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~ LA REDAZIONE DI RC
Il monologo di Bruce Lee in C’era una volta a... Hollywood è uno dei momenti più discussi del film. Tarantino costruisce questa scena per dare risalto alla figura di Cliff Booth (Brad Pitt), presentandolo come un outsider capace di tenere testa a chiunque, persino a una leggenda delle arti marziali.
Siamo sul set di Green Hornet, e Bruce Lee (Mike Moh) sta parlando con un gruppo di stuntman e tecnici. Il suo discorso è un’autocelebrazione delle proprie capacità combattive e un confronto tra le arti marziali e la boxe. L’enfasi che mette nel dichiarare di poter "rendere storpio" Cassius Clay (Muhammad Ali) porta Cliff a ridacchiare, scatenando la sfida che dà il via alla loro scazzottata.
MINUTAGGIO: 44:10-45:10
RUOLO: Bruce Lee
ATTORE: Mike Moh
DOVE: Netflix
INGLESE
Now, I admire Cassius Clay, I do. What I admire is in his sport, there's an element of true combat. When Cassius Clay meets Sonny Liston in the ring, that's not two athletes posturing. That's combat. Two men trying to kill each other right now. If you don't beat him, he kills you. That's beyond athletics. That's beyond Wide World of Sports, you know? That's two warriors engaged in combat. That's what I admire. In martial arts tournaments, they won't let you fight like that. It's very frustrating. You stand in front of a guy, you just wanna let him have it. But you can't. So you gotta do this play-acting, pattycake version. Cassius Clay, Sonny Liston, Joe Lewis. The colored boxer, not that white kickboxing asshole. They do what they need to do to win. They unleash as much punishment as they have to to defeat the other guy. But in martial arts tournaments, I do to win what they do to win. I unleash all my power. I kill people.Well, that would never happen. I'd make him a cripple.
ITALIANO
No, io lo ammiro Cassius Clay, lo giuro. Quello che ammiro è che nel suo sport c’è un elemento di vero combattimento. Quando Cassius Clay incontra Sonny Liston sul ring, quelli non sono due atleti che posano, due uomini che cercano di uccidersi l’un l’altro. Se non lo abbatti, ti uccide. Non è più un gesto atletico, non è più Wide World of Sports, no. Sono due guerrieri che si danno battaglia. Questo è ciò che ammiro. Nei tornei di arti marziali non vogliono che combatti, così è davvero frustante. Tu stai di fronte a un’altro e vorresti solo darglielo: “Wata!” Ma non puoi, e sei costretto a questa messa in scena patetica e puerile. Cassius Clay, Sonny Liston, Joe Louis. Il nero che boxa e il bianco della kickboxing e un coglione. Loro fanno quello che ci vuole per vincere. Scatenano tutta la potenza che hanno per sconfiggere l’avversario. Ma nei tornei di arti marziali io come loro combatto per vincere. Io scateno tutta la mia potenza. Arrivo a uccidere. Beh, non capiterà mai… ma se incontrassi Cassius Clay lo renderei storpio.
“C’era una volta a... Hollywood” (2019) è il nono film di Quentin Tarantino, un’opera che mescola realtà e finzione per raccontare il tramonto della Golden Age di Hollywood. Ambientato nel 1969, il film segue le vicende di Rick Dalton (Leonardo DiCaprio), un attore televisivo in declino, e del suo amico e stuntman Cliff Booth (Brad Pitt), mentre cercano di restare a galla in un’industria cinematografica che sta cambiando rapidamente. Rick Dalton è un attore noto per la serie western Bounty Law, ma la sua carriera è in fase calante. Per restare rilevante, accetta ruoli da antagonista in serie TV, ma teme di essere ormai superato. Cliff Booth, il suo fidato stuntman e autista, vive un’esistenza più rilassata: è abituato a stare nell’ombra e affronta la vita con un atteggiamento distaccato.
