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~ LA REDAZIONE DI RC
In Fremont, il monologo del Dr. Anthony (interpretato da Gregg Turkington) arriva durante una seduta con Donya. È uno di quei momenti che sembrano apparentemente marginali, quasi una divagazione narrativa, ma che in realtà racchiudono l’essenza tematica del film. Il terapeuta racconta a Donya la trama di Zanna Bianca, romanzo di Jack London, ma lo fa con un tono che mescola un distacco quasi didattico a un'empatia che non riesce (o non vuole) trasformarsi in qualcosa di più diretto.
MINUTAGGIO: 43:15-44:15
RUOLO: Dr. Anthony
ATTORE: Gregg Turkington
DOVE: Disney+
ITALIANO
Lasci che le racconti un pò della storia di Zanna Bianca. Zanna Bianca è l'unico sopravvissuto della sua famiglia che è stata decimata dalla fame. E quindi, deve...imparare a vivere nella...dura realtà del Nord, che "uccidi o sarai ucciso". Nessuna esperienza lo aveva preparato al suo padrone che...lo rende un...feroce assassino. Quest'uomo crudele lo fa combattere con gli altri cani fino alla morte. E' durante una delle lotte che Zanna Bianca si scontra con un Bulldog che quasi lo uccide. Per fortuna, viene soccorso da un uomo di nome Scott che...accoglie Zanna Bianca e lo addomestica. Lo riporta in California, dove Zanna Bianca impara ad amare Scott e la sua famiglia. Poi, infine, Zanna Bianca ha...dei cuccioli, con Collie...l'altro cane di Scott. E... vivono... per sempre felici e contenti. Zanna Bianca non se l'aspettava questo finale, non era mosso da un ragionamento...ma dal suo istinto, da sensazioni e...emozioni.
"Fremont" è un film che si muove con una delicatezza silenziosa, seguendo il viaggio interiore di Donya, una rifugiata afghana in cerca di un posto nel mondo. Diretto da Babak Jalali e scritto insieme a Carolina Cavalli, il film si inserisce nel panorama del cinema indipendente americano con uno stile asciutto e contemplativo, capace di raccontare molto con pochissimo. Donya vive a Fremont, in California, dopo essere fuggita dall'Afghanistan, dove lavorava come traduttrice per l’esercito americano. Il suo presente è scandito da una routine monotona: il lavoro in una fabbrica di biscotti della fortuna a San Francisco, la convivenza con la solitudine e un'insonnia che sembra avere radici più profonde del semplice stress.
Nel suo percorso incontra figure che oscillano tra il gentile e l’indifferente: il terapista Dr. Anthony, che tenta di aiutarla senza forzarla; i colleghi della fabbrica, con cui scambia dialoghi minimi; e Salim, un altro rifugiato afghano che cerca di avvicinarsi a lei. Ma è un gesto semplice e impulsivo – scrivere il proprio numero dentro un biscotto della fortuna – a innescare il cambiamento.
L’incontro con Daniel (Jeremy Allen White), un meccanico incontrato per caso, rappresenta forse l’unica vera possibilità di connessione autentica. Il film non forza una risoluzione netta: lascia Donya sospesa tra il desiderio di aprirsi e la paura di lasciarsi alle spalle il senso di colpa per chi è rimasto indietro.
La mancanza di colore enfatizza la solitudine della protagonista e le sfumature emotive della sua storia, regalando alle immagini una qualità senza tempo che richiama il cinema indipendente degli anni ’80 e ’90, da Jim Jarmusch a Kaurismäki.
Il formato 4:3 incornicia Donya in spazi spesso ristretti, amplificando la sensazione di isolamento. Eppure, nei momenti più significativi, Jalali permette ai personaggi di respirare, di trovare piccole aperture nel quadro, suggerendo la possibilità di un futuro diverso.
Pur non essendo apertamente politico, il film porta con sé il peso di una storia collettiva. Il passato di Donya è legato alla guerra, alle sue conseguenze, alla difficile integrazione negli Stati Uniti. Il suo senso di colpa per essere sopravvissuta è lo stesso che molti rifugiati affrontano, ed è qui che il film trova la sua dimensione più universale.
Il racconto di Zanna Bianca inizia con una frase chiave: "Zanna Bianca è l’unico sopravvissuto della sua famiglia che è stata decimata dalla fame." Questo basta a rendere subito il parallelo con Donya. Anche lei è una sopravvissuta. La fame, nel suo caso, è quella della guerra, della perdita, della colpa. Come il lupo di London, Donya è scampata a una realtà estrema ed è stata gettata in un’altra, altrettanto alienante, in cui deve imparare nuove regole per restare a galla.
Zanna Bianca viene “reso un feroce assassino” dal suo padrone, obbligato a combattere. È un'immagine dura, ma è anche un modo per dire che chi sopravvive a un trauma spesso si ritrova a costruirsi addosso un'armatura. Donya, infatti, è chiusa, trattenuta, quasi anestetizzata. Non combatte nel senso letterale, ma resiste. Non si lascia andare, non si permette di desiderare. La sua autodifesa passa per l’emotivo silenzio.
Nel momento in cui Zanna Bianca viene salvato da Scott, la narrazione cambia tono: si apre uno spiraglio. “Zanna Bianca impara ad amare.” È un passaggio fondamentale. Perché non avviene per logica, ma “per istinto, per emozioni.” Ed è qui che il monologo si fa più personale, più intimo. Il Dr. Anthony sta suggerendo — in modo indiretto ma affettuoso — che anche Donya può cambiare traiettoria. Che può imparare ad amare, non perché è il momento giusto, o perché se lo è meritato, ma semplicemente perché è umana, e l’istinto alla connessione è più forte della paura.
Il modo in cui Gregg Turkington interpreta questo monologo è centrale: lo dice quasi tutto d’un fiato, con pause minime, come se raccontare una favola a una bambina. Ma il tono si incrina lentamente, diventa più caldo, più fragile. Non vuole commuovere, ma c’è un tremolio nella voce che tradisce un coinvolgimento vero. Il Dr. Anthony sta raccontando qualcosa che sente anche suo.
Questo monologo è una carezza sotto forma di favola. Non pretende di risolvere il dolore di Donya, ma le offre un'immagine alternativa: quella di un’esistenza in cui è possibile smettere di lottare, lasciarsi salvare, trovare spazio per la tenerezza e per l’amore. Zanna Bianca, nelle mani di Babak Jalali, diventa una piccola parabola sul trauma e sulla possibilità della rinascita.
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