Monologo femminile - Moana Pozzi in \"Diva futura\"

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~ LA REDAZIONE DI RC

Introduzione al monologo

Questo monologo di Moana Pozzi, così com’è scritto e recitato in Diva Futura, è una vera e propria autonarrazione, che smonta stereotipi e restituisce un’immagine complessa e consapevole di una figura pubblica che l’Italia ha troppo spesso ridotto a un simbolo univoco. Nel dire "avevo tanti amanti" o "mi piaceva tutto ciò che è insolito", Moana non si giustifica, non si confessa. Rivendica. E questa rivendicazione – del piacere, del corpo, della libertà di scelta – è il cuore del monologo.

Il corpo, il sesso, e la libertà

MINUTAGGIO: 11:40-14:10

RUOLO: Moana Pozzi

ATTRICE: Denise Capezza

DOVE: Netflix

ITALIANO

Avevo tanti amanti, li ho sempre avuti. E sempre in contemporanea con un fidanzato ufficiale. Costruttori, industriali, gioiellieri, politici potenti, molto potenti… Il sesso mi è sempre piaciuto, però con chi volevo io. All’inizio, prima di entrare nel porno, volevo diventare una grande attrice. Facevo molti provini per il cinema, cosiddetto istituzionale. Erano grandi produttori, importanti registi, autori di fama internazionale, ma una volta dentro la stanza era la consuetudine per tutti… E quando dico tutti… intendo dire proprio TUTTI. Poi arriva il primo film porno, lo feci per curiosità, non ci trovavo nulla di male. Ma all’epoca lavoravo in tv, e mi licenziarono, Il più grande paradosso è che a differenza del cinema e in tv, nel porno non sono mai stata molestata. E poi i ragazzi erano tutti giovani, carini, e testati. L’Universo è un punto di vista, ognuno ha il suo. A me piaceva tutto ciò che è insolito, fuori dagli schemi… poi conobbi Riccardo Schicchi. Nessuno riusciva a creare le icone che creava lui, e infatti volevano raccontare tutti con Riccardo.

Diva futura

"Diva Futura" è un film che si muove dentro un segmento specifico della storia culturale italiana, quello dell’industria pornografica degli anni ’80 e ’90, osservata però da un’angolazione interna e quasi familiare. Al centro della narrazione c'è Riccardo Schicchi, interpretato da Pietro Castellitto, fotografo e regista che negli anni della fine della Prima Repubblica, nel pieno di una società post-ideologica ancora intrisa di moralismi democristiani e ipocrisia cattolica, fonda Diva Futura, la prima agenzia italiana di "talenti destinati al porno". Il film racconta l’ascesa di un gruppo di figure ormai entrate nel folklore nazionale: Ilona Staller, alias Cicciolina (Lidija Kordic), Moana Pozzi (Denise Capezza), Eva Henger (Tesa Litvan), ma lo fa da un punto di vista ben preciso: quello di Debora Attanasio (Barbara Ronchi), giovane segretaria borghese che entra per caso, e un po’ spaesata, in questo mondo eccentrico, disordinato, provocatorio ma anche – almeno inizialmente – mosso da un'idea di comunità.

Il cuore del film è nel tentativo di Schicchi di normalizzare e istituzionalizzare il porno in Italia, trasformandolo in una parte legittima del mercato culturale e dell'intrattenimento. L'operazione, paradossalmente, è insieme trasgressiva e conformista: trasgressiva per l’epoca e il contesto sociale, ma anche radicata in dinamiche imprenditoriali, famigliari e di gestione del potere che non sono così diverse da quelle di qualsiasi altro settore dell’industria culturale. "Diva Futura" è costruito a mosaico, in uno stile che alterna toni e registri (dal grottesco al sentimentale, dal documentaristico al teatrale), e lavora quasi per episodi – tanto che l'impressione che restituisce è quella di una serie tv condensata in un film.

Il film mette in scena il fallimento di un’utopia laica e pop, che per un momento ha illuso di poter conciliare libertà sessuale, intrattenimento e politica. L’elezione di Cicciolina in Parlamento, il tentativo più serio di Moana Pozzi di diventare sindaco di Roma, la nascita del Partito dell’Amore: sono tutti eventi reali, che il film rilegge non come provocazioni fini a sé stesse, ma come segnali di una tensione culturale irrisolta. Come se il porno, più che libertà, avesse sempre portato con sé lo specchio della nostra ipocrisia nazionale.

Analisi Monologo

Il discorso si apre con una frase che, in qualunque altro contesto, verrebbe letta come provocazione o come ammissione scandalistica: "Avevo tanti amanti, li ho sempre avuti. E sempre in contemporanea con un fidanzato ufficiale." Ma Moana la dice con naturalezza, come se stesse parlando di una passione per il tennis o per la pittura astratta. La sua vita sentimentale è una scelta, mai un destino, mai una dipendenza. E questo ci dà già un primo elemento chiave: Moana non è mai "vittima" di un sistema. La seconda parte del monologo introduce il punto di svolta: prima del porno, l’illusione del cinema “rispettabile”. Ma proprio lì, dietro le porte degli uffici dei produttori, si consuma la vera violenza. La frase "una volta dentro la stanza era la consuetudine per tutti… E quando dico tutti… intendo dire proprio TUTTI" è un’accusa diretta e devastante. Non viene urlata, ma pesa come una denuncia che risuona in tutto il film.

È qui che Moana formula il paradosso centrale del suo percorso: nel porno, a differenza della televisione o del cinema “alto”, non viene mai molestata. Perché nel porno c’è consenso esplicito, ci sono regole, ci sono test di salute. Tutto è dichiarato. Ed è una delle tesi più forti del film: l’apparente impurità del porno, in realtà, è più trasparente di molti altri ambienti culturalmente legittimati. La frase "l’universo è un punto di vista, ognuno ha il suo" non è un cliché new age, ma un atto di posizione politica. Moana sta dicendo che la sua scelta di vivere il sesso come arte, piacere e professione, è valida quanto qualsiasi altra, e che non chiede né approvazione né perdono.

E alla fine arriva Riccardo Schicchi. In poche righe, Moana ne fa un ritratto preciso e affettuoso: "nessuno riusciva a creare le icone che creava lui." È il passaggio che collega la dimensione personale con quella artistica: non è stata "usata", ha collaborato con un creatore di immaginario. In questo, Moana si distingue da molte delle figure femminili della pornografia, spesso raccontate come strumenti. Lei si propone invece come co-autrice, come artista dell’immagine e dell’identità.

Conclusione

Questo monologo non la santifica, non la martirizza, non la giustifica. La mostra semplicemente come una donna consapevole, disinibita ma non ingenua, desiderante ma selettiva, che ha fatto della sua immagine una forma di linguaggio. Il nodo fondamentale che emerge è quello del consenso: Moana distingue tra le situazioni in cui aveva il controllo e quelle in cui le veniva tolto. E non coincide con l’ambiente considerato “per bene”. Anzi, è dentro il sistema dell’intrattenimento “rispettabile” che subisce la violenza vera. Questo rovesciamento, espresso con lucidità e senza retorica, è il vero atto politico del suo monologo.

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