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~ LA REDAZIONE DI RC
Il monologo di Anna Fura in ACAB, interpretata da Donatella Finocchiaro, è un momento di straordinaria intensità emotiva che mette a nudo le dinamiche psicologiche e relazionali tra Anna e Ivano "Mazinga". La scena avviene in un contesto intriso di tensione e risentimento: Anna, moglie del paralizzato Pietro Fura, esprime tutta la sua frustrazione e il suo disincanto nei confronti di Ivano, un uomo con cui ha condiviso un'intimità non consumata, ma carica di Sottintesi.
MINUTAGGIO: 31:10-32:10
RUOLO: Anna Fura
ATTRICE: Donatella Finocchiaro
DOVE: Netflix
ITALIANO
E che ho fatto di sbagliato…. Oh, Ivà, è solo una cena… Pietro se n’è accorto? E quindi? Avete deciso insieme? Come funziona tra celerini quando uno ci prova con la moglie di un collega? Vi chiedete scusa, poi amici come prima, è? No, non si può fare. Perché poi passate da infami, perdete il rispetto dei colleghi e tutte ste cazzate che vi fanno sentire uomini a voi. Non ti preoccupare, Ivano. Il rispetto dei colleghi ce l’hai. Ma non il mio.
La serie ACAB su Netflix è un’espansione dell’universo narrativo già esplorato dal film di Stefano Sollima e dall’omonimo libro di Carlo Bonini. È un prodotto che affronta in sei episodi i dilemmi morali, le fratture interiori e le contraddizioni di una squadra del Reparto Mobile di Roma, chiamata a operare in una costante tensione tra ordine e caos.
La storia inizia in Val di Susa, durante uno scontro tra il Reparto Mobile e i manifestanti No Tav. È una sequenza intensa, che pone subito al centro il tema principale della serie: il fragile equilibrio tra il compito istituzionale di mantenere l’ordine e le ripercussioni personali di chi è coinvolto in questo ruolo. L’incidente del comandante Pietro Fura (Fabrizio Nardi), gravemente ferito negli scontri, lascia un vuoto che viene riempito dal nuovo comandante Michele Nobili (Adriano Giannini), un poliziotto con una visione più progressista e meno incline all’uso della forza. Questo cambio di leadership scatena attriti interni, in particolare con Ivano Valenti, detto Mazinga (Marco Giallini), un veterano legato ai “vecchi metodi”.
I PERSONAGGI
Mazinga (Marco Giallini): È un uomo che incarna l’archetipo del poliziotto vecchio stampo, abituato a risolvere tutto con la forza. Eppure, al di fuori del lavoro, Mazinga rivela un lato sorprendentemente pacifico, trovando sollievo nella cura delle sue piante. È un personaggio che oscilla tra il disincanto e una forma di ribellione silenziosa contro un sistema che lo ha prosciugato.
Michele Nobili (Adriano Giannini): Un idealista che crede in un approccio riformista, ma che presto si scontra con la realtà brutale della squadra che guida. Il suo passato e i conflitti privati, soprattutto con la moglie e la figlia lasciate a Senigallia, lo rendono un personaggio profondamente umano, incapace di mantenere la distanza tra il lavoro e la vita personale.
Marta Sarri (Valentina Bellè): Madre single e unica donna del gruppo, Marta lotta per bilanciare il suo ruolo di poliziotta e madre con le pressioni di un ex marito violento. Bellè porta una vulnerabilità palpabile al personaggio, che riesce a mantenere un’integrità emotiva anche di fronte alla brutalità del lavoro.
Salvatore Lovato (Pierluigi Gigante): Il personaggio più enigmatico del gruppo, un veterano con un passato militare in Kurdistan, che vive in caserma e coltiva una relazione a distanza mai concretizzata. La sua ossessione per la disciplina lo rende rigido e incapace di stabilire vere connessioni umane.
