Monologo femminile - Connie Britton in \"La lista dei miei desideri\"

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Articolo a cura di...


~ LA REDAZIONE DI RC

Introduzione al monologo

In questo DVD da “La lista dei miei desideri”, Elizabeth si mostra in una versione diversa rispetto al primo: non più la madre lucida e strutturata che ha “organizzato” un percorso di rinascita per la figlia, ma una donna che si affaccia al limite della vita con consapevolezza, paura e tenerezza. Il tono cambia, si fa più contemplativo, più stanco. C’è una sincerità che disarma, che toglie ogni filtro.


L’apertura è diretta e spiazzante: “Sto per morire.” Nessun giro di parole. Solo il tentativo, un po’ goffo e pieno d’ironia, di parlare della morte senza romanticizzarla. Questo è un monologo che non ha più bisogno di convinzioni. Non deve motivare Alex, ma condividere con lei una verità più grande: la fragilità non è un difetto, è un passaggio.

Moby Dick e Acab

MINUTAGGIO: 50:40-52:50

RUOLO: Elizabeth
ATTRICE:
Connie Britton
DOVE:
Netflix



ITALIANO


Prima di... perché è così difficile dire "morire"... sto per morire. Come dice quel verso? "I sogni che sopraggiungono quando ci siamo liberati dell'involucro mortale devono indurci a riflettere". Indurci a riflettere. Mi piacciono queste parole. Come se continuassi a esserci ma in un piacevole stato onirico, senza dolori e sofferenza. A proposito di sofferenza, quanto è lungo questo libro (Moby Dick). Ho continuato a cercare una sorta di illuminante connessione tra il libro e la lista. Ma l'analisi migliore che mi è venuta in mente: io sono Acab, tu sei la mia balena, e ti ho fatto intraprendere questa ricerca senza speranza. Ho una bella faccia tosta, giusto? Ma che combino, gioco a fare Dio? Come se fossi un esempio di... saggezza e virtù, cosa che posso assicurarti tesoro mio, non sono. La verità è che io... io... la verità è ch emi sono svegliata stamattina con la convinzione di liberarti da questa folle missione, ma poi ho riletto la lista. E so che avevi solo tredici anni quando l'hai scritta... ma è una mappa. Per trovare la te migliore. Mi segui? Quello che voglio dirti è che se sei in difficoltà, o hai la sensazione di essere un fallimento, va bene. Non bisogna vergognarsi di chiedere aiuto. E me ne rendo conto sempre di più, ogni giorno. Chiamatemi Ismaele, uno dei migliori incipit in assoluto. Ricordi che ti dicevo: chiamami mamma, ma assicurati di chiamarmi. Ok, bimba mia. Alla prossima, ti voglio bene. Passo e chiudo.

La lista dei miei desideri

Partiamo da quella premessa che funziona un po' come chiave d’accesso all’universo del film: tutti abbiamo messo da parte dei sogni. Ed è proprio lì che La lista dei miei desideri, disponibile su Netflix dal 28 marzo, ci prende per mano. Non per dirci che è tutto possibile, ma per ricordarci che a volte basta solo riprendere in mano un vecchio quaderno per riscoprire chi volevamo diventare.


Alex Rose (Sofia Carson) è una donna che vive a New York, lavora, ha una routine, ha dei doveri… ma non ha più sogni. O almeno, così sembra. Dopo la morte della madre Elizabeth (Connie Britton), Alex si ritrova in un momento di sospensione emotiva: tutto le appare distante, piatto, e soprattutto lontano da quella ragazza piena di energia e speranze che era da adolescente. Ed è proprio sistemando casa che riemerge quel foglio. Una lista scritta da lei stessa anni prima, piena di desideri semplici, folli, teneri, ingenui. Desideri che aveva dimenticato. O peggio: archiviato. In quella lista c’è il cuore della storia.


Scopre, però, che sua madre conosceva quella lista. E che, prima di morire, l’ultimo desiderio che aveva espresso era quello di vedere sua figlia felice. Non sistemata, non realizzata secondo gli standard, ma felice.


I momenti-chiave della lista: più che sfide, sono frammenti d’identità


Esibirsi in un open mic in un comedy club la mette davanti alla sua paura più grande: esporsi. Ma è anche lì che scopre che mostrarsi per come si è davvero può diventare una forma di forza, e non di debolezza.

Condurre una lezione in un rifugio per donne è forse uno dei momenti più toccanti del film: il contatto con le storie delle altre donne le insegna che la vita non è fatta per essere vissuta da soli, e che l'empatia è una delle forme più autentiche di cambiamento.

