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~ LA REDAZIONE DI RC
Il monologo di Elena è un momento di rottura nel film. Dentro un racconto costruito su pause, silenzi e dialoghi intensi, arriva la sua voce – ironica, diretta, senza filtro – a interrompere la narrazione con un’ondata di cinismo e comicità. Ma non è un diversivo. È anche un passaggio chiave per capire da dove arriva Anna. Da chi è cresciuta. Che tipo di relazioni ha visto. Che tipo di amore le è stato raccontato.
Il tono è da cabaret della disillusione: Elena sembra una comica di lungo corso che ha imparato a trasformare le ferite in battute. Eppure, sotto il ritmo incalzante e le risate a denti stretti, si intravede una malinconia che pesa.
MINUTAGGIO: 32:31-33.53
RUOLO: Elena
ATTRICE: Elena Sofia Ricci
DOVE: Apple TV
ITALIANO
Io Odio. Odio, si, Odio con tutte le mie forze tutti quelli che ti dicono che gli errori servono a migliorarti, che ti aiutano a xcrescere. Venite, venite, vi faccio fare un giro nella mia vita e vi renderete conto di quanto gli errori non servono a niente. Tutto è cominciato quando avevo 23 anni. Me lo ricordo come se fosse ieri. No, non l’ho capita questa risatina, non è che fosse proprio il secolo scorso, è… Vabbè, ero andato al supermercato a comprare un litro di latte. Vado alla cassa per pagare e trovo due file. Una piena di carrelli, l’altra con solo due, ma pienissimi. Scelgo la prima. Da quel giorno la mia vita non è stata più la stessa. Si, ma non perché ci ho messo un’ora di più, no. Perché io, con quel cassiere, c’ho vissuto due anni. E quella è stata la prima di una lunga serie di errori, e di uomini, che poi sarebbero la stessa cosa.
"Supereroi" non è un film che racconta solo una storia d'amore. È una riflessione su quanto sia difficile che quella storia duri. Sul tempo che logora, mette alla prova, scava, ma che, se resistito, può diventare la vera misura di un legame. Paolo Genovese prende due personaggi apparentemente agli antipodi e li butta nella mischia dell'esistenza: Anna e Marco. Lei, disegnatrice di fumetti, impulsiva, emotiva, caotica. Lui, professore di fisica, razionale, quasi distaccato, affezionato all’idea che tutto abbia una spiegazione logica. Ed è proprio da questa antitesi che parte il racconto. La scena d’apertura – Milano, una pioggia improvvisa, due sconosciuti che si riparano sotto lo stesso portico – è un classico innesco romantico. Ma subito dopo, Genovese gioca al contrario. Il film non prosegue in linea retta, non ci racconta "come va a finire", perché il punto non è quello. La narrazione si frantuma volutamente, alternando passato e presente, illudendoci di capire il futuro dei personaggi per poi spiazzarci con un ricordo, un flashback, un dialogo lasciato a metà. E questo meccanismo di montaggio discontinuo non è solo uno stile narrativo: è un riflesso diretto di come ricordiamo le relazioni, con salti emotivi e ritorni confusi.
Jasmine Trinca e Alessandro Borghi prestano i volti (e i corpi, nel senso che invecchiano, ingrassano, si trascurano, si riprendono) a due personaggi che si cercano e si respingono per oltre vent’anni. Il tempo è infatti il vero terzo protagonista della storia. E non si limita a passare: modella i volti, consuma i gesti, cambia la qualità dei silenzi.
Anna disegna supereroi, ma lo fa con la consapevolezza che nella realtà il vero superpotere è la durata. È lì che il titolo del film prende forma: non c’è niente di epico o spettacolare, niente mantelli o nemici da sconfiggere. I veri supereroi sono quelli che non mollano, che restano. Che scelgono di esserci anche quando non è semplice, quando l’amore non basta a spiegare una convivenza, quando le parole non funzionano più. E qui, il film dice qualcosa di profondo: l’amore non è un picco, è una curva lunga, fatta di ricadute e risalite.
Genovese costruisce "Supereroi" come un album fotografico, disseminato tra città diverse – Milano, Marrakech, Copenhagen, Lucca, Ponza – ognuna delle quali sembra rappresentare una fase emotiva. Una fuga, un ritorno, un confronto, una promessa. C’è l’illusione del viaggio, ma è un movimento interno, un andare avanti e indietro tra versioni diverse di sé.
"Io Odio. Odio, si, Odio con tutte le mie forze tutti quelli che ti dicono che gli errori servono a migliorarti..." L’inizio è una dichiarazione di guerra. Elena prende di mira quella retorica autoaiutista che dice che tutto, anche il dolore, ha un senso. Ma lei non ci sta. Lei dice: “Venite a vedere cosa hanno fatto gli errori alla mia vita”. Non c'è saggezza nel fallimento, non c'è crescita. Solo ferite.
La comicità nasce dal contrasto tra ciò che ci si aspetta – una riflessione pacata, magari consolatoria – e quello che invece lei butta fuori: un rifiuto totale. E poi arriva il racconto dell'episodio chiave: "Vado alla cassa per pagare e trovo due file. Una piena di carrelli, l’altra con solo due, ma pienissimi. Scelgo la prima." Sembra un piccolo aneddoto quotidiano, ma diventa una parabola tragicomica. Perché da quella scelta apparentemente banale – scegliere una fila invece di un’altra – scaturisce un'intera relazione. Due anni della sua vita. Con un cassiere.
E il colpo finale è micidiale: "E quella è stata la prima di una lunga serie di errori, e di uomini, che poi sarebbero la stessa cosa." Qui Elena non risparmia nulla. Né sé stessa, né gli uomini, né l’idea stessa del "destino". Ogni scelta sbagliata diventa un’autoaccusa ironica. E dietro l’umorismo c’è la fatica di chi ha vissuto relazioni sbagliate non perché “doveva imparare qualcosa”, ma perché, semplicemente, ha sbagliato. Punto. E non è migliorata, non è cresciuta: si è solo portata addosso altre cicatrici.
Quello di Elena è un monologo che fa ridere, ma non consola. È una confessione disillusa, che mette in discussione tutto il racconto rassicurante che spesso accompagna il fallimento: l’idea che serva, che abbia un senso. Qui non c’è redenzione, non c’è lezione. C’è solo una donna che ha scelto la fila sbagliata. E che, da lì in poi, ha smesso di credere che “gli errori servono a qualcosa”.
Ma il valore di questo monologo non sta nel messaggio, quanto nella sua funzione dentro la storia: ci mostra il punto di partenza emotivo di Anna. Cresciuta accanto a una madre che ha trasformato le relazioni in errori, Anna si trova a dover ricostruire un’idea diversa dell’amore. Magari anche a contraddirla.
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