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~ LA REDAZIONE DI RC
Il monologo di Marilyn Monroe in Blonde rappresenta uno dei momenti più intimi e psicologicamente complessi del film. Siamo nel 1953, un anno cruciale nella carriera di Marilyn, quando sta per diventare un'icona globale grazie al suo ruolo in Niagara e alla crescente attenzione di Hollywood. Tuttavia, invece di celebrare il successo o concentrarsi sulla sua ascesa, la scena si addentra nella psiche frammentata di Norma Jeane Baker, la donna dietro l'immagine pubblica di Marilyn.
MINUTAGGIO: 57:30-59:30
RUOLO: Norma Jeane
ATTRICE: Ana De Armas
DOVE: Netflix
INGLESE
Mother, it's May 1953. I'm Norma Jeane. I'm here to take care of you. But your hair is so white. When you had me, Mother, you weren't married, I guess. You didn't have a man supporting you. And you had a baby. That was so brave. Another girl would've… Well, you know, gotten rid of it. Of me. And I wouldn't be here at all. There wouldn't be any Marilyn. And she's getting so famous now. Fan letters, telegrams. Flowers from strangers. But you were brave. You did the right thing. You had your baby. You had me.
ITALIANO
Siamo a maggio, nel 1953. Io sono Norma Jeane, e mi prenderò cura di te. Quando mi hai avuta, mamma, non eri sposata, io credo. Non avevi un uomo che ti potesse aiutare. E hai avuto una bambina. Sei stata coraggiosa. Un’altra ragazza avrebbe… beh, lo sai… preferito liberarsene. Di me. E così non sarei esistita. Affatto. Non ci sarebbe nessuna Marilyn. Che sta diventando famosa, adesso. Lettere dai fan, telegrammi. Fiori dagli ammiratori. Ma tu sei coraggiosa. Hai fatto la cosa giusta. Hai avuto la tua bambina. Hai avuto me.
Blonde (2022), diretto da Andrew Dominik, è un adattamento cinematografico del romanzo omonimo di Joyce Carol Oates. La pellicola è una rivisitazione romanzata e altamente stilizzata della vita di Marilyn Monroe, interpretata da Ana de Armas. Va detto subito: non si tratta di un biopic tradizionale. Dominik non intende raccontare la "vera" vita di Marilyn, ma esplora un'immagine frammentata, spesso distorta, del mito di Norma Jeane Baker, il vero nome della Monroe, portando lo spettatore in un viaggio attraverso il lato oscuro della fama e l'identità smarrita dietro il glamour hollywoodiano.
Il film ripercorre momenti fondamentali della vita di Norma Jeane, intrecciando eventi storicamente accaduti a ricostruzioni immaginative che amplificano il dramma interiore della protagonista. L’infanzia di Norma Jeane è uno degli elementi chiave del racconto. La storia inizia con una rappresentazione inquietante del suo rapporto con la madre, Gladys (Julianne Nicholson), una donna affetta da gravi disturbi mentali che abbandona Norma in un orfanotrofio. Questo trauma iniziale diventa il filo conduttore della narrazione, influenzando ogni relazione e decisione nella vita della protagonista. Dominik insiste sulla separazione tra Norma Jeane e il suo alter ego, Marilyn Monroe, suggerendo che quest'ultima è una costruzione artificiale che finisce per divorare l’identità autentica della donna. Con la crescita, vediamo Norma Jeane diventare Marilyn, l’icona di Hollywood. La sua carriera è un’ascesa fulminea, ma viene ritratta come il frutto di sfruttamento e manipolazione. Una delle scene più controverse del film mostra Marilyn subire un abuso da parte di un potente dirigente degli studios, un evento che rappresenta il prezzo che deve pagare per entrare nel sistema. Questo tema si ripete: ogni successo sembra arrivare a un costo personale devastante.
Il film segue poi i matrimoni falliti di Marilyn, con il giocatore di baseball Joe DiMaggio (Bobby Cannavale) e il drammaturgo Arthur Miller (Adrien Brody), entrambi descritti come uomini che non riescono a comprendere o amare Norma Jeane per quello che è, ma solo per ciò che rappresenta. La relazione con Miller è particolarmente toccante in quanto sembra offrire una breve illusione di stabilità, presto distrutta dal peso della sua sofferenza emotiva.
