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~ LA REDAZIONE DI RC
Il monologo di Enid Watkins nella serie Monster: La storia di Ed Gein è un durissimo sfogo materno, carico di frustrazione, amarezza e verità lancinanti. Un pezzo teatrale perfetto per attrici mature che vogliono esplorare i temi del rifiuto, del fallimento e del trauma genitoriale. Questo testo intenso e crudele svela la dinamica tossica tra madre e figlia, offrendo molteplici livelli emotivi e una chiusa feroce.
Scheda del monologo
Contesto del film
Testo del monologo (estratto+note)
Analisi: temi, sottotesto e funzione narrativa
Come prepararlo per un'audizione
Finale del film (con spoiler)
FAQ
Credits e dove trovarlo
Durata: 2 minuti 50 secondi
La serie Monster: La storia di Ed Gein ricostruisce in otto episodi una versione romanzata, disturbante e profondamente simbolica della vita del celebre assassino del Wisconsin, Ed Gein. Ambientata tra realtà e delirio, la serie ci immerge nella mente frammentata di un uomo dominato dalla figura opprimente della madre, dalla repressione sessuale, e da un’inquietante fascinazione per la morte.
Ed è un uomo solitario e visibilmente disturbato, che cresce in una casa isolata sotto il controllo assoluto della madre Augusta, ossessionata dalla purezza e dal peccato. A partire da un ambiente familiare malato e asfissiante, la serie ci accompagna attraverso le tappe più cupe della sua discesa: dall’omicidio del fratello alla necrofilia, passando per la realizzazione di oggetti con pelle umana, fino agli omicidi veri e propri.
Accanto a lui si muove Adeline, personaggio ambiguo e affascinato dal macabro, e sullo sfondo compaiono figure storiche come Alfred Hitchcock, Anthony Perkins, Ilse Koch e Christine Jorgensen, tutte intrecciate nel racconto come riflessi culturali delle ossessioni e dei traumi di Ed.
Tra realtà storica, suggestioni cinematografiche e viaggi mentali, la serie disegna un ritratto inquietante e doloroso di un uomo spezzato, trasformato suo malgrado in un’icona del male e in una fonte d’ispirazione per il cinema dell’orrore.
C’è una cosa che devo dirti. Questa… questa mancanza di talento. La tua incapacità di ambientarti in città, ed essere, come possiamo dire “normale”? QUesta idea che tu sia un fallimento… tutto questo ovviamente è vero. Le tue stranezze. La mancanza di ogni tipo di abilità femminile. E la colpa è soltanto mia, temo. Quando sono rimasta incinta di te, è stato inaspettato. E io ero molto giovane, così… mi sono gettata dalle scale. Diverse volte. Per cercare di… provocare un danno tale da farmi abortire. Ancora e ancora… mi gettavo nel vuoto. E farlo è… beh, alquanto complicato. Il tuo corpo si oppone con tutte le sue forze, ma io volevo davvero liberarmi di te. Con l’ultimo tentativo sono riuscita ad arrivare all’ultimo gradino, e in quel momento ho sentito: “WHOOOP!” un colpo da farmi perdere il fiato, e penso che siano state quelle scale a renderti così. Ecco perché sei così strana, perché ti metti sempre in imbarazzo e mi umili. Non c’è altro modo per spiegarlo. Tu sei… innaturale. Si. E… tutto questo dolore, che cosa mi ha portato? Niente. Quindi… ora mangia la tua vita, per cui non hai alzato un dito. Poi datti una regolata e va a trovarti un marito che riesca a sopportare la tua testa matta. E trovalo in fretta, perché vedrai, sarà sempre più difficile. In un batter d’occhio sarai una vecchia zitella come me; solo che tu non avrai una figlia fuori di testa di cui ti vergogni. Piccole consolazioni.
C’è una cosa che devo dirti. → Inizio pacato, tono dimesso ma fermo; breve pausa su “dirti”. Voce controllata, senza emozione apparente.
Questa… questa mancanza di talento. → “Questa…” va lasciata in sospensione: come se cercasse il termine meno offensivo possibile. Ma poi affonda la lama con tono lucido.
La tua incapacità di ambientarti in città, ed essere, come possiamo dire, “normale”? → “Come possiamo dire” va detto come se cercasse complicità; su “normale” usare un tono falsamente ironico, quasi protettivo.
Questa idea che tu sia un fallimento… tutto questo ovviamente è vero. → Pausa dopo “fallimento”. Il “tutto questo” è un’ammissione devastante detta con glaciale semplicità.
Le tue stranezze. La mancanza di ogni tipo di abilità femminile. → Enid elenca come se stesse leggendo un referto medico. Nessuna rabbia, solo constatazione analitica.
