frase è devastante nella sua semplicità. Ollie lega presente e passato attraverso la figlia. Non la sta solo amando per quello che è: la sta riconoscendo come continuità, come eredità viva di una persona che non c’è più.

E mi dispiace per come mi sono comportato. Qui arriva il punto di svolta: il riconoscimento degli errori. E non è vago, non è un “ti prometto che cambierò” da copione. È specifico, è legato al desiderio concreto di essere un padre migliore — non per ambizione, ma per amore. “Vuoi vedere una sua fotografia? Ce l’ho.” Il gesto più puro: condividere la memoria. Fino a quel momento, Ollie aveva tenuto Gertrude in un angolo del cuore, un angolo nascosto. Ora, condivide il ricordo con la figlia, e così facendo, apre una porta che aveva sempre tenuto chiusa.

Conclusione

Questo monologo funziona perché non cerca di essere "perfetto". Non ha frasi memorabili da scrivere sui poster, non ha il climax da manuale. Ha una verità spoglia, dolceamara. Ollie è un uomo che ha perso molto, e che ha capito troppo tardi quali erano le sue vere priorità. Ma invece di affogare nel senso di colpa, prova — goffamente ma con sincerità — a ricostruire un ponte tra sé e sua figlia.

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