Uno degli aspetti più intensi del film è l’ossessione di Norma Jeane per il padre mai conosciuto. Dominik costruisce questa figura paterna assente come una sorta di fantasma simbolico che perseguita la protagonista per tutta la vita. Marilyn riceve lettere anonime firmate da un presunto padre, che alimentano il suo desiderio di essere amata incondizionatamente, ma anche la sua fragilità psicologica. Il terzo atto del film si immerge nel declino di Marilyn. Vediamo il progressivo peggioramento della sua salute mentale e il consumo da parte dell'industria cinematografica, che la trasforma in un simbolo vuoto, una "bambola" al servizio di un pubblico voyeuristico. Il climax arriva con l’esplorazione delle relazioni più distruttive della sua vita, inclusa quella con il Presidente John F. Kennedy, mostrata in una sequenza che ha suscitato molte polemiche per la sua crudezza e per il ritratto cinico del potere.
Il tono del monologo è a metà strada tra l’auto-convincimento e una preghiera disperata. Norma Jeane sembra voler rielaborare il trauma infantile non tanto per comprenderlo, ma per giustificarlo. Questo si riflette in un linguaggio che alterna tenerezza, insicurezza e sottile amarezza. Frasi come "Sei stata coraggiosa. Un’altra ragazza avrebbe… beh, lo sai… preferito liberarsene. Di me" mostrano una lotta interna: da un lato, l’ammirazione forzata verso la madre, dall’altro, il ricordo doloroso di una donna che non è mai stata veramente in grado di occuparsi di lei.
Il monologo è scritto in modo frammentato, con pause che suggeriscono il peso emotivo dietro ogni parola. Questa frammentarietà riflette anche il suo bisogno di trasformare una verità dolorosa in una narrazione accettabile. Norma Jeane si riferisce alla madre come "coraggiosa," ma lo spettatore percepisce che è più una necessità di perdonarla che una convinzione autentica. Il cuore del monologo risiede nella complessità del rapporto tra Norma Jeane e Gladys. La madre è presentata nel film come una figura ambivalente: è sia il primo grande trauma della vita della protagonista che una presenza costante nella sua ricerca di approvazione. Gladys, incapace di essere una madre affettuosa a causa della sua instabilità mentale, abbandona Norma Jeane, ma il monologo cerca di ribaltare questa narrativa: Norma tenta di riconoscere il "coraggio" della madre per averla portata al mondo, anziché soffermarsi sul dolore del suo abbandono. Questo tentativo appare forzato, quasi disperato. La frase "Così non sarei esistita. Affatto" suggerisce una consapevolezza straziante: la sua vita, nonostante il successo e i riflettori, è intrisa di sofferenza, al punto che l’idea della non-esistenza appare quasi preferibile. Il monologo, quindi, diventa un esercizio di auto-consolazione, in cui Norma cerca di trovare valore nella propria vita attraverso il sacrificio della madre, anche se ciò potrebbe non essere del tutto vero.
Un tema ricorrente nel film è la frattura tra Norma Jeane e Marilyn, e questo monologo la enfatizza ulteriormente. Marilyn è una star in ascesa – "Lettere dai fan, telegrammi. Fiori dagli ammiratori" – ma queste conquiste sembrano distaccate da Norma Jeane, come se appartenessero a qualcun altro. Il fatto che il discorso sia rivolto alla madre implica che Norma Jeane stia cercando di giustificare la propria esistenza non attraverso la fama di Marilyn, ma attraverso il sacrificio della madre. È una forma di rifiuto dell’identità pubblica in favore di un’intimità personale, anche se illusoria. C’è anche un’ironia dolorosa: mentre Marilyn è celebrata e desiderata dal mondo intero, Norma Jeane si confronta con l’amara consapevolezza che nessuno, nemmeno sua madre, è stato in grado di amarla davvero per ciò che è. Il monologo diventa quindi un tentativo di riappropriarsi di un senso di sé che le è sempre stato negato. Un altro tema implicito nel monologo è la maternità stessa, vista come un atto eroico, ma anche profondamente complesso. La frase "Hai fatto la cosa giusta. Hai avuto la tua bambina. Hai avuto me" suona come un riconoscimento, ma il sottotesto è intriso di dolore. Norma Jeane sembra cercare una giustificazione per la propria esistenza, come se la sua vita avesse valore solo perché è stata un atto di coraggio da parte della madre.
Questo monologo rappresenta uno dei momenti più intimi di Blonde, in cui il film si allontana dal glamour e dai riflettori per esplorare il cuore del dramma umano di Norma Jeane. Attraverso questo dialogo immaginario con la madre, Norma cerca di ricostruire una narrazione positiva della propria infanzia, ma il peso del trauma traspare in ogni parola. Il contrasto tra la Marilyn celebrata dal mondo e la Norma Jeane insicura e vulnerabile è evidente e straziante.
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