Un altro elemento significativo è la scelta di concentrarsi sulle conseguenze emotive e psicologiche del lavoro, piuttosto che sui soli eventi esterni. Questo approccio umanizza i personaggi e offre una prospettiva più profonda sul peso che la violenza esercita su chi la vive quotidianamente. Pur mantenendo alcuni elementi del film del 2012, come il personaggio di Mazinga, la serie si distingue per un tono più riflessivo e meno aggressivo. Dove il film era un’esplorazione cruda e diretta della violenza, la serie adotta un ritmo più lento e stratificato, che permette di approfondire i personaggi e le loro storie.
"E che ho fatto di sbagliato... Oh, Ivà, è solo una cena…": Il tono iniziale è quasi ingenuo, come se Anna volesse minimizzare ciò che è accaduto. L’ironia latente nella sua voce trasmette un senso di incomprensione e solitudine. Per Anna, l’invito a cena non era un gesto grave o sconveniente, ma una ricerca di connessione e complicità in un momento di vulnerabilità. La sua domanda retorica – "E che ho fatto di sbagliato?" – rivela un desiderio di normalità che si scontra con le rigidità morali e sociali che governano il mondo di Ivano. "Pietro se n’è accorto? E quindi? Avete deciso insieme?" Qui Anna colpisce con forza il cuore del conflitto. La sua rabbia emerge chiaramente: non tanto per il fatto che Ivano l’abbia respinta, quanto per la percezione che questa decisione sia stata presa non solo da lui, ma "insieme" a suo marito Pietro, come se il suo destino e i suoi sentimenti fossero proprietà di questi due uomini. Questo passaggio sottolinea il tema del controllo maschile sul corpo e sulle emozioni di Anna, che si ribella a questa complicità patriarcale tra i due uomini.
"Come funziona tra celerini quando uno ci prova con la moglie di un collega?"
Anna sfida apertamente il sistema di regole non scritte che governa i rapporti interni al Reparto Mobile. Il tono è sarcastico, quasi derisorio, e mette in evidenza l’assurdità di un mondo dove l’onore maschile è difeso a scapito dei desideri e delle emozioni individuali. Anna critica la superficialità con cui queste regole vengono accettate, sottintendendo che sono solo un modo per perpetuare un sistema che premia la forza e la lealtà di gruppo a scapito dell’autenticità. "Vi chiedete scusa, poi amici come prima, è?" Questa frase evidenzia il sarcasmo di Anna nel descrivere la dinamica tra i poliziotti, che risolve ogni tensione con una falsa riconciliazione basata sul "codice d’onore". Per Anna, questa superficialità è insopportabile, perché rende ancora più evidente la disumanità di un sistema che si preoccupa più di mantenere le apparenze che di risolvere i veri conflitti. La sua critica non è solo rivolta a Ivano, ma a tutto ciò che lui rappresenta.
"No, non si può fare. Perché poi passate da infami, perdete il rispetto dei colleghi e tutte ste cazzate che vi fanno sentire uomini a voi." Questa è la parte centrale e più incisiva del monologo. Anna smaschera la fragilità maschile che si nasconde dietro le regole di condotta del gruppo. La parola "infami" sottolinea come, per Ivano e i suoi colleghi, la reputazione all’interno del corpo di polizia sia più importante delle relazioni personali. Anna, invece, considera questo codice un costrutto superficiale, una "cazzata" che serve solo a dare un senso di appartenenza e virilità a uomini che altrimenti si sentirebbero persi."Non ti preoccupare, Ivano. Il rispetto dei colleghi ce l’hai. Ma non il mio." La conclusione del monologo è una stoccata definitiva. Anna concede a Ivano quello che per lui sembra essere l’unico valore importante – il rispetto dei colleghi – ma gli nega ciò che realmente conta nella relazione tra loro: il rispetto e l’autenticità personale.
Il monologo di Anna Fura è un atto di ribellione contro le dinamiche oppressive del mondo maschile e militarizzato del Reparto Mobile. Anna, che fino a quel momento sembrava confinata al ruolo di moglie del poliziotto e vittima indiretta della cultura del branco, emerge come un personaggio dotato di forza, ironia e consapevolezza. Le sue parole non solo mettono in crisi Ivano, ma smascherano un intero sistema basato su regole obsolete e ingiuste, che penalizzano l’individualità in nome di una lealtà collettiva tossica.
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