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~ LA REDAZIONE DI RC
Questo monologo è uno dei momenti più delicati e sinceri de "La mia ombra è la tua", perché rompe il tono sarcastico e disilluso del film e ci fa entrare nel nucleo emotivo della storia. Non è un monologo costruito per impressionare: è quasi infantile nel modo in cui è espresso, ma proprio per questo arriva con una forza diversa. È la figlia di Vezzosi che parla, e parla al padre. Ma in realtà sta parlando a una parte di lui che non c’è mai stata davvero.
MINUTAGGIO: 55:26-56:50
RUOLO: Franca
ATTRICE: Alessandra Acciai
DOVE:
ITALIANO
Nel film il padre viaggia nello spazio alla velocità della luce, per salvare il pianeta, e la figlia lo aspetta sulla terra. Lo aspetta tanto, lo aspetta tutta la vita. Ma il loro amore non diminuisce. Né nella distanza, e nemmeno nel tempo che passa, che è diverso per lei e il suo papà. Il suo papà, che è un eterno giovane nello spazio, mentre lei… mentre lei diventa vecchia sulla terra. Però… non cambia niente per loro, perché… perché l’amore è più forte di tutto. Anche… anche di Einstein. Capisci babbo. Il film alla fine dice questo, cioè che bisogna volersi bene in questo tempo. Cioè, quando si è vivi. Perché solo adesso e ora siamo vivi insieme. Capisci? Il tempo non va sprecato. Mai. Ti voglio bene. Tanto
"La mia ombra è la tua" è un film italiano del 2022 diretto da Eugenio Cappuccio, tratto dall’omonimo romanzo di Edoardo Nesi (Premio Strega 2011 per "Storia della mia gente"). Si muove in bilico tra il dramma esistenziale e il racconto generazionale, incrociando due protagonisti molto diversi tra loro: un giovane neolaureato e uno scrittore burbero e recluso, un tempo celebre. Siamo in Italia, ai giorni nostri. Emiliano De Vito (interpretato da Giuseppe Maggio) è un giovane con una laurea fresca in tasca e poche idee su cosa fare nella vita. Gli viene assegnato un compito all’apparenza semplice: raggiungere lo scrittore Vittorio Vezzosi (Marco Giallini), figura leggendaria della letteratura italiana che da anni si è ritirato dalla scena pubblica, per convincerlo a partecipare a una fiera del libro dove verrà celebrato. Ma c’è un dettaglio: Vezzosi vive completamente isolato, è un uomo imprevedibile e fuori dagli schemi. Quando Emiliano riesce finalmente a trovarlo, succede qualcosa di inatteso: lo scrittore accetta di partecipare… ma alle sue condizioni. I due partono così per un viaggio in macchina attraverso l’Italia, un vero e proprio road movie che funziona da pretesto narrativo per scavare nei loro caratteri e nelle loro ferite.
Quello che parte come un incarico lavorativo si trasforma lentamente in un viaggio di formazione per Emiliano e in una lenta resa dei conti per Vezzosi. Due personaggi agli antipodi: Emiliano è pieno di aspettative, ma anche insicurezze tipiche di una generazione bloccata in un eterno presente; Vezzosi è disilluso, vive nel rimpianto e nel disprezzo per un mondo che ha continuato a girare senza di lui.
Nel corso del film, i due dialogano, si scontrano, si osservano. È nei dettagli – uno sguardo in macchina, una risposta tagliente, un silenzio carico – che emergono le crepe e le tenerezze di questi due uomini. E qui il film abbandona l’idea di raccontare “una storia” in senso tradizionale, e comincia invece a mostrare uno stato d’animo, un umore generazionale.
L’ombra del titolo è quella che entrambi si portano dietro: Vezzosi con il suo passato, Emiliano con il futuro che lo spaventa. Ma è anche un riferimento alla relazione che si crea tra maestro e allievo, tra chi ha vissuto e chi sta iniziando, tra chi ha smesso di credere e chi è ancora disposto a provarci.
La costruzione del monologo è volutamente ingenua. Frasi brevi, interruzioni, ripetizioni (“capisci babbo”), come se fosse scritto da una bambina che ha dovuto crescere da sola. Ma dietro questa struttura c’è una densità emotiva fortissima.
L’immagine dello “spazio” è potente: lo spazio come isolamento, come assenza prolungata, ma anche come condizione irreversibile. Il tempo che passa in modo diverso – lui eterno giovane, lei che invecchia – è la descrizione esatta di un rapporto sbilanciato, dove uno dei due ha scelto di non esserci. Ma l’amore, dice lei, “non cambia niente per loro”. E questo è forse il punto più struggente: non c’è rancore in queste parole.
C’è consapevolezza, c’è disillusione, ma non c’è odio.
La frase chiave arriva in fondo: “Perché solo adesso e ora siamo vivi insieme. Capisci? Il tempo non va sprecato. Mai.” Qui si chiude il cerchio. Il monologo non parla più solo del loro rapporto, ma di una verità più ampia. È un invito a esserci, a scegliere la presenza. A non delegare il bene all’idea che ci sarà un altro tempo, un altro momento. Nel contesto del film, è anche uno specchio per Emiliano, che ascolta. Per lui è una lezione sull’urgenza del vivere, sull'importanza di non aspettare di diventare “qualcuno” per cominciare ad amare, a costruire, a scegliere.
Il monologo della figlia di Vezzosi è uno dei rari momenti in cui il film smette di nascondersi dietro l’ironia e guarda dritto negli occhi lo spettatore. Non è un momento “alto”, scritto per entrare nei libri di storia del cinema. È una scena scritta con pudore, con il linguaggio di chi non ha mai imparato a esprimere il proprio dolore se non attraverso metafore che conosce: un film visto, una favola raccontata a sé stessi.
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