E la colpa è soltanto mia, temo. → Voce più bassa. In questa riga c’è il massimo dell’ambiguità: sembra un’ammissione, ma è solo un pretesto per scaricare il peso.
Quando sono rimasta incinta di te, è stato inaspettato. E io ero molto giovane, così… mi sono gettata dalle scale. → Pausa prima di “mi sono gettata”; tono che si fa più grave. Nessun rimorso: solo una cronaca distaccata.
Diverse volte. Per cercare di… provocare un danno tale da farmi abortire.
→ Il “per cercare di…” va spezzato da una pausa. L’uso del verbo “provocare” è tecnico, come se stesse descrivendo un incidente meccanico.
Ancora e ancora… mi gettavo nel vuoto. → Ripetizione ipnotica: “Ancora e ancora…” va detta con voce bassa e quasi rituale.
E farlo è… beh, alquanto complicato. → Frase grottesca. Va detta con apparente leggerezza, quasi fosse una battuta: l’effetto è disturbante.
Il tuo corpo si oppone con tutte le sue forze, ma io volevo davvero liberarmi di te. → Qui la voce si deve abbassare ulteriormente, come se confessasse qualcosa che la protagonista ha rimosso a lungo.
Con l’ultimo tentativo sono riuscita ad arrivare all’ultimo gradino, e in quel momento ho sentito: “WHOOOP!” un colpo da farmi perdere il fiato… → Ricreare l’effetto onomatopeico con una nota grottesca. “WHOOOP” va detto con gusto sinistro, quasi teatrale.
…e penso che siano state quelle scale a renderti così. → Voce più fredda. Va detta senza pietà, come se stesse chiudendo un caso.
Ecco perché sei così strana, perché ti metti sempre in imbarazzo e mi umili. → Sottolineare “mi umili”. Qui c’è lo snodo: non è preoccupazione, è vergogna.
Non c’è altro modo per spiegarlo. Tu sei… innaturale. → Pausa breve prima di “innaturale”. Pronunciarlo con freddezza chirurgica.
Sì. → Secco, fermo, finale del giudizio. Piccolo silenzio dopo.
E… tutto questo dolore, che cosa mi ha portato? Niente. → Su “Niente”, lasciare il vuoto. Sospensione e poi una chiusura sorda, priva di empatia.
Quindi… ora mangia la tua vita, per cui non hai alzato un dito. → “Mangia la tua vita” è una frase chiave. Va detta con tono velenoso e sprezzante.
Poi datti una regolata e va a trovarti un marito che riesca a sopportare la tua testa matta. → Lettura con ritmo crescente, come un ordine. Nessuna affettuosità. Sottolineare “sopportare”.
E trovalo in fretta, perché vedrai, sarà sempre più difficile. → Pausa dopo “fretta”. Va detto come una sentenza, con glaciale realismo.
In un batter d’occhio sarai una vecchia zitella come me; solo che tu non avrai una figlia fuori di testa di cui ti vergogni. → Amara ironia, giocata con un sorriso forzato. “Fuori di testa” va detto con sdegno represso.
Piccole consolazioni. → Riga finale. Va detta con un tono rassegnato, quasi divertito. Ma resta il gelo nell’aria.
DI CHE COSA PARLA IL MONOLOGO?
Il monologo di Enid Watkins esplora il rifiuto materno, la colpa e il trauma trasmesso tra generazioni. È uno dei momenti più disturbanti della serie Monster: La storia di Ed Gein, poiché svela le radici della fragilità psicologica della protagonista Adeline. In poche frasi, la madre le rivela di aver tentato più volte di abortire volontariamente buttandosi dalle scale, suggerendo che proprio quei traumi prenatali siano la causa della sua “stranezza”.
TEMI PRINCIPALI DEL MONOLOGO
Rifiuto materno: la madre non solo non ha voluto la figlia, ma ha agito fisicamente per evitarla.
Colpa e responsabilità: Enid attribuisce alla figlia le proprie frustrazioni, pur ammettendo una parte di colpa.
Normatività sociale: il discorso è pieno di richiami al conformismo femminile (marito, normalità, abilità domestiche).
Traumi generazionali: le ferite emotive passano dalla madre alla figlia, senza possibilità di guarigione.
FUNZIONE NARRATIVA DEL MONOLOGO
Definisce il trauma originario di Adeline, collegando le sue instabilità alla figura materna.
Ribalta il ruolo della madre: Enid non è protettiva, ma aggressiva e accusatoria.
Costruisce tensione e giustifica scelte future di Adeline nel prosieguo della serie.
Serve a umanizzare indirettamente Ed Gein, mostrando che anche Adeline, sua unica “alleata”, porta dentro sé ferite irreparabili.
Obiettivo del monologo: Enid non vuole consolare sua figlia. Vuole ferirla. Vuole liberarsi dal senso di colpa attribuendole tutte le responsabilità del fallimento della sua vita. È un tentativo distorto di "chiudere il cerchio", scaricando dolore e delusione su chi rappresenta il suo errore originario.
