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~ LA REDAZIONE DI RC
Interpretare il monologo di Luvi da “The Bad Guy” significa immergersi in un intreccio complesso di emozioni e conflitti irrisolti. Luvi è una donna segnata dal peso di un’eredità morale e affettiva: suo padre, Paolo Bray, è stato un uomo duro e inflessibile, legato a una causa di giustizia che ha finito per segnare profondamente la vita di chi lo circondava. Attraverso questo monologo, Luvi ripercorre il ricordo di un padre che, pur essendo un simbolo di integrità pubblica, rimane per lei una figura distante e tormentosa, quasi irraggiungibile.
STAGIONE 1 EP 1
MINUTAGGIO: 31:20-32:48
RUOLO: Luvi
ATTRICE: Claudia Pandolfi
DOVE: Rai Play
ITALIANO
"Se vuoi che le persone siano buone, friggile". Questo diceva sempre mio padre. Lui non credeva nella bontà delle persone. Era inflessibile, duro, rigido. Paolo Bray. Però credeva profondamente nella bontà delle cause. Ne ha sposata una, e gli è rimasto fedele, fino alla morte. Ecco, io non so se mio padre fosse un uomo buono, e se io stessa possa considerarmi tale. Ma so per certo, che quel giorno, a Marzamemi, una parte di me è morta con lui. Grazie di cuore a tutti coloro che hanno lavorato a "Il magistrato buono". Questa bellissima fiction che tiene viva la memoria di Paolo Bray. Grazie a tutto il cast. Siete meravigliosi. Grazie a chi lotta per lo Stato. E grazie a mio padre. Sempre.
"The Bad Guy" gioca con gli archetipi della mafia e della giustizia per raccontare una storia in cui il protagonista, Nino Scotellaro, si trova a cavalcare la linea sottile tra il giusto e l’illecito. La serie parte con un personaggio rigoroso e intransigente: un magistrato che ha dedicato la vita a combattere la mafia, con l’ossessione di catturare Mariano Suro, un boss feroce e responsabile di centinaia di morti. Nino incarna l’ideale del servitore dello Stato, ma anche quello dell'uomo burbero e senza compromessi, capace di sacrificare i rapporti personali – anche quelli più stretti, come con sua moglie Luvi e sua sorella Leonarda – pur di perseguire la giustizia.
Ma il fulcro del racconto si accende quando la storia cambia rotta e Nino, ingiustamente accusato di collusione, subisce il massimo della punizione: da accusatore, diventa il condannato, colpevole agli occhi dello Stato che ha sempre servito. L’assurdità e l’ingiustizia di questa situazione trasformano Nino, fino a spingerlo verso la vendetta. E qui la serie prende una piega da noir contemporaneo, infondendo alla trama quel carattere “distopico” che viene visualizzato perfettamente nel crollo del ponte sullo stretto di Messina: un passaggio simbolico tra il mondo di Nino come magistrato e quello da ex detenuto e, ora, uomo che pianifica vendetta.
Il crollo del ponte è un colpo di scena potente che dà a Nino l'occasione di rinascere sotto una nuova identità. Per il mondo, Nino è morto; per se stesso, invece, è solo rinato in un contesto nuovo, quello dei clan mafiosi rivali ai Suro. Infiltrandosi nei Tracina, Nino non si limita a cercare la giustizia per l’ingiustizia subita, ma passa all’offensiva, scivolando in una moralità grigia che solleva interrogativi sul confine tra il bene e il male, sulla vendetta e sulla legittimità della violenza in risposta a un torto.
Il monologo di Luvi è denso di emozione e al contempo spietato nella sua lucidità, rivelando non solo l’eredità morale di suo padre, Paolo Bray, ma anche il conflitto interiore di una figlia che porta su di sé il peso di quel retaggio. "Se vuoi che le persone siano buone, friggile" è una frase cruda, quasi cinica, che riassume il pragmatismo del padre, un uomo che sembra non aspettarsi alcuna bontà intrinseca negli altri, ma che si dedica con inflessibilità a una causa. Paolo Bray è tratteggiato come un uomo irremovibile, disposto a sacrificare l’umanità e la dolcezza in nome della giustizia.
Luvi ricorda suo padre con rispetto ma senza idealizzarlo, consapevole delle sue spigolosità e della sua distanza emotiva. È come se sentisse ancora il peso della sua presenza e, paradossalmente, della sua assenza affettiva. Quel giorno a Marzamemi – un luogo simbolico, probabilmente teatro di qualche evento tragico – è per Luvi una cesura definitiva, la morte di suo padre e la morte simbolica di una parte di lei stessa. È una scena che suggerisce come la lotta contro il male lasci ferite profonde non solo nei diretti interessati ma anche in chi vive al loro fianco.
L’apparente formalità del suo ringraziamento alla fine – rivolto al cast della fiction che celebra la memoria del padre – tradisce un’amarezza e una tristezza profonde. Ogni parola di gratitudine, in realtà, sembra un modo per onorare Paolo Bray come personaggio pubblico, mentre per Luvi quell’uomo rimane una figura quasi inaccessibile, la cui ombra la sovrasta. Paradossalmente, nel ringraziare "chi lotta per lo Stato," Luvi sembra più distante che vicina a quella missione, come se la sua sofferenza la allontanasse da quei valori per i quali suo padre ha combattuto, portandola a chiedersi se anche lei debba sacrificarsi a quel destino, pur avendone dubbi e riserve.
