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~ LA REDAZIONE DI RC
Questo monologo da “The four seasons” arriva in un contesto delicatissimo: il funerale di Nick. Anne è lì per ricordare pubblicamente l’uomo che è stato suo marito per venticinque anni, ma anche colui che, poco prima della fine, le ha inferto uno dei colpi più duri e umilianti della sua vita. La scelta di farle pronunciare il discorso è narrativa e drammaturgica allo stesso tempo: mette lo spettatore davanti al cuore pulsante della serie — le contraddizioni dei legami duraturi, e il fatto che l’amore, anche quando finisce, non viene mai davvero smaltito.
STAGIONE 1 EP 8
MINUTAGGIO: 16:32-18:22
RUOLO: Anne
ATTRICE: Kerri Kenney-Silver
DOVE: Netflix
INGLESE
Hi. We are here today to celebrate someone we all loved. Nicholas Pagano. Our Nick. When Nick and I first started dating, he asked me to help him buy some art. And when I asked him what kind, he said, "Whatever is classiest." And I told him that art should make you feel something. So we went to about ten galleries, but nothing popped. Then later, we found a street artist, and Nick insisted that we get our caricature done. He looked at it, him on a motorcycle, me in the sidecar, and he said, "Now, this makes me feel something." So, for two decades, that very classy piece of art has been hanging in our apart-- His apart-- Well, it was his apartment. He probably took it down anyway. I'm sorry. I'm sorry. It's very complicated... talking about him. On one hand, I have all these beautiful memories of our life together, and on the other, he did tell me he was leaving me while waiting for the claims adjuster to inspect our exploded shed. I knew him so well, and yet I really didn't know him at all. Like, I didn't know that he liked Monkey Pussy. "Yeah, okay, great. Seems like Ol' Divorcio may have bitten off more than she could chew.. So maybe somebody else should do this. Claude, you had something you wanted to share about a mug or something.
ITALIANO
Ciao. Siamo qui, oggi, per ricordare una persona che tutti amavamo. Nicholas Pagano, il nostro Nick. Quando iniziammo a uscire insieme, chiese... che lo aiutassi a comprare dei quadri. E quando gli chiesi il genere, rispose: "Quello più di classe". E gli dissi che... l'arte deve far provare qualcosa. Quindi... girammo una decina di gallerie, ma... non lo colpì nulla. Più tardi trovammo un artista di Strada, e Nick insistete per farci fare una caricatura. La guardò, c'era lui su una motocicletta, mentre io ero nel sidecar, e disse: "Questa sì che mi fa provare qualcosa." Così, da due decenni, quell'opera d'arte molto di classe è appesa nel nostro appartamento, cioè, nel suo appartamento. Beh, ormai era il suo. Cioè, tanto l'avrà tolta. Scusate. Scusate. E' molto complicato parlare di lui. Da un lato, ho tutti questi... bei ricordi della nostra vita insieme. Dall'altra mi ha detto che mi lasciava mentre il perito dell'assicurazione ispezionava il capanno esploso. Lo conoscevo così bene eppure non lo conoscevo affatto. Non sapevano che gli piacevano i Monkey Pussy. Pare che la vecchia divorziata abbia fatto il passo troppo lungo. Quindi, forse dovrebbe finire qualcun altro... Claude, volevi condividere qualcosa a proposito di una tazza, mi pare.
La trama di The Four Seasons si sviluppa attorno a un’idea tanto semplice quanto potente: cosa succede quando il tempo – quello vero, che scava lentamente sotto la superficie delle cose – inizia a logorare ciò che sembrava saldo, e lo fa sotto gli occhi di chi ti conosce da sempre? Ambientata nel corso di un anno e strutturata in otto episodi, ognuno legato simbolicamente a una stagione, la serie Netflix creata da Tina Fey, Lang Fisher e Tracey Wigfield prende spunto dall’omonimo film del 1981 di Alan Alda per raccontare le microfratture e i terremoti emotivi che colpiscono tre coppie di amici di lunga data: Kate e Jack, Nick e Anne, Danny e Claude.
Il punto di rottura arriva subito, durante quella che dovrebbe essere una vacanza tranquilla tra vecchi amici: Nick (Steve Carell), senza troppi giri di parole, annuncia di aver lasciato Anne (Kerri Kenney-Silver), sua moglie da venticinque anni, per Ginny (Erika Henningsen), una donna più giovane, spontanea e del tutto estranea al mondo emotivo e culturale del gruppo. Da lì, il castello di equilibri consolidati comincia lentamente a crollare.
