Monologo Femminile Teatrale - il lamento di Ecuba in \"Le Troiane\" di Euripide

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~ LA REDAZIONE DI RC

INTRODUZIONE AL MONOLOGO

Il monologo di Julie in A Man on the Inside rappresenta un momento cruciale nella narrazione e nell'evoluzione dei personaggi. Attraverso un dialogo diretto e sincero, la serie riesce a bilanciare emozione e pragmatismo, esplorando temi universali come il dolore della perdita e la necessità di ritrovare un senso nella vita. Questo passaggio è un esempio di scrittura intima e accessibile, in cui un'esperienza personale diventa un ponte per la connessione e la crescita. Ma ciò che rende questo monologo così significativo non è solo il contenuto, bensì il modo in cui Julie lo utilizza per spronare Charles a uscire dalla sua apatia emotiva.

VIVI ALLA DERIVA, ECUBA


Monologo di Ecuba (Traduzione di Jacqueline Moatti)


Miserabile!

Sollevati da terra,

apri gli occhi....guarda...

davanti a te non c'è più una città,

non sei più la regina di Troia.

Il destino di tutte le cose è di cambiare.

Adesso, accetta...

accetta di essere portata dalla marea del mondo,

accetta di essere trascinata dai marosi...

non lanciare dritto sull'onda

il fragile battello della tua vita...

vivi alla deriva!

Ecuba!

Mi si lasci il diritto di gridare il mio male,

perché sparisce la mia città,

i miei figli

e il re.

La mia stirpe grandiosa

come una vela gonfiata dal vento,

la mia stirpe scompare...

Non era niente!

I miei morti reclamano il silenzio?

Reclamano dei gridi?

Io ho bisogno d'alleviare il peso del mio dolore

in un lungo lamento.

Batto la massa del mio corpo

contro la dura terra,

per sentire il mio male

con la testa,

Il petto e il mio ventre!

Vorrei che questo corpo diventasse

una carena cullata dal rullio,

che si inclina lentamente sul fianco sinistro,

e torna a inclinarsi sul fianco destro

per darmi il ritmo del lamento dei morti.

LE TROIANE

“Le Troiane" di Euripide è una delle opere più emblematiche della tragedia greca, scritta nel 415 a.C. e rappresentata per la prima volta durante le Dionisie di quell'anno. Il contesto storico in cui fu composta è significativo: Atene era nel pieno della Guerra del Peloponneso e aveva appena condotto un massacro devastante nella città di Melo, un episodio che probabilmente influenzò il dramma. L'opera è una riflessione brutale sul destino delle vittime di guerra, raccontata attraverso la prospettiva delle donne troiane sopravvissute alla distruzione della loro città.


Ambientata subito dopo la caduta di Troia, "Le Troiane" si concentra sulla sofferenza delle donne della città, ridotte in schiavitù dai Greci vittoriosi. Non c'è un vero e proprio svolgimento della trama in senso tradizionale: è piuttosto una sequenza di episodi che illustrano la desolazione e la disperazione di chi ha perso tutto. Euripide utilizza la tragedia per esplorare i temi della crudeltà umana, dell'impotenza e dell'orrore della guerra.

Ecuba - La regina di Troia, simbolo della dignità perduta e della disperazione. È il fulcro emotivo dell'opera e funge da testimone del crollo della sua famiglia e della sua città.


Cassandra - La profetessa condannata a non essere mai creduta. La sua follia apparente nasconde una lucidità devastante quando predice le tragedie future, incluso il destino degli stessi Greci.

Andromaca - Vedova di Ettore, il simbolo della fedeltà e del sacrificio. La sua sorte rappresenta il dolore di una madre che deve affrontare la perdita del figlio, Astianatte.

Elena - Il personaggio più controverso. Viene portata in scena per difendere la sua parte nella guerra, ma diventa il bersaglio dell'odio delle donne troiane.


Euripide mostra gli effetti della guerra non sugli eroi, ma su coloro che ne subiscono le conseguenze: le donne, i bambini e i vinti. "Le Troiane" mette in luce l'incapacità degli uomini di sfuggire al ciclo di violenza e vendetta. I vincitori di oggi possono diventare i vinti di domani. Nonostante siano oppresse, le donne troiane mostrano una resistenza interiore. Euripide eleva le loro sofferenze a una critica universale della brutalità umana.


La tragedia si articola in una serie di episodi che ritraggono le donne troiane mentre affrontano il loro destino:

Prologo - Poseidone e Atena discutono della punizione che infliggeranno ai Greci per le loro empietà.

Lamento di Ecuba - La regina lamenta il crollo di Troia e il destino della sua gente.

Destino di Cassandra - Condannata a diventare la concubina di Agamennone, Cassandra denuncia l'ipocrisia e predice sventure.

Destino di Andromaca - Andromaca è separata dal figlio Astianatte, che verrà gettato dalle mura di Troia per paura che possa un giorno vendicarsi.

Processo a Elena - Le donne troiane accusano Elena di essere la causa di tutte le loro sofferenze.

Conclusione - Troia viene definitivamente distrutta, mentre le donne vengono condotte alle navi greche.


