Monologo - Bola Koleosho in \"Gli alberi della pace\"

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Articolo a cura di...


~ LA REDAZIONE DI RC

Introduzione al monologo

Il monologo di Mutesi in Gli alberi della pace è un momento di rivelazione profonda, in cui il suo dolore e il senso di colpa emergono con una forza viscerale. A differenza delle altre donne, che esprimono il loro trauma con esitazione o disperazione sommessa, Mutesi parla con una rabbia trattenuta, con la determinazione di chi ha sofferto ma non vuole più restare in silenzio. Attraverso le sue parole, il film affronta due temi fondamentali: la violenza subita dalle donne durante il genocidio ruandese e il senso di abbandono che ne è seguito. Mutesi non parla solo della brutalità che ha subito, ma anche dell'indifferenza che l'ha circondata, dell'omertà che ha reso il dolore ancora più insopportabile.

Siamo una cosa sola

MINUTAGGIO: 57:31-59:15

RUOLO: Mutesi
ATTRICE:
Bola Koleosho
DOVE:
Netflix



ITALIANO


La fattoria che appartiene alla mia famiglia è piccola, ma ho sempre voluto che le cose cambiassero. Quando sono stata… quando mio zio… le donne del mio villaggio non fecero nulla. Queste donne che erano come madri per me; e gli uomini come padri… i miei genitori… mia madre e mio padre… non fecero nulla, per paura e per vergogna. Mi bruciava dentro come il fuoco. Ero insieme a mia madre quando hanno iniziato a uccidere. C’è stato un momento in cui avrei potuto proteggerla, ma sono scappata. Io vedo la vostra sofferenza, in tutte voi. E’ così… familiare. Se non faccio niente per voi adesso, allora io non sono diversa da quelle donne che non hanno fatto niente per me. Siamo una cosa sola.

Gli alberi della pace

"Gli alberi della pace" (titolo originale Trees of Peace) è un film del 2021 diretto da Alanna Brown. La pellicola è ambientata durante il genocidio del Ruanda del 1994 e segue la storia di quattro donne di diversa estrazione sociale e culturale, costrette a nascondersi insieme per sopravvivere alla violenza che sta devastando il Paese.


Siamo nel Ruanda del 1994, durante uno dei massacri più sanguinosi della storia contemporanea. La tensione nel Paese è alle stelle e il conflitto tra Hutu e Tutsi ha già raggiunto livelli di violenza estremi. In questo contesto, quattro donne si ritrovano intrappolate in un piccolo spazio nascosto sotto il pavimento di una casa.


Le protagoniste provengono da esperienze molto diverse:

Annick è una giovane tutsi il cui mondo viene distrutto dall’improvvisa esplosione di violenza.

Jeanette è una suora cattolica, alle prese con una crisi di fede mentre cerca di sopravvivere all'orrore.

Peyton è un’americana venuta in Ruanda per aiutare la popolazione, che si ritrova intrappolata nel conflitto senza via d’uscita.

Mutesi è una donna del posto, abituata alle difficoltà della vita, ma mai a qualcosa di così brutale.


Le quattro donne, seppur provenienti da mondi diversi, sono costrette a convivere in uno spazio ridottissimo per settimane, lottando contro la fame, la paura e la disperazione. Durante la loro prigionia forzata, emergono conflitti personali e differenze culturali, ma anche momenti di solidarietà e speranza.


Il film si concentra sul modo in cui queste donne affrontano la loro condizione, trovando forza l'una nell'altra nonostante le differenze. Fuori dal loro rifugio, la guerra continua a mietere vittime, ma all'interno di quel piccolo nascondiglio, il legame tra loro diventa la loro unica arma per resistere.

Analisi Monologo

Mutesi inizia il suo discorso con un dettaglio semplice e quasi rassicurante: La fattoria che appartiene alla mia famiglia è piccola, ma ho sempre voluto che le cose cambiassero. È un ricordo legato alla quotidianità, un’immagine che evoca stabilità e radici. Ma subito dopo, la frase prende una svolta improvvisa e dolorosa: Quando sono stata… quando mio zio… Qui Mutesi fatica a pronunciare le parole, lasciando intuire che sta parlando di una violenza subita, probabilmente uno stupro. Il fatto che sia stato suo zio a commettere l’atto aggiunge un livello ancora più atroce al trauma: la violenza non è solo fisica, ma è anche un tradimento della fiducia.

Segue un passaggio in cui la protagonista si concentra sulla reazione della comunità: Le donne del mio villaggio non fecero nulla. Queste donne che erano come madri per me; e gli uomini come padri… i miei genitori… mia madre e mio padre… non fecero nulla, per paura e per vergogna. Qui il dolore di Mutesi non riguarda solo la violenza subita, ma anche l’indifferenza di chi avrebbe dovuto proteggerla. La ripetizione della parola nulla rende il senso di abbandono ancora più pesante. La sua sofferenza non è solo fisica o psicologica, ma sociale: il silenzio della comunità ha reso il suo trauma ancora più insopportabile.


Poi il discorso si sposta su un altro evento tragico: Ero insieme a mia madre quando hanno iniziato a uccidere. C’è stato un momento in cui avrei potuto proteggerla, ma sono scappata. Qui emerge il senso di colpa. Mutesi non si sente solo una vittima, ma anche una colpevole per non essere riuscita a salvare la madre. Il fatto che sia sopravvissuta diventa un peso da portare, e questa consapevolezza la lega alle altre donne nel rifugio. Arriviamo al punto chiave del monologo: “Io vedo la vostra sofferenza, in tutte voi. È così… familiare. Qui Mutesi riconosce che il dolore non è solo il suo, ma appartiene a tutte le donne con cui è intrappolata. E poi arriva la decisione: Se non faccio niente per voi adesso, allora io non sono diversa da quelle donne che non hanno fatto niente per me.


Questo è il momento di svolta. Mutesi trasforma il suo trauma in una motivazione per agire. Non vuole ripetere l’indifferenza che ha subito, non vuole essere spettatrice della sofferenza altrui come lo sono state le donne del suo villaggio. Il monologo si chiude con una dichiarazione forte: Siamo una cosa sola.” Qui Mutesi stabilisce un legame indissolubile tra lei e le altre donne. Il genocidio ha cercato di dividere, di annientare la solidarietà tra le persone, ma lei sceglie di opporsi a questa logica. Questo non è solo un gesto di altruismo: è il suo modo di trovare un senso alla propria esistenza dopo tutto ciò che ha vissuto.

Conclusione

Il monologo di Mutesi è un momento di consapevolezza e trasformazione. Inizialmente, il suo dolore è legato all’ingiustizia subita e al senso di colpa per non aver salvato sua madre, ma alla fine trova uno scopo: proteggere le altre donne. In un film che parla di sopravvivenza e resistenza femminile, Mutesi incarna il passaggio da vittima a combattente. Non nel senso fisico, ma in quello morale: sceglie di spezzare il ciclo dell’indifferenza e di tendere la mano alle sue compagne di prigionia. Questo monologo non è solo una confessione, ma una dichiarazione di appartenenza, un grido di solidarietà in un mondo che ha cercato di dividerle.

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