Monologo Femminile - \"Comandante\"

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Articolo a cura di...


~ LA REDAZIONE DI RC

INTRODUZIONE AL MONOLOGO

Il monologo della donna che osserva i marinai partire in "Comandante" rappresenta una voce intima e straziante che completa il racconto della guerra dal punto di vista di chi resta. Attraverso parole semplici ma potentemente evocative, il discorso esplora la vulnerabilità di una generazione di giovani uomini mandati a morire e il dolore silenzioso di chi, a terra, li accompagna solo con il pensiero. È un momento che illumina la tragedia universale della guerra, spogliandola di eroismi e idealizzazioni, per mettere a nudo l’umanità di un sacrificio che colpisce ogni relazione, ogni vita.

QUANTO SPRECO DI VITA

MINUTAGGIO: 10:15-18:59
RUOLO: Donna 2

ATTRICE: -
DOVE: Netflix



ITALIANO


Questo vento, io lo so dove li soffia tutti questi ragazzi. Li soffia a morire. Il mio Gigino è un cuciniere, e va a morire come una mamma. Va a morire mentre dà da mangiare ai suoi compagni. Ho ancora il suo succo addosso, ma non è una porcheria. Adesso, a lavarmelo via non c'è ho proprio pensato. Gli son corsa dietro da lontano. C'erano anche Nunzia e Angelina, ma non ci siam salutate. Eravamo prese dai nostri pensieri, che erano gli stessi di sicuro, ma erano i nostri. E ce ne stavamo zitte a pensarli, col vento che ci volava i capelli. I nostri pensieri accarezzavano questi ragazzi per l'ultima volta. Questi ragazzi che vanno alla guerra, pieni di nervi e di sangue che bolle. Io lo so che questi ragazzi qua, con la pelle liscia, il sorriso incosciente, si dovrebbero tuffare nel mare e pescar le perle. E invece si imbarcano in mare per fare la guerra. Io lo so che non torneranno. Hanno mamme, sorelle, morose. Loro dovrebbero stare qui, a guardarli sparire l'uno dopo l'altro, dentro la pancia di questo pesce di ferro. Loro dovrebbero vederli ridere e scherzare per l'ultima volta. Ma loro qua non ci sono. Qua ci siamo solo noi. Che poi ci sono anche quelle virtuose, quelle che non si fanno neanche toccare, ma quelle a quest'ora sono già andate a dormire. E allora a noi ci tocca di accompagnarli e ci piangere. Perché? Non c'è bisogno di essere degli indovini per sapere che non torneranno. E se torneranno da questa missione, non torneranno da quella dopo. E se torneranno da quella dopo, non torneranno da quella dopo ancora. Non c'è bisogno mica di essere degli indovini per sapere che alla fine di questa guerra, quando si faranno i conti, scopriremo che i marinai dei sommergibili sono morti quasi tutti quanti. Allora ci copriremo la bocca con la mano. Quanto spreco di vita in quella bara.

COMANDANTE

"Comandante" è un film del 2023 diretto da Edoardo De Angelis, con Pierfrancesco Favino nel ruolo del comandante Salvatore Todaro. La pellicola narra un episodio della Seconda Guerra Mondiale, quando Todaro, al comando del sommergibile Cappellini, affondò il piroscafo belga Kabalo. Contravvenendo agli ordini superiori, decise di salvare i 26 naufraghi belgi, esponendo il suo equipaggio a gravi rischi per rispettare la legge del mare.


Presentato come film d'apertura all'80ª Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia, la produzione ha beneficiato del pieno supporto della Marina Militare Italiana, che ha fornito accesso agli archivi e al diario di bordo del Cappellini, contribuendo all'accuratezza storica della narrazione.

"Comandante" di Edoardo De Angelis racconta una storia realmente accaduta durante la Seconda Guerra Mondiale, mettendo al centro il comandante Salvatore Todaro, interpretato da Pierfrancesco Favino.


Todaro, al comando del sommergibile Cappellini, si trova nel bel mezzo di una missione quando intercetta e affonda un piroscafo mercantile belga, il Kabalo, che trasporta materiale bellico per gli Alleati. La trama si sviluppa attorno alla scelta etica di Todaro: invece di lasciare i naufraghi alla deriva nell'oceano, decide di salvarli. È un gesto che va contro le regole del tempo di guerra, che prevedono di non mettere a rischio il proprio equipaggio per aiutare nemici. Todaro, però, crede fermamente nella "legge del mare", un codice morale non scritto che obbliga chiunque sia in mare ad aiutare chi è in difficoltà, indipendentemente dalla nazionalità o dalla fazione.


La decisione di Todaro crea tensione tra l’equipaggio del sommergibile, che teme di diventare un facile bersaglio per i nemici a causa del tempo necessario al salvataggio. Il film esplora questo conflitto tra il dovere militare e la responsabilità umana, mostrando Todaro come un comandante tanto abile quanto capace di seguire la sua coscienza in situazioni estreme. Gran parte del film si svolge in ambienti claustrofobici, come l’interno del sommergibile, e sull’oceano aperto.


