Monologo femminile - \"Jersey Girl\"

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~ LA REDAZIONE DI RC

Introduzione al monologo

Questo monologo è una narrazione, probabilmente preparata da Gertie per la recita scolastica o un compito. Ma più che una storiella da bimba, è un piccolo racconto mitologico familiare. Gertie prende frammenti della sua storia, di quella dei suoi genitori, e li ricompone come un mosaico. Il tono è quello di una fiaba moderna, ma con dentro il peso della realtà. La bambina racconta la vita dei suoi genitori come fosse una leggenda personale, costruendo un ponte tra il passato che non ha vissuto e il presente che sta cercando di comprendere. E soprattutto, fa quello che suo padre non era riuscito a fare per buona parte del film: dare un significato coerente al dolore, integrarlo nel racconto della vita.

Mio papà e mia mamma e una vita da favola

MINUTAGGIO: 29:00-32:42

RUOLO: Gertie

ATTRICE: Raquel Castro

DOVE: Netflix

ITALIANO

Mio padre dice che ci sono due stili di vita: quello del New Jersey e quello di New York. Mio padre veniva dal New Jersey, e diventò il più giovane capo ufficio stampa della divisione musicale della sua agenzia a New York. A ventisette anni, cento persone lavoravano per lui, e anche se tutti gli volevano un mondo di bene, lui gliene voleva molto di più. Mio papà amava il suo lavoro, ma non quanto amava la mia mamma. La mia mamma era editor di una casa editrice di New York. Papà diceva che i loro lavori erano quasi uguali: tutti e due facevano piccole correzioni per i loro clienti. Mio papà lavorava così tanto che certe volte la mamma lo vedeva soltanto di notte; papi dice che è per questo che loro due amavano così tanto la città: perché non dorme mai. Come lui e la mamma non dormivano. Ma dopo un anno da innamorati a New York, papà disse che era il momento di far vedere a mamma dov’era nato, così la portò a casa nel New Jersey, e la sottopose a quella che secondo lui era la prova più difficile: farle conoscere mio nonno. Così quella sera, papi portò la mia mamma al bar del nonno dove lei conobbe quelli che per il nonno erano come dei figli: i suoi amici Greeny e Block. Il mio papà diceva che visto che la mamma era sopravvissuta al New Jersey, era quella giusta. Dice che festeggiarono il fidanzamento, andarono a mangiare una pizza. Ed è così che sono arrivata io. E così vissero tutti per sempre felici e contenti. O quasi… 

Jersey Girl

Jersey Girl” è un film del 2004 scritto e diretto da Kevin Smith, un autore che, fino a quel momento, era noto soprattutto per il suo stile irriverente, dialoghi iper-verbosi e personaggi legati al mondo nerd e pop (vedi Clerks, Chasing Amy, Dogma). Con Jersey Girl, Smith cambia registro. Non del tutto — la sua impronta resta, soprattutto nei dialoghi — ma decide di raccontare una storia più emotiva, più intima. Qualcosa che ha a che fare con la perdita, con il diventare genitori, e con l’idea di fallimento e redenzione.

Il protagonista è Ollie Trinke (interpretato da Ben Affleck), un pubblicitario rampante che vive e lavora a Manhattan. All'inizio del film è in piena ascesa professionale, innamorato di Gertrude Steiney (Jennifer Lopez), brillante e ironica. I due si sposano e aspettano una bambina. Ma succede qualcosa che sposta completamente la direzione del film.

Gertrude muore durante il parto.

E qui il tono cambia, immediatamente. La commedia da love story si spezza in qualcosa che ha a che fare con il dolore reale, quello che non si può sistemare con una battuta brillante.

Ollie si ritrova vedovo e padre single, completamente incapace di gestire entrambe le cose. Cerca di mantenere il lavoro, ma crolla. In un momento di frustrazione e stress, insulta pubblicamente un suo cliente (una figura del mondo musicale), e viene licenziato. A quel punto, torna nel New Jersey, dove era cresciuto, per vivere con suo padre Bart Trinke (George Carlin).

