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~ LA REDAZIONE DI RC
Questo monologo è tra i più brevi di Il Giardiniere, ma anche tra i più rivelatori. Nella serie, arriva in un momento di apparente normalità, quasi come una parentesi leggera, ma è proprio questo il trucco. La normalità è solo una maschera. In queste poche righe, La China Jurado mostra il suo volto più subdolo: non la madre che protegge, ma la madre che scrive il copione della vita del figlio, battuta per battuta.
STAGIONE 1 EPISODIO 1
MINUTAGGIO: 33:40-34:33
RUOLO: La China Jurado
ATTRICE: Cecilia Suárez
DOVE: Netflix
ITALIANO
Ti premiano nel monastero di Santa Chiara, non ci puoi andare come uno qualunque. E dovrai anche dire un paio di parole. Ascolta, se vuoi ti dico io come… come impostare il discorso. Che ne dici, ti aiuto? “Buonasera… prima di tutto vorrei ringraziare tutti coloro che hanno votato con il mio lavoro, e vorrei anche ringraziare i nostri clienti, e poi tutte le persone che lavorano nel nostro vivaio. E… e soprattutto la persona che mi ha sempre sostenuto, e che è stata al mio fianco, ovvero mia madre”. Poi mi mandi un bacio, o dici qualcosa come… ecco… “Grazie mamma.” Grazie mamma. E basta.
Debuttata l’11 aprile 2025 su Netflix (e disponibile anche su Sky Glass, Sky Q e Now), Il Giardiniere (El Jardinero in originale) è una miniserie thriller in sei episodi creata da Miguel Sáez Carral, autore già noto per Ni una más. La regia è affidata a Miker Rueda, che costruisce una tensione costante in una storia dove i sentimenti si seppelliscono nella terra, insieme ai cadaveri. La storia segue Elmer (interpretato da Álvaro Rico, volto noto di Élite), un giovane uomo che gestisce un vivaio con sua madre, La China Jurado (Cecilia Suárez). Ma il vivaio è solo una facciata. Elmer è un sicario su commissione, addestrato fin da piccolo dalla madre, una donna calcolatrice e manipolatrice che ha sfruttato una sua fragilità psicologica a proprio vantaggio. Dopo un trauma infantile, Elmer ha smesso di provare emozioni. Nessun rimorso, nessun attaccamento. È il killer perfetto, e la madre lo usa per eliminare persone su richiesta, seppellendole tra le serre e le piante. Un’azienda familiare dell’orrore.
Ma qualcosa cambia. Durante una delle sue “missioni”, Elmer incontra Violeta (Catalina Sopelana), una maestra d’asilo che diventa una variabile non prevista nel suo algoritmo emotivo. Violeta non doveva sopravvivere. Ma Elmer non riesce a ucciderla. Qualcosa si muove dentro di lui. Un sentimento. O forse un’illusione di sentimento. Ed è qui che l’intero castello di carte costruito da La China comincia a tremare.
Per la prima volta, Elmer si rifiuta di obbedire. E per la prima volta, è pronto a tradire sua madre. Il vero cuore nero della storia, però, è La China Jurado. È lei che tiene le fila. È lei che prega ogni giorno sua madre morta, come se fosse una divinità da supplicare, ma agisce sempre e solo in base a ciò che serve a lei. Elmer per lei è uno strumento, un mezzo per fare soldi e riacquistare la villa in Messico da cui era stata cacciata.
Il rapporto madre-figlio qui è il centro della narrazione. Ma non è amore, non è protezione. È un dominio psicologico mascherato da cura. Una maternità che diventa gabbia, veleno, manipolazione.
Uno degli elementi più discussi della miniserie è come vengono rappresentate le figure femminili. Non ci sono “salvatrici”. Né madri amorevoli, né eroine. Sono tutte, a loro modo, portatrici di un’umanità corrotta. Perfino Violeta – che dovrebbe essere il contraltare dolce e puro – mostra sfumature più ambigue. La poliziotta che indaga sulle sparizioni, invece, è guidata più dall’ossessione e dal bisogno personale che da un reale desiderio di giustizia.
È come se la serie volesse dire: non importa il genere, importa cosa ne fai del tuo potere sugli altri.
“Ti premiano nel monastero di Santa Chiara, non ci puoi andare come uno qualunque.” Qui inizia l’imposizione. La madre stabilisce cosa è degno e cosa no. Non gli chiede: “Come ti senti per questo premio?”, ma gli dice che non può andarci “come uno qualunque”. Tradotto: devi rappresentare qualcosa. Devi essere perfetto. Ancora una volta, il ruolo prima della persona. “E dovrai anche dire un paio di parole.” Anche qui: non è un consiglio, è una direttiva. E subito dopo arriva l’offerta-trappola: “ti aiuto io”. Non è un aiuto, ovviamente. È l’ennesima incursione nel suo spazio personale. “Buonasera… prima di tutto vorrei ringraziare…” Questa parte è inquietante proprio per quanto suona standardizzata. È un discorso prefabbricato, neutro, senza alcuna emozione reale. Come se anche la gratitudine dovesse seguire una scaletta.
“…e soprattutto la persona che mi ha sempre sostenuto, e che è stata al mio fianco, ovvero mia madre.” Questo è il vero obiettivo di tutto il monologo: portare Elmer a pubblicamente ringraziare lei. Non perché lo senta, ma perché venga detto. Davanti a tutti. È un atto di auto-celebrazione in differita, una richiesta di omaggio costruita con le sue stesse mani. “Poi mi mandi un bacio, o dici qualcosa come… ecco… ‘Grazie mamma.’” Qui il tono si fa quasi infantile. Il bacio, il “grazie mamma”, sono elementi che restituiscono l’immagine di un figlio devoto, affettuoso, normale. Una scena rassicurante, da famiglia ideale. Ma nella serie sappiamo bene che nulla è come sembra: quel “grazie mamma” è il simbolo di un amore obbligato, messo in scena.
Questo monologo è, in superficie, leggero. Ma è proprio questa leggerezza a renderlo tagliente. La China non urla, non impone con violenza: suggerisce. Ma nel suo suggerire c’è tutto il suo potere. Non sta solo dicendo a Elmer cosa dire: sta scrivendo per lui la parte che dovrà recitare. Come ha sempre fatto, del resto. Il figlio deve ringraziarla, in pubblico, perché lei vuole essere vista come una madre che ha dato tutto. Non importa se è vero: l’importante è che venga detto.
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