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Il monologo di Maria Altmann, interpretata da Helen Mirren, è uno dei momenti più intimi di Woman in Gold. Collocato nel pieno della battaglia legale, questo passaggio è un appello razionale, ma anche un’espressione profondamente emotiva del legame personale tra Maria e il famoso dipinto di Gustav Klimt. Attraverso le sue parole, il monologo svela i temi centrali del film: l'identità, la perdita e il desiderio di giustizia.
MINUTAGGIO: 00:43:29 -44:30
RUOLO: Maria Altmann
ATTRICE: Helen Mirren
DOVE: Netflix
ITALIANO
Quando la gente guarda quel famoso ritratto vede un capolavoro di uno dei più noti artisti austriaci, ma io vedo il ritratto di mia zia... una donna che mi parlava della vita mentre le spazzolavo i capelli nella sua camera. Restituzione è una parola interessante... sapete, l'ho cercata sul dizionario. Restituzione: il ritorno di qualcosa al suo stato originale; questo mi fa riflettere su quanto mi piacerebbe tornare al mio stato originale. Mi piacerebbe molto vivere felicemente in questa meravigliosa città. Come tante della mia generazione costrette a fuggire, non li perdonerò mai per avermi impedito di vivere qui. Quantomeno, dovrebbero farci riavere quello che ci appartiene di diritto. Grazie.
Woman in Gold (2015), diretto da Simon Curtis, racconta una storia basata su eventi reali, intrecciando il tema della memoria personale con quello della giustizia storica. Il film si concentra su Maria Altmann, una donna ebrea sopravvissuta all’Olocausto che si imbarca in una battaglia legale contro il governo austriaco per reclamare un’opera d’arte rubata alla sua famiglia dai nazisti: il celebre ritratto di sua zia Adele Bloch-Bauer, dipinto da Gustav Klimt e noto come Ritratto di Adele Bloch-Bauer I, o semplicemente Donna in oro.
La narrazione si muove su due linee temporali intrecciate: il presente (ambientato negli anni ’90) e il passato (negli anni ’30, durante l’ascesa del nazismo in Austria).
Maria Altmann (interpretata da Helen Mirren) vive ormai da anni a Los Angeles, dove conduce una vita tranquilla, lontana dai traumi della sua giovinezza. Dopo la morte di sua sorella, Maria scopre lettere e documenti che la portano a indagare sul destino dei beni della sua famiglia, confiscati dai nazisti durante l’occupazione dell’Austria. Tra questi beni c’è il ritratto di sua zia Adele, un capolavoro iconico di Klimt, che per decenni è stato esposto nella Galleria Belvedere di Vienna ed è considerato un simbolo nazionale austriaco.
Decisa a riottenere ciò che le spetta di diritto, Maria si rivolge a un giovane avvocato, Randy Schoenberg (interpretato da Ryan Reynolds), nipote del celebre compositore Arnold Schoenberg. Randy, all’inizio, è scettico: il caso sembra impossibile da vincere, sia per la potenza legale ed economica dell’Austria, che per l’idea di dover sfidare un intero Paese che considera il dipinto parte integrante della propria identità culturale. Il legame emotivo di Maria con la sua storia e l’ingiustizia subita dalla sua famiglia lo convincono a proseguire.
Il film segue quindi il loro percorso legale e morale, che inizia con una causa negli Stati Uniti per portare il caso davanti alla Corte Suprema, e prosegue fino a Vienna, dove Maria deve affrontare la burocrazia e l’ostilità delle istituzioni, ma anche i ricordi dolorosi del suo passato. Attraverso flashback, veniamo trasportati nella Vienna degli anni ’30, dove Maria e la sua famiglia vivevano una vita agiata, circondata dall’arte e dalla cultura, fino all’arrivo dei nazisti, che li privarono di tutto, inclusa la libertà.
La battaglia legale diventa dunque un viaggio di riconciliazione con il passato per Maria, che si confronta con la perdita della sua famiglia e delle sue radici, ma anche con la sua scelta di abbandonare Vienna durante la guerra. Per Randy, invece, è un percorso di crescita personale, un’occasione per riscoprire il valore della giustizia e l’importanza della memoria storica.