Il monologo lascia intravedere un conflitto irrisolto, una battaglia interna tra il desiderio di libertà personale e l’eredità di un padre "inflessibile, duro, rigido" che Luvi sente su di sé, sospesa tra l’ammirazione e un sentimento di perdita.
1. Imposta il tono iniziale con ambiguità e introspezione
La frase “Se vuoi che le persone siano buone, friggile” è il fulcro del monologo e la chiave d’accesso al mondo emotivo di Luvi. Questo è un ricordo che riporta alla mente il carattere inflessibile del padre. Pronunciala con un tono che mescoli ammirazione e, allo stesso tempo, un leggero smarrimento. Non è una frase che racconti con piacere, ma è centrale per dare una chiave al pubblico su chi era suo padre.
Lascia una piccola pausa dopo aver pronunciato queste parole, come se stessi assaporando la durezza di quel ricordo, permettendo che le parole risuonino con il peso della memoria.
2. Rendi la figura del padre quasi una presenza ingombrante
Usa una postura rigida, forse anche leggermente distaccata, mentre parli di Paolo Bray. Non c’è calore nelle sue descrizioni: il padre è visto come una figura immensa e distante, quasi più un simbolo che un uomo. Quando dici “Era inflessibile, duro, rigido. Paolo Bray”, scandisci bene il nome, come a ricordare la forza imponente di questa figura pubblica.
Evoca il peso della sua assenza con un’espressione che combini rispetto e rassegnazione, come se anche tu stessi cercando di capire se il padre fosse davvero “un uomo buono”. C'è una certa ambivalenza nei suoi confronti, che devi far trasparire senza giudizio.
3. Racconta la scena di Marzamemi come un trauma mai superato
Quando arrivi a “quel giorno, a Marzamemi, una parte di me è morta con lui”, metti in pausa il flusso, come se stessi tornando a quel momento. Devi far percepire al pubblico che Marzamemi rappresenta per Luvi un punto di non ritorno, la fine della sua innocenza o della speranza in una vita normale.
Sussurra quasi queste parole o falle scivolare in un tono leggermente più basso, come un segreto che difficilmente riesci a dire ad alta voce. Il ricordo di quella giornata dev’essere viscerale, con un dolore profondo e sommesso, una ferita che non si è mai rimarginata.
4. Man mano che parli della fiction e dei ringraziamenti, crea un contrasto con il dolore interiore
Quando passi ai ringraziamenti verso la fiction "Il magistrato buono", cambia leggermente atteggiamento: aggiungi una leggera distanza emotiva, come se indossassi una maschera per il pubblico. Stai parlando per “ringraziare” chi ha reso omaggio alla memoria di tuo padre, ma dentro di te il sentimento è ben più complesso.
Il tuo tono di gratitudine deve essere formale, ma allo stesso tempo distante: ringraziare gli altri è un dovere più che un sentimento genuino. Questa parte è quasi una recita nel tuo ruolo di figlia di Paolo Bray.
5. Chiudi con “Grazie a mio padre. Sempre” con intimità e risolutezza
In questa frase conclusiva, puoi far percepire l’affetto e il senso di devozione che ti lega a tuo padre. Abbassa leggermente il tono, come a parlare tra te e te, e rallenta la cadenza. Deve sembrare una dichiarazione intima, qualcosa di cui hai bisogno per dare un senso alla tua stessa esistenza, anche se continui a portarne il peso.
Un’ultima pausa dopo “Sempre”, come un pensiero sospeso. Guarda verso il vuoto o abbassa leggermente lo sguardo, lasciando che il pubblico intuisca quanto la sua figura continui a pesare su di te, anche in assenza.
6. Aggiungi piccoli gesti e movimenti controllati
Tieni il corpo rigido, quasi bloccato, per la maggior parte del monologo, come se il peso della memoria fosse fisico e non ti permettesse di rilassarti. Puoi usare un piccolo gesto, come passarti una mano sulle braccia, mentre ricordi la scena di Marzamemi, per enfatizzare il dolore o il freddo interno che senti.
Quando parli del cast e della fiction, tieni la postura composta e professionale, ma con una tensione visibile, come a voler mantenere il controllo per non svelare troppa vulnerabilità.
7. Rendi tutto sottile e contenuto
Questo è un monologo che ha il suo impatto nella misura in cui non esplode mai, ma trattiene il dolore, l’amarezza e la riconoscenza in un equilibrio delicato. Deve sembrare che, in qualsiasi momento, tu possa rompere questa calma apparente, ma non lo fai, lasciando che il pubblico percepisca la tensione irrisolta.
In questo monologo, Luvi si svela come una donna in bilico tra il bisogno di onorare l’eredità di suo padre e il desiderio di affermare una propria identità, libera dalle ombre del passato. Il suo ringraziamento finale, rivolto a chi ha mantenuto vivo il ricordo di Paolo Bray, è una sorta di confessione implicita della difficoltà di vivere nel solco di un modello così rigoroso. La tensione tra ciò che sente e ciò che esprime rende questo monologo un atto di intima vulnerabilità, un momento in cui il peso della memoria si intreccia al desiderio di dare un senso al sacrificio paterno.
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