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~ LA REDAZIONE DI RC
Nel monologo di Margaret in Expats, emerge un desiderio di fuga che sembra contraddire l'immagine della madre devota e della moglie amorevole. Attraverso le sue parole, la protagonista svela un lato nascosto e complesso, segnato da una tragedia personale che continua a definire la sua identità. Margaret parla della necessità di uno spazio in cui possa essere se stessa, lontana dalle aspettative familiari e dal ruolo di madre, un ruolo che ormai non le permette di esprimere pienamente la propria sofferenza.
STAGIONE 1 EP 1
MINUTAGGIO: 37:12
RUOLO: Margareth
ATTRICE: Nicole Kidman
DOVE: Amazon Prime Video
INGLESE
Do you ever imagine yourself living a completely different life, being a completely different person? All the time. I love my family, but I have this growing desire to leave them. I got an apartment in Kowloon. I just sometimes want to be alone, you know? Where I'm not somebody's wife, not somebody's mother. Where I'm not defined by tragedy and not reminded that I'm the mother of two children instead of three.
ITALIANO
Immagini mai di vivere una vita completamente diversa? Di essere una persona completamente diversa? Io amo la mia famiglia, ma ho un fortissimo desiderio di lasciarla, abbandonarla. Ho preso un appartamento a Kowloon. A volte voglio stare da sola, sai? Dove non sono la moglie di qualcuno o la madre di qualcuno. Dove non sono segnata da una tragedia e nessuno mi ricorda che sono madre di due figli invece che di tre.
"Expats" è una serie drammatica che esplora le complessità di un gruppo di espatriati che vivono a Hong Kong. Basata sul romanzo "The Expatriates" di Janice Y.K. Lee, la serie racconta le vite intrecciate di tre donne — Margaret, Mercy e Hilary — ciascuna con un passato complesso e una storia che mette in luce il tema della perdita, della maternità, e della ricerca di identità in un ambiente estraneo.
La trama si snoda intorno alla figura di Margaret (Nicole Kidman), una donna la cui vita viene sconvolta da una tragedia personale. Margaret è una madre forte e apparentemente felice, ma porta dentro di sé un dolore che è incapace di condividere. Questo trauma influisce su ogni aspetto della sua vita, creando una distanza tra lei e la sua comunità di espatriati, che appare come un riflesso opulento e distaccato della società occidentale.
Mercy, un'altra protagonista, è una giovane donna coreana-americana che cerca disperatamente di fuggire dal proprio passato, ma si trova intrappolata nelle aspettative sociali e personali di Hong Kong. Il suo personaggio incarna l'isolamento e l'incertezza di chi vive come "straniero" in una cultura che non è la propria. Mercy lotta per trovare un equilibrio tra il senso di colpa per decisioni passate e il desiderio di trovare uno scopo in un luogo che le appare tanto lontano quanto affascinante.
Hilary, la terza protagonista, affronta la difficile esperienza della maternità e delle aspettative sociali legate al ruolo di moglie e madre in un ambiente esigente come quello degli espatriati a Hong Kong. Il suo personaggio incarna le contraddizioni tra il desiderio di appartenere e l'inevitabile alienazione che spesso accompagna le vite di chi vive lontano dalla propria cultura d’origine.
Uno degli aspetti più affascinanti della serie è il modo in cui racconta Hong Kong come una città che diventa quasi un personaggio a sé, pieno di contrasti: dalla ricchezza estrema dei quartieri residenziali alla vivacità dei mercati locali, la città è un palcoscenico che amplifica i conflitti interni dei protagonisti, mettendo in evidenza la fragilità delle loro identità in un contesto culturale così distante.
Questo monologo di Margaret in Expats è un momento di potente introspezione, in cui il personaggio esprime un desiderio di fuga che va oltre la mera stanchezza o il bisogno di tempo per sé. È il suo modo di cercare una via d’uscita, di immaginare una nuova identità che possa permetterle di sfuggire alle aspettative imposte dalla famiglia e, soprattutto, alla propria tragedia personale.
Margaret confessa il suo desiderio di scappare da un’identità che sente come un peso: essere "la moglie di qualcuno" e "la madre di qualcuno" la riduce a ruoli predefiniti, svuotati del suo io più profondo. Parla dell’appartamento a Kowloon come di un rifugio, un luogo dove si sente finalmente libera di non essere etichettata. In questo spazio alternativo, lei non è costretta a incarnare l’immagine della madre perfetta o della moglie esemplare, ruoli che la società degli espatriati spesso impone, specialmente in una città come Hong Kong, dove l’immagine pubblica e il successo sociale sembrano fondamentali.
La rivelazione più profonda arriva con quella frase che rivela tutto il dolore nascosto: "nessuno mi ricorda che sono madre di due figli invece che di tre." Qui Margaret si svela completamente. La tragedia che ha vissuto, la perdita di un figlio, la segna e la definisce agli occhi degli altri, e questo è insopportabile per lei. Ogni volta che la sua identità di madre viene evocata, le ricorda la parte che manca, un vuoto che nessuno può riempire e che probabilmente nessuno intorno a lei comprende a pieno. Margaret vuole abbandonare la sua famiglia perché il loro amore, l’immagine di madre e moglie che loro hanno di lei, non riesce a lasciare spazio al suo dolore personale.
Quello che ci mostra questo monologo è una donna che cerca disperatamente di ritrovare il proprio sé in una situazione dove ogni sguardo e ogni parola la riportano a una sofferenza impossibile da sanare. La scelta di uno spazio separato, l’appartamento a Kowloon, è una rappresentazione fisica del suo bisogno di separazione emotiva. In un certo senso, Margaret vuole vivere una vita "completamente diversa" non perché rifiuta la sua famiglia, ma perché, per ritrovarsi, ha bisogno di uno spazio in cui esistere al di fuori di tutto ciò che la definisce.
Il monologo di Margaret è una rappresentazione intima della lotta per ritrovare un’identità personale in un contesto che non lascia spazio alla vulnerabilità. La sua confessione è un tentativo di riconciliarsi con il dolore in un ambiente che lo ignora. La vera forza del monologo sta nella sua capacità di riflettere il desiderio universale di trovare uno spazio in cui esistere come individuo, al di là delle etichette e dei ruoli sociali.
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