L'eredità dell'opera


"Le Troiane" è una denuncia straordinaria della brutalità della guerra e delle sue conseguenze. Euripide usa il dolore per sfidare il pubblico a riflettere sulle implicazioni morali e politiche del conflitto. È una tragedia che parla di perdite senza speranza e di una giustizia che sembra sempre assente.

ANALISI MONOLOGO

Questo monologo di Ecuba è uno dei momenti più potenti e tragici de Le Troiane: una madre, una regina e una donna che affronta la devastazione totale, il collasso del mondo che conosce e la perdita della propria identità.

Il monologo arriva in un momento cruciale dell’opera. Ecuba, un tempo regina di Troia, è ridotta a una schiava. Ha perso tutto: il suo regno, la sua famiglia e il suo futuro. La sua figura è un simbolo del collasso di una civiltà, ma anche della resilienza dell'essere umano di fronte alla catastrofe. Qui, la sua voce si alza per dare corpo al dolore, non solo il suo personale, ma quello collettivo di un’intera città e generazione.


Miserabile! Sollevati da terra, apri gli occhi....guarda... davanti a te non c'è più una città, non sei più la regina di Troia. Il monologo si apre con un’autodenuncia: "miserabile". Ecuba si rivolge a se stessa, cercando di scuotersi dalla prostrazione fisica ed emotiva. È una dichiarazione cruda della realtà: Troia è caduta, e con essa tutto ciò che definiva la sua identità. La figura della regina è ormai svuotata di significato, perché senza un popolo e senza una città, il titolo non ha più valore.


Il destino di tutte le cose è di cambiare. Adesso, accetta... accetta di essere portata dalla marea del mondo, accetta di essere trascinata dai marosi… In questi versi, Ecuba affronta il tema centrale del cambiamento, che Euripide rappresenta non come evoluzione, ma come distruzione. La metafora della "marea del mondo" e dei "marosi" richiama l'idea del destino come una forza inarrestabile e impersonale. Ecuba non è invitata a combattere, ma a sottomettersi, a "vivere alla deriva". È un consiglio amaro, che sembra quasi rinunciare alla speranza e accettare una vita senza più controllo.


Mi si lasci il diritto di gridare il mio male, perché sparisce la mia città, i miei figli e il re. Questa frase è il cuore pulsante del monologo. Ecuba rivendica il diritto al lutto e al lamento come un bisogno umano fondamentale. Non si tratta solo di una reazione personale, ma di un atto di resistenza. Esprimere il dolore diventa un modo per affermare l’esistenza di ciò che è stato perduto. È un grido contro l’oblio, una richiesta di memoria.


La mia stirpe grandiosa come una vela gonfiata dal vento, la mia stirpe scompare... Non era niente! L’immagine della stirpe "gonfiata dal vento" è tanto poetica quanto tragica. Troia, che un tempo sembrava gloriosa e potente, si rivela essere un’illusione. Euripide usa questa immagine per sottolineare la caducità di tutto ciò che gli esseri umani costruiscono, un tema profondamente filosofico che attraversa tutta l’opera. L’affermazione "Non era niente!" è un’ammissione devastante: la gloria non ha salvato Troia, né i suoi abitanti.


Batto la massa del mio corpo contro la dura terra, per sentire il mio male con la testa, il petto e il mio ventre! Ecuba porta il dolore sul piano fisico: non è solo una sofferenza dell’anima, ma coinvolge il corpo intero. La terra, simbolo della città distrutta, diventa il teatro della sua lotta, quasi un nemico contro cui scagliarsi per materializzare un dolore che altrimenti risulterebbe insopportabile. Questa immagine della regina che si abbandona al lamento fisico è di una forza visiva incredibile.


Vorrei che questo corpo diventasse una carena cullata dal rullio, che si inclina lentamente sul fianco sinistro, e torna a inclinarsi sul fianco destro per darmi il ritmo del lamento dei morti. La chiusura del monologo è di un lirismo straordinario. Ecuba si immagina come una nave alla deriva, cullata dal mare in tempesta. La nave non ha più una meta, ma segue un ritmo: quello del lamento funebre. È un’immagine potente che unisce il movimento del mare, il corpo di Ecuba e il dolore dei morti in un’unica, devastante metafora. Il dolore non può essere cancellato, ma solo vissuto e trasformato in un canto funebre.


Ecuba è un simbolo della condizione umana di fronte all’inevitabilità della perdita. Il monologo è una meditazione sulla caducità della gloria, sulla fragilità dell’identità e sull'importanza del lutto come atto di memoria e resistenza. Euripide ci invita a riflettere su cosa significa essere umani in un mondo che distrugge tutto ciò che costruiamo.

CONCLUSIONE

Il monologo di Ecuba è un grido di resistenza contro l’oblio e una celebrazione del diritto al dolore. Attraverso immagini poetiche e una fisicità devastante, Euripide dona al personaggio una voce che riecheggia nel tempo, facendone un simbolo eterno della sofferenza umana. Ecuba ci ricorda che anche nel momento della massima disperazione, esprimere il proprio dolore è un atto di memoria e di dignità, un modo per mantenere vivo ciò che altrimenti sarebbe perduto per sempre.

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