Monologo femminile - \"Il cielo sopra Berlino\"

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~ LA REDAZIONE DI RC

Introduzione al monologo

Il monologo di Marion in Il cielo sopra Berlino è un momento chiave per comprendere il suo personaggio e la sua visione del mondo. Wim Wenders costruisce questa scena come un’introspezione profonda sulla solitudine e sul senso di appartenenza. Marion, artista circense, vive in una dimensione sospesa tra il bisogno di connessione e il senso di estraneità nei confronti della propria vita. Le sue parole rivelano un'inquietudine esistenziale: il legame con le persone e con le cose sembra dettato dal caso, come se la sua stessa esistenza fosse il risultato di una combinazione arbitraria.

Sono stata tanto sola

MINUTAGGIO:

RUOLO: Marion

ATTRICE: Solveig Dommartin

DOVE: Amazon Prime Video

ITALIANO

Sono stata tanto sola: anche non avendo mai vissuto da sola. Sai, quando ero con qualcuno spesso ero felice, ma comunque pensavo fosse del tutto casuale: questa gente erano i miei genitori, ma avrebbero potuto anche essere altri. Perché mio fratello era quello con gli occhi marroni e non invece quello con gli occhi verdi che stava sulla banchina di fronte? La figlia del tassista, ad esempio, era mia amica; ma avrei anche potuto passare il braccio intorno al collo di un cavallo: sarebbe stato lo stesso. Stavo con un uomo, ero innamorata. Ma avrei anche potuto piantarlo e andarmene via con quel tizio sconosciuto che avevamo incontrato per la strada.

Il cielo sopra Berlino

"Il cielo sopra Berlino" (1987) di Wim Wenders è un film poetico e contemplativo che racconta la storia di due angeli, Damiel (Bruno Ganz) e Cassiel (Otto Sander), che osservano la città di Berlino e i suoi abitanti senza poter intervenire nelle loro vite. Invisibili agli esseri umani, i due angeli vagano tra le rovine e i palazzi, ascoltano i pensieri delle persone e assistono alle loro sofferenze e speranze.


Damiel, però, inizia a sentire il desiderio di sperimentare il mondo in maniera più concreta: provare il calore di un caffè, sentire il peso di un oggetto nelle mani, amare. Questo desiderio si intensifica quando incontra Marion (Solveig Dommartin), un'artista di circo solitaria e malinconica. Il suo fascino e la sua umanità lo spingono a compiere una scelta radicale: rinunciare alla sua immortalità e diventare umano per vivere pienamente l’amore e le emozioni della vita terrena.


Parallelamente, il film mostra un'altra figura chiave: Peter Falk, che interpreta sé stesso e si rivela un ex angelo che ha già compiuto il salto verso la vita umana. La sua presenza offre a Damiel una sorta di guida, suggerendogli che vale la pena vivere tra gli uomini, con tutte le loro fragilità e gioie. La Berlino del film è un luogo sospeso tra passato e presente, ancora segnata dalla guerra e divisa dal Muro. Il contrasto tra il mondo degli angeli (ripreso in bianco e nero) e quello degli umani (a colori) sottolinea il tema centrale della storia: la bellezza e la struggente imperfezione della vita umana.

Analisi Monologo

Il monologo di Marion è costruito su una serie di contrapposizioni e immagini che sottolineano la sua percezione della vita come qualcosa di aleatorio. Il primo elemento fondamentale è la sua solitudine: “Sono stata tanto sola: anche non avendo mai vissuto da sola.” Già questa frase iniziale introduce il paradosso che caratterizza la sua esistenza. La solitudine di cui parla non è fisica, ma interiore, una distanza emotiva dagli altri e dal mondo che la circonda. Proseguendo, Marion riflette su come i rapporti umani siano frutto di un incontro casuale: i suoi genitori, suo fratello, i suoi amici avrebbero potuto essere altre persone. L’idea di un destino prestabilito viene completamente ribaltata. Nulla è necessario, tutto è accidentale. Questa visione disillusa tocca anche l’amore: il sentimento che dovrebbe essere il più profondo e ineluttabile diventa, nelle sue parole, qualcosa di intercambiabile. “Stavo con un uomo, ero innamorata. Ma avrei anche potuto piantarlo e andarmene via con quel tizio sconosciuto che avevamo incontrato per la strada.” L’amore, che per molti dà senso alla vita, per lei è solo un’eventualità tra le tante.


Un aspetto interessante del monologo è la metafora del cavallo: “La figlia del tassista, ad esempio, era mia amica; ma avrei anche potuto passare il braccio intorno al collo di un cavallo: sarebbe stato lo stesso.” Qui Marion non sta semplicemente dicendo che le relazioni umane sono casuali, ma sta anche suggerendo che il bisogno di connessione è universale. Non importa con chi o cosa: ciò che conta è l’atto stesso di cercare un legame.


Questa visione potrebbe sembrare nichilista, ma c’è un sottotesto di speranza. Marion non rinnega il desiderio di amare o di essere parte di qualcosa; piuttosto, sta cercando una conferma del fatto che l’amore e le relazioni abbiano un valore reale, che non siano solo il prodotto del caso.

Conclusione

Il monologo di Marion rappresenta il punto più intimo della sua crisi esistenziale e introduce il tema del significato nelle relazioni umane. Il suo senso di alienazione è specchio della Berlino che abita: una città divisa, sospesa tra passato e presente, tra il desiderio di connessione e la realtà della separazione. Quando, alla fine del film, Marion e Damiel si trovano, il loro incontro assume un valore simbolico: due esseri che si sentivano persi scoprono che la scelta di appartenere a qualcuno può dare un senso all’esistenza. I

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