Una sfida a basket con uno sconosciuto? Il piacere dell’imprevisto, la leggerezza che spesso dimentichiamo di concederci. Lì Alex si ricorda di quando non pianificava tutto, ma si buttava.


Partecipare a un evento benefico, dove incontra una donna che la ispira profondamente, è l’occasione per capire che guardare avanti non significa rinnegare il passato, ma integrarlo.

A supportarla nel percorso ci sono i fratelli (Dario Ladani Sanchez e Federico Rodriguez), figure affettuose e presenti che le ricordano l’importanza delle radici. E c’è Brad (Kyle Allen), l’avvocato che inizialmente osserva la lista con scetticismo ma che, pian piano, ne rimane coinvolto. Il loro rapporto cresce in maniera naturale, senza forzature, diventando una delle colonne emotive del film.


Ma il legame più forte è quello con la madre. Nonostante Elizabeth sia fisicamente assente per tutta la narrazione, la sua presenza è viva in ogni scelta di Alex. È lei a innescare la miccia, a renderle possibile questo viaggio, anche da lontano.

La lista dei miei desideri parla di riconciliazione con sé stessi. Di quel momento, spesso silenzioso, in cui ci si guarda allo specchio e ci si chiede: “Ma è davvero questa la vita che volevo?”. Il regista Adam Brooks lo fa alternando toni da commedia romantica a momenti più intimi e riflessivi, usando New York non come semplice sfondo, ma come metafora: una città piena di stimoli, ma anche piena di solitudine.

Analisi Monologo

La potenza di questo monologo sta nella sua ambivalenza: è allo stesso tempo una riflessione filosofica, una confessione intima, e una carezza. Elizabeth mescola citazioni, letteratura e ironia per raccontare qualcosa che va oltre le parole: il senso di essere ancora madre, anche quando non ci sarà più. I sogni che sopraggiungono quando ci siamo liberati dell’involucro mortale devono indurci a riflettere.” Qui c’è Shakespeare che bussa alla porta, ma la madre non si nasconde dietro il linguaggio poetico. Anzi, lo usa come trampolino per una delle ammissioni più forti del film:

Io sono Acab, tu sei la mia balena.” Questa metafora, tratta da Moby Dick, ribalta le aspettative. Elizabeth ha proiettato le proprie ansie, speranze e desideri sulla figlia. E forse ha anche sbagliato. Ha guidato Alex in una “caccia alla balena” che non era sua. C’è qualcosa di profondamente onesto qui, quasi un perdono che Elizabeth chiede con una punta di autoironia: Che combino, gioco a fare Dio?Ma subito dopo arriva il cuore del messaggio: La verità è che mi sono svegliata stamattina con la convinzione di liberarti da questa folle missione... ma poi ho riletto la lista.” E tutto cambia. Elizabeth non annulla la missione, anzi la conferma. Perché quella lista, riletta con occhi nuovi, non è più solo un gioco adolescenziale. È una mappa per tornare a sé stessi. Lo dice esplicitamente: È una mappa. Per trovare la te migliore.”


E qui il messaggio si apre, si fa universale: l’idea che dentro ognuno di noi ci sia una versione “migliore”, non perfetta, ma più autentica, che può essere ritrovata. E che per farlo, serve chiedere aiuto. Serve lasciarsi andare.


Elizabeth lo dice con una tenerezza spiazzante: Se hai la sensazione di essere un fallimento, va bene. Non bisogna vergognarsi di chiedere aiuto.” In questo momento, il ruolo si inverte: la madre, che ha sempre rappresentato la forza, si mostra debole, bisognosa. Ma proprio in questo, diventa ancora più credibile. La forza, qui, è nel riconoscere i propri limiti.


E chiude con uno dei riferimenti più belli e affettuosi: Chiamatemi Ismaele.” E subito dopo: Chiamami mamma, ma assicurati di chiamarmi.” Una linea perfetta: letteraria, intima, viva. Una chiusura che ha il sapore della presenza, non dell’assenza.

Conclusione

In questo monologo, Elizabeth cede il controllo e si mostra per quello che è: una donna imperfetta, spaventata, ma profondamente innamorata della figlia. Non vuole più guidarla, vuole solo dirle: “sei libera, e sei abbastanza, anche quando non lo sai.” Se nel primo messaggio la lista era un compito da completare, qui diventa una scelta consapevole. Non un modo per “aggiustarsi”, ma per ritrovarsi.

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