La regia di De Angelis punta a trasmettere il senso di pressione fisica ed emotiva vissuta dai protagonisti, mentre il nemico resta sempre invisibile, una presenza costante ma lontana. Il salvataggio dei naufraghi si conclude con il trasporto su una nave neutrale, un'operazione che richiede audacia e che espone il Cappellini a potenziali attacchi. Todaro sa che la sua decisione potrebbe essere giudicata dai superiori, ma accetta il rischio con convinzione. La narrazione lascia ampio spazio alla riflessione sul significato di umanità in tempo di guerra, concludendo con un ritratto di un uomo che sceglie di anteporre i valori morali agli ordini.

ANALISI MONOLOGO

Questo monologo, pronunciato da una donna che osserva i marinai partire, rappresenta un contrappunto intimo e struggente al tono militare e risoluto di Todaro. Qui, attraverso una voce femminile, il film sposta l’attenzione sull’umanità dietro la guerra, su chi resta a terra e si confronta con un dolore diverso, ma altrettanto devastante. Il discorso mette in evidenza la tragedia universale della perdita, intrecciando una riflessione sulla fragilità della vita e sull’inevitabilità del sacrificio.


"Questo vento, io lo so dove li soffia tutti questi ragazzi. Li soffia a morire."

L’apertura è poetica e dolorosa. Il vento, spesso simbolo di libertà e avventura, qui diventa un agente di morte, una forza che trascina i giovani verso il loro destino ineluttabile. Il tono è immediatamente quello di chi ha già accettato la tragica verità: la guerra non restituisce quasi mai chi parte.


"Il mio Gigino è un cuciniere, e va a morire come una mamma." L’immagine di Gigino, un cuoco che “va a morire come una mamma,” sfida gli stereotipi di genere. Gigino è un ragazzo che si prende cura degli altri, un atto intriso di amore e vulnerabilità. Gigino, l’amante della narratrice, diventa il simbolo di una generazione di giovani sacrificati. "Ho ancora il suo succo addosso, ma non è una porcheria." Questa frase, cruda e diretta, è un ricordo impregnato di amore e disperazione, quasi un legame tangibile che la donna si rifiuta di lavare via. L’uso di un linguaggio esplicito sottolinea la natura viscerale del dolore. Non c’è spazio per il decoro o la retorica: la guerra è fisica, cruda, reale.


"C’erano anche Nunzia e Angelina, ma non ci siam salutate. Eravamo prese dai nostri pensieri." Le donne condividono lo stesso destino, ma il loro dolore è personale e inespresso. Questo momento di solitudine collettiva è emblematico della condizione femminile durante la guerra: unite nel sacrificio, ma isolate nei sentimenti. Il vento che vola i capelli e i pensieri delle donne che "accarezzano" i marinai creano un’immagine poetica di connessione silenziosa e impotente.


"Io lo so che questi ragazzi qua, con la pelle liscia, il sorriso incosciente, ci dovrebbero tuffare nel mare e pescar le perle." La donna immagina una vita diversa per questi giovani, piena di spensieratezza e bellezza. La metafora della pesca delle perle richiama l’idea di un’esistenza armoniosa, lontana dalla brutalità della guerra. L’enfasi sul “sorriso incosciente” mette in luce la vulnerabilità di questi ragazzi, mandati a combattere prima di comprendere davvero la vita.


"E invece si imbarcano in mare per fare la guerra." Questa frase contrasta con la bellezza immaginata nella frase precedente. La guerra interrompe brutalmente ogni sogno, riducendo i ragazzi a strumenti del conflitto. "Io lo so che non torneranno." La donna non nutre illusioni. Non c’è spazio per la speranza: la morte è un dato di fatto, non una possibilità. Questo sentimento amplifica la tragedia.


"Se torneranno da questa missione, non torneranno da quella dopo." Anche chi sopravvive è condannato a un ciclo continuo di missioni pericolose, fino alla fine. La frase sottolinea l’assurdità della guerra e il suo costo umano inesorabile. "Alla fine di questa guerra, quando si faranno i conti, scopriremo che i marinai dei sommergibili sono morti quasi tutti quanti."

La donna anticipa una realtà spesso ignorata: le perdite umane diventeranno solo numeri quando la guerra sarà finita. La sua premonizione umanizza quelle statistiche, trasformandole in tragedie individuali.


"Quanto spreco di vita in quella bara." La metafora finale è devastante. Il sommergibile, che dovrebbe essere un’arma di potere e protezione, diventa il simbolo della morte inevitabile. Questo ribalta completamente il senso di eroismo associato ai mezzi militari.

CONCLUSIONE

Questo monologo restituisce una prospettiva femminile che si limita a testimoniare il dolore e l’amore che sopravvivono anche quando tutto sembra perduto. Il sommergibile, metaforicamente descritto come una bara, diventa il simbolo di un destino tragico e inesorabile. Attraverso questa voce, il film invita a riflettere sul costo umano della guerra, non solo per chi combatte, ma per chi resta a vivere con l’assenza e il rimpianto. Un momento che arricchisce la narrazione di una profondità emotiva capace di toccare corde universali.

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