Attraverso il rapporto tra Maria e Randy, il film esplora il tema della memoria storica e del dovere di affrontare le ferite del passato, anche quando ciò comporta sfidare narrazioni ufficiali e affrontare un’opposizione schiacciante. Le scene ambientate nel presente, dominate dall’energia combattiva di Maria e dall’idealismo in evoluzione di Randy, sono intercalate da flashback che mostrano la Vienna elegante e decadente degli anni ’30, poi soffocata dall’orrore nazista.
Il monologo si apre con un contrasto tra la percezione pubblica del dipinto e il significato privato che esso ha per Maria:
"Quando la gente guarda quel famoso ritratto vede un capolavoro di uno dei più noti artisti austriaci, ma io vedo il ritratto di mia zia..." Questa frase introduce un conflitto cruciale nel film: il dipinto come simbolo di un patrimonio culturale nazionale contro il dipinto come simbolo di una memoria personale e familiare. Maria sposta immediatamente l’attenzione dal valore artistico dell’opera a quello umano, trasformando un’icona di fama internazionale in una rappresentazione intima di un legame affettivo. La descrizione della zia che le "parlava della vita mentre le spazzolava i capelli nella sua camera" evoca un’immagine di calore familiare e quotidianità che stride con la sacralità museale in cui il ritratto è stato intrappolato per decenni. Questa contrapposizione serve a sottolineare il tema della deumanizzazione: ciò che per l'Austria è un simbolo di grandezza culturale è, per Maria, un frammento del passato rubato.
Maria poi sposta la riflessione sul termine "restituzione", un termine tecnico che assume qui una valenza quasi esistenziale: "Restituzione è una parola interessante... sapete, l'ho cercata sul dizionario. Restituzione: il ritorno di qualcosa al suo stato originale." Questa definizione introduce un parallelismo tra il destino del dipinto e quello della protagonista stessa. Maria parla del ritorno dell’opera d’arte alla sua famiglia, ma anche del desiderio impossibile di tornare alla vita che aveva prima dell’Olocausto, prima dell’esilio forzato. La parola "stato originale" diventa carica di nostalgia e rimpianto. Maria desidera ritrovare la vita che le è stata negata, ma è consapevole dell’irrecuperabilità del passato, il che aggiunge una nota di profonda malinconia alle sue parole.
Il culmine emotivo arriva quando Maria riflette sulla perdita della sua casa e della sua vita a Vienna: "Mi piacerebbe molto vivere felicemente in questa meravigliosa città. Come tante della mia generazione costrette a fuggire, non li perdonerò mai per avermi impedito di vivere qui." Questa frase esprime una ferita personale, ma che riflette anche un trauma collettivo. Non si tratta solo della perdita di un dipinto o di un bene materiale, ma di un’intera esistenza rubata. L’uso della prima persona plurale ("come tante della mia generazione") connette Maria a una comunità di sopravvissuti, conferendo alla sua battaglia un significato universale. La rabbia trattenuta nelle sue parole – "non li perdonerò mai" – rivela che la restituzione del dipinto è solo una piccola parte della giustizia che non potrà mai essere pienamente raggiunta.
Il monologo si conclude con una richiesta concreta e razionale: "Quantomeno, dovrebbero farci riavere quello che ci appartiene di diritto." Questa frase riporta il discorso su un piano legale ed etico. Maria sa che non potrà mai tornare al suo "stato originale", ma insiste sul fatto che il minimo che può essere fatto è riconoscere ciò che è stato sottratto illegalmente. Il "grazie" finale, pronunciato con un misto di fermezza e dignità, chiude il monologo, rendendo chiaro che la sua battaglia è tanto morale quanto personale.
Il monologo di Maria Altmann è un momento che racchiude l'essenza del film. Con una semplicità disarmante, Maria passa dal piano emotivo a quello storico e legale, intrecciando la sua vicenda personale con il più ampio trauma dell’Olocausto e dell’esilio forzato. Le sue parole non sono solo un appello per la restituzione del dipinto, ma un grido contro l'ingiustizia e un ricordo delle vite spezzate da un regime brutale. La forza del monologo sta nel modo in cui Maria riesce a umanizzare un’opera d’arte famosa, restituendole il contesto e l'anima che le erano stati sottratti.
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