La figlia — Gertie — cresce, e Ollie lentamente si ricostruisce una vita: lavora come addetto comunale, è molto più vicino alla dimensione quotidiana, provinciale e, in fondo, più concreta rispetto al suo passato newyorkese.

A fare da spartiacque tra la sua vecchia vita e quella nuova arriva Maya, interpretata da Liv Tyler. Una commessa di videoteca che entra nella vita di Ollie e Gertie con leggerezza e schiettezza. Non è un personaggio romantico in senso tradizionale, è quasi un contrappunto: non cerca di sostituire nulla, è lì a dare uno specchio, una seconda occasione forse, ma non a tappare buchi.

Anche se il film ha un impianto da commedia romantica, in realtà Jersey Girl è soprattutto un film padre-figlia. Tutto ruota attorno al rapporto tra Ollie e Gertie: come lui, passo dopo passo, si lascia alle spalle le aspettative di successo, la frustrazione per quello che ha perso, e impara ad abitare davvero quel ruolo di padre.

Analisi Monologo

Mio padre dice che ci sono due stili di vita: quello del New Jersey e quello di New York.” L’apertura è didascalica, ma stabilisce subito un tema centrale del film: il contrasto tra due mondi, due identità. New York è il luogo della carriera, della frenesia, dell’ambizione. Il New Jersey, invece, è lo spazio della casa, dei legami, della famiglia. Gertie, figlia di entrambi i mondi, parte da questa dicotomia per raccontare l’unione dei suoi genitori. Papà diceva che i loro lavori erano quasi uguali: tutti e due facevano piccole correzioni per i loro clienti. Questa è una frase semplice, ma densissima. Gertie sta trasformando il lavoro dei genitori in una metafora condivisa: un modo per raccontare come due persone diverse, in ambiti diversi, in fondo facevano qualcosa di simile. E nella somiglianza — nelle “piccole correzioni” — c'è l’idea che si completassero.

Papà lavorava così tanto che certe volte la mamma lo vedeva soltanto di notte.” Qui emergono, senza essere esplicitati, i primi segnali del conflitto che ha attraversato la famiglia: l’amore forte ma anche i limiti imposti dal lavoro. È una frase che, detta da una bambina, non porta giudizio. Registra semplicemente un fatto. Ma il sottotesto è chiaro: quel ritmo di vita aveva un costo. Per questo loro due amavano così tanto la città: perché non dorme mai.” Un passaggio quasi poetico. Smith qui si diverte a usare la voce infantile per ricamare un significato romantico attorno alla città — la città che non dorme mai — trasformandola nel riflesso dei suoi genitori, innamorati e sempre svegli, sempre in movimento. È quasi un mito familiare.

La sottopose a quella che secondo lui era la prova più difficile: farle conoscere mio nonno. Cambio di tono: da New York al New Jersey. Dal mondo glamour al mondo quotidiano, da Times Square al bar del nonno. E Gertie racconta tutto questo come una saga di passaggio, come un rito iniziatico. Se la mamma ha superato il bar del nonno, allora era davvero “quella giusta”. È un modo ironico e tenero di raccontare la famiglia come una piccola tribù. “Così vissero tutti per sempre felici e contenti. O quasi… Questa chiusura ha un peso enorme. Gertie riprende la struttura della fiaba — “felici e contenti” — ma ci mette un “o quasi” che distrugge l’illusione e restituisce verità. È una frase finale che porta dentro la morte della madre, senza dirla direttamente. Ma ci dice anche che il racconto continua. Che la storia non è finita lì.

Conclusione

Il monologo di Gertie è una chiusura perfetta per Jersey Girl perché ribalta il punto di vista: dalla voce adulta e colpevole di Ollie alla voce bambina e riconciliata di sua figlia. Se Ollie nel suo monologo cerca il perdono, Gertie in questo lo offre, implicitamente. Senza recriminare, senza chiedere nulla. Solo raccontando. E raccontare, in questo film, è un atto di amore. È tenere insieme chi non c’è più, dare senso al dolore, trasformarlo in memoria condivisa. Gertie prende quello che ha vissuto — frammenti, parole dette dal padre, immagini — e lo ordina in una narrazione che salva. Non cancella il lutto, ma lo rende vivibile.

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