Ogni episodio mette in scena un passo in quel percorso di svelamento a cui ogni personaggio è costretto: le maschere sociali, le abitudini, le dinamiche ormai automatiche all’interno di ogni coppia vengono messe in discussione. Ginny, in questo contesto, non è solo una presenza ingombrante: è la miccia che riaccende i fuochi sopiti del desiderio, della rabbia, della nostalgia. Ma soprattutto è lo specchio attraverso cui ciascuno è costretto a guardarsi per ciò che è diventato. Ciò che rende The Four Seasons interessante è il modo in cui tratta i legami di lunga durata: non li celebra, non li demolisce, ma li osserva con onestà e ironia. Kate e Jack (Tina Fey e Will Forte), ad esempio, incarnano il dilemma di una coppia che ha confuso la complicità con l’abitudine. Danny e Claude (Colman Domingo e Marco Calvani), invece, affrontano quelle piccole crepe invisibili che si insinuano anche nelle relazioni più equilibrate.
La scelta di legare ogni tappa della serie a una stagione dell’anno funziona anche come struttura narrativa che scandisce il progressivo smantellamento delle certezze. La primavera è la rinascita, l’inizio del cambiamento. L’estate porta la confusione e la voglia di lasciarsi andare. L’autunno introduce il disincanto, mentre l’inverno è il momento della resa dei conti.
“Quando iniziammo a uscire insieme, chiese... che lo aiutassi a comprare dei quadri." L’aneddoto dei quadri è semplice ma profondamente rivelatore. Anne sceglie di raccontare un episodio che non ha nulla di epico, nulla di plateale, ma che contiene già tutta l’essenza della loro relazione: Nick che cerca qualcosa di “di classe”, lei che cerca qualcosa che “faccia provare qualcosa”. Sono due visioni diverse, quasi opposte — eppure trovano un punto d’incontro grottesco e tenero nella caricatura da artista di strada, appesa per vent’anni nel loro appartamento. "C’era lui su una motocicletta, mentre io ero nel sidecar, e disse: ‘Questa sì che mi fa provare qualcosa.’” Questa immagine è potentissima: Nick, alla guida, Anne nel sidecar. È una metafora involontaria della loro dinamica di coppia, che col senno di poi Anne sembra rileggere con un misto di tenerezza e rimpianto. Quella caricatura — ridicola, esagerata, tutto fuorché “di classe” — diventa il simbolo più autentico del loro legame: un equilibrio strano, sbilanciato, ma sincero.
"Beh, ormai era il suo. Cioè, tanto l’avrà tolta. Scusate. Scusate.” Qui il monologo cambia registro. Anne non riesce più a mantenere la facciata. La costruzione emotiva inizia a cedere e la voce si incrina, si confonde. L’oscillazione tra il passato e il presente (“nel nostro appartamento... cioè, nel suo”) è linguistica ma anche esistenziale. Anne non sa più dove collocarsi rispetto a Nick, neanche da morta. "Mi ha detto che mi lasciava mentre il perito dell’assicurazione ispezionava il capanno esploso." E qui arriviamo al nucleo. Il dolore personale irrompe nella commemorazione. Non riesce a contenersi. La scena tragicomica del capanno esploso diventa il paradosso perfetto: anche il momento in cui viene lasciata da Nick è assurdo, grottesco, e per questo ancora più doloroso. Una vita condivisa viene spezzata nel contesto di un evento ridicolo — e questo rende tutto ancora più difficile da elaborare. "Lo conoscevo così bene eppure non lo conoscevo affatto." Una frase semplice, ma devastante. È il sentimento che arriva quando chi ci ha accompagnato per anni si rivela — nel bene o nel male — altro da sé. La scoperta che ascoltava i “Monkey Pussy”, il riferimento alla “vecchia divorziata” (cioè lei stessa), sono punzecchiature amare, ferite che cercano un appiglio nella comicità. Ma non è ironia salvifica, è un sarcasmo disperato.
"Quindi, forse dovrebbe finire qualcun altro... Claude, volevi condividere qualcosa a proposito di una tazza, mi pare." La chiusura è un piccolo colpo di genio: Anne non ha la forza di concludere. Passa la parola, quasi come se non potesse reggere il carico che si era imposta. Ed è giusto così. La sua “commemorazione” non è una celebrazione, non è una condanna, non è una chiusura. È uno sforzo di resistenza emotiva. Ed è anche la dimostrazione che, quando l’amore finisce — e pure la persona amata — ciò che resta è un’ombra strana, difficile da nominare, da onorare, da archiviare.
Il monologo di Anne è una lezione di scrittura e recitazione sulle contraddizioni del lutto sentimentale. Non è una lettera d’amore, non è un regolamento di conti: è una testimonianza confusa, sincera, a tratti comica e a tratti profondamente struggente, su cosa vuol dire dover parlare di qualcuno che ti ha amato... e poi ti ha lasciato. Che hai amato... e ora non sai più come.
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