Nel frattempo, Sharon Tate (Margot Robbie), attrice emergente e moglie del regista Roman Polanski, rappresenta il volto nuovo di Hollywood. Il film la segue mentre si gode il successo, ignara della tragedia che la attende. Mentre Rick fatica con la sua insicurezza professionale e accetta di girare uno spaghetti western in Italia, Cliff incrocia la strada della Manson Family, una comune hippy legata al famigerato Charles Manson. Un incontro apparentemente casuale che segnerà la svolta della storia. La narrazione culmina nella notte del 9 agosto 1969, quando la Manson Family decide di attaccare la casa di Sharon Tate. Ma Tarantino ribalta la storia: invece di uccidere Tate e i suoi amici, i seguaci di Manson entrano nella casa sbagliata, quella di Rick Dalton. Qui Cliff, sotto effetto di LSD, e il suo fedele pitbull Brandy annientano brutalmente gli intrusi. Rick, ormai ignaro di tutto, conclude la notte bruciando l’ultimo assalitore con un lanciafiamme, lo stesso usato in un vecchio film.
Il monologo è costruito con un crescendo di intensità, passando da un’analisi apparentemente lucida della boxe a un’esaltazione quasi fanatica delle proprie capacità. “Io lo ammiro Cassius Clay, lo giuro.” Bruce Lee inizia con un'apparente dichiarazione di rispetto per Muhammad Ali, ma è un'apertura strategica: non sta davvero elogiando la boxe, sta preparando il terreno per affermare la superiorità delle arti marziali. “Quando Cassius Clay incontra Sonny Liston sul ring, quelli non sono due atleti che posano, due uomini che cercano di uccidersi l’un l’altro.” Qui Lee enfatizza la violenza autentica della boxe rispetto alle arti marziali sportive, lamentando come nei tornei di arti marziali si perda il contatto con la vera natura del combattimento.
“Nei tornei di arti marziali non vogliono che combatti, così è davvero frustrante.” Il tono diventa più personale. Lee esprime la sua frustrazione per le regole imposte ai tornei, regole che, secondo lui, limitano la vera essenza del combattimento. “Cassius Clay, Sonny Liston, Joe Louis. Il nero che boxa e il bianco della kickboxing è un coglione.” La frase è volutamente provocatoria. Tarantino mette in bocca a Bruce Lee un’espressione dura, quasi sbruffona, che lo allontana dall'immagine zen e filosofica che il pubblico ha di lui. “Io scateno tutta la mia potenza. Arrivo a uccidere.” Il monologo raggiunge il culmine con questa affermazione assoluta. Lee si dipinge come un guerriero che combatte senza limiti, senza regole, con la volontà di vincere a ogni costo.
“Beh, non capiterà mai… ma se incontrassi Cassius Clay lo renderei storpio.” Qui arriva la frase che scatena Cliff Booth. Non solo perché sembra un'esagerazione, ma perché suona come una mancanza di rispetto nei confronti di una leggenda della boxe. Ed è proprio la sicurezza con cui Bruce Lee pronuncia queste parole che porta Cliff a sfidarlo apertamente. Questo monologo è scritto in modo da mostrare un Bruce Lee diverso dall’immagine iconica e rispettata che abbiamo di lui. Tarantino lo dipinge come un uomo talentuoso ma anche arrogante, un combattente consapevole delle proprie capacità ma incline a sopravvalutarsi. La reazione di Cliff serve a ridimensionarlo, inserendolo in una narrazione in cui non esistono figure intoccabili.
Il monologo di Bruce Lee è uno dei momenti più controversi del film. Tarantino lo usa per creare tensione e preparare il pubblico allo scontro tra lui e Cliff Booth, ma anche per smitizzare la sua figura. Questo discorso mostra Bruce Lee non come un maestro filosofico, ma come un uomo di spettacolo che si atteggia a guerriero invincibile. Il contrasto con Cliff Booth è netto: uno parla, l’altro agisce. E proprio questa differenza dà vita a uno dei momenti più discussi del film, dove la leggenda e la realtà si scontrano... letteralmente.
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