Sottotesto: Sotto l’apparente lucidità, Enid è una donna distrutta e sola. Non chiede perdono: vuole punire, umiliare e controllare. Parla per distruggere, ma anche per giustificare a se stessa una vita non vissuta. Il monologo è una resa amara e vendicativa.
Azione minima: Stare seduti o in piedi con postura rigida, senza gesticolare troppo. Occhi fissi sull’interlocutore o su un punto vuoto: lo sguardo è tagliente e costante. Un piccolo oggetto in mano (una forchetta, una tazza, un fazzoletto) può diventare un’ancora per trattenere la tensione.
Dinamica vocale
Inizia con tono calmo, freddo, quasi materno.
Inserire pause millimetriche nei punti di maggiore crudeltà.
La voce non deve mai esplodere, ma incidere: sottile, precisa, quasi sussurrata nei punti più violenti.
Il crescendo è interno: non si urla, si gela.
Chiusa: La battuta finale (“Piccole consolazioni.”) deve essere detta con distacco, come se Enid stesse riflettendo tra sé e sé, non parlando più alla figlia. È il punto in cui il personaggio si chiude emotivamente, senza alcuna apertura o possibilità di redenzione.
Errori comuni da evitare
Recitare con rabbia aperta: Enid non è isterica. È precisa, controllata, chirurgica.
Sottovalutare il sottotesto: ogni frase ha almeno due livelli. Va compreso ciò che Enid non dice.
Mancanza di ritmo: il monologo ha un tempo tutto suo, fatto di pause, sospensioni, e rallentamenti improvvisi.
Sguardo sfuggente: mantenere il contatto visivo o scegliere con precisione quando interromperlo per amplificare l’impatto.
Tono piatto: la freddezza non significa monotonia. Ogni battuta va cesellata con minime variazioni emotive.
Nel finale, ormai anziano e rinchiuso da anni in un ospedale psichiatrico, Ed Gein viene interpellato per aiutare le autorità a identificare un nuovo serial killer. Sorprendentemente, grazie alla sua “esperienza” e a una lettera ricevuta, fornisce informazioni cruciali per catturare un giovane assassino. Nessuno, però, si congratula con lui.
Ed si sente abbandonato, e precipita di nuovo nelle sue visioni.
Scopre poi di avere un cancro ai polmoni e gli restano solo due mesi di vita. In questo breve tempo, ripercorre mentalmente la sua storia, tra lettere, allucinazioni e confronti interiori.
Riceve anche la visita di Adeline, che, come lui, si porta dentro un abisso personale. Si salutano con affetto, riconoscendosi simili ma non uguali.
Nell’ultima scena, Ed muore. Lo vediamo in una visione finale, sereno e giovane, accanto a sua madre in veranda. Lei gli sussurra: “Solo una madre può amarti”. Un epitaffio perfetto per una serie che, fin dal primo fotogramma, ci ha parlato del bisogno d’amore e delle sue deformazioni più oscure.
Quanto dura il monologo? Circa 1 minuto e mezzo, recitato con il giusto tempo e le pause necessarie. Con interpretazione intensa può arrivare a 2 minuti pieni.
Che temi tratta? Rifiuto materno. Senso di colpa. Fallimento generazionale. Trauma prenatale e distorsione psicologica. Condizionamento familiare È un testo che esplora il dolore intergenerazionale e la violenza psicologica travestita da verità.
È adatto a un’audizione? Sì, è perfetto per audizioni drammatiche, soprattutto se si vuole mostrare intensità, controllo vocale e sottotesto. Consigliato per ruoli oscuri, realistici o disturbanti.
Che età di casting copre? Il monologo è pensato per un’attrice tra i 45 e i 70 anni, ma può essere adattato anche per età 40+ se il tono e il vissuto vengono resi credibili.
Serve un interlocutore in scena? No, può essere eseguito anche in forma monologica diretta al pubblico o in camera, con un focus su voce e intensità emotiva.
Che tipo di personaggio rivela? Una madre amara, disillusa, intrappolata nel proprio passato, che usa la figlia come valvola di sfogo del proprio fallimento. È un anti-archetipo della maternità.
Va contestualizzato o può stare da solo? Può essere portato senza contesto, funziona come pezzo autonomo. Tuttavia, conoscerne l’origine nella serie aiuta a comprendere il sottotesto.
Registi: Ryan Murphy, Ian Brennan
Produttori: Ian Brennan
Cast principale: Ed Gein, (Charlie Hunnam), Augusta Gein, (Laurie Metcalf), Adeline Watkins (Suzanna Son), Alfred Hitchcock, (Tom Hollander)
Dove vederlo: Netflix
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