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~ LA REDAZIONE DI RC
Siamo davanti a uno dei monologhi più densi di tutta la serie Il Giardiniere. È ancora La China Jurado a parlare, ma questa volta la sua voce cambia registro: c’è una sfumatura nuova, meno controllata, quasi un residuo di reale preoccupazione. Non perché Elmer abbia sbagliato – i suoi errori le costano, e questo è ciò che le interessa davvero – ma perché l’elemento più incontrollabile del mondo è entrato nella sua equazione: l’amore. E questo, nel suo ordine sistemico fatto di controllo, strategia e compostezza operativa, è il vero nemico.
STAGIONE 1 EPISODIO 2
MINUTAGGIO: 1:50-7:49
RUOLO: La China Jurado ATTRICE: Cecilia Suárez DOVE: Netflix
ITALIANO
In quel bosco solitario, Elmer si innamorò come un adolescente, proprio della ragazza che avrebbe dovuto far sparire. Era la prima volta che mio figlio scopriva l’amore. I primi istanti da soli. Gli sguardi furtivi. Il delicato sfiorarsi di una mano. Devono avergli fatto perdere la testa. L’aspetto negativo di questi attimi è che sono molto fragili, è che sono molto fragili, e basta un vento contrario per rovinarli. Ciò che accadde quel giorno, fu che l’amore andò di pari passo con la rabbia. Solo che la rabbia è un’emozione molto più difficile da gestire dell’amore. Elmer non aveva gli strumenti per controllarla. Sapeva solo che quel ragazzo aveva fatto del male a quella ragazza di cui lui si stava innamorando, e che voleva restituirgli tutto quel dolore. Lasciandosi guidare da un istinto così primordiale, ebbe un corto circuito, e commise un piccolo errore, lui che aveva l’abitudine di non lasciare tutto al caso. Mentre stava guidando verso casa, nella sua testa, si scatenò una violenta tempesta. Conosceva quella ragazza da appena un giorno, e stava già iniziando a pagare il prezzo di essersi innamorato.
Debuttata l’11 aprile 2025 su Netflix (e disponibile anche su Sky Glass, Sky Q e Now), Il Giardiniere (El Jardinero in originale) è una miniserie thriller in sei episodi creata da Miguel Sáez Carral, autore già noto per Ni una más. La regia è affidata a Miker Rueda, che costruisce una tensione costante in una storia dove i sentimenti si seppelliscono nella terra, insieme ai cadaveri. La storia segue Elmer (interpretato da Álvaro Rico, volto noto di Élite), un giovane uomo che gestisce un vivaio con sua madre, La China Jurado (Cecilia Suárez). Ma il vivaio è solo una facciata. Elmer è un sicario su commissione, addestrato fin da piccolo dalla madre, una donna calcolatrice e manipolatrice che ha sfruttato una sua fragilità psicologica a proprio vantaggio. Dopo un trauma infantile, Elmer ha smesso di provare emozioni. Nessun rimorso, nessun attaccamento. È il killer perfetto, e la madre lo usa per eliminare persone su richiesta, seppellendole tra le serre e le piante. Un’azienda familiare dell’orrore.
Ma qualcosa cambia. Durante una delle sue “missioni”, Elmer incontra Violeta (Catalina Sopelana), una maestra d’asilo che diventa una variabile non prevista nel suo algoritmo emotivo. Violeta non doveva sopravvivere. Ma Elmer non riesce a ucciderla. Qualcosa si muove dentro di lui. Un sentimento. O forse un’illusione di sentimento. Ed è qui che l’intero castello di carte costruito da La China comincia a tremare.
Per la prima volta, Elmer si rifiuta di obbedire. E per la prima volta, è pronto a tradire sua madre. Il vero cuore nero della storia, però, è La China Jurado. È lei che tiene le fila. È lei che prega ogni giorno sua madre morta, come se fosse una divinità da supplicare, ma agisce sempre e solo in base a ciò che serve a lei. Elmer per lei è uno strumento, un mezzo per fare soldi e riacquistare la villa in Messico da cui era stata cacciata.
Il rapporto madre-figlio qui è il centro della narrazione. Ma non è amore, non è protezione. È un dominio psicologico mascherato da cura. Una maternità che diventa gabbia, veleno, manipolazione.
Uno degli elementi più discussi della miniserie è come vengono rappresentate le figure femminili. Non ci sono “salvatrici”. Né madri amorevoli, né eroine. Sono tutte, a loro modo, portatrici di un’umanità corrotta. Perfino Violeta – che dovrebbe essere il contraltare dolce e puro – mostra sfumature più ambigue. La poliziotta che indaga sulle sparizioni, invece, è guidata più dall’ossessione e dal bisogno personale che da un reale desiderio di giustizia.
È come se la serie volesse dire: non importa il genere, importa cosa ne fai del tuo potere sugli altri.
“In quel bosco solitario, Elmer si innamorò come un adolescente, proprio della ragazza che avrebbe dovuto far sparire.” L’immagine iniziale è fortemente simbolica: un bosco solitario. Natura, isolamento, un paesaggio dove le regole sociali sono sospese. Ed è lì che Elmer si innamora. Non in città, non in un luogo razionale, ma in un ambiente arcaico, quasi primordiale. L’amore come istinto che nasce lontano dalla sorveglianza della madre. Il fatto che lui si innamori proprio di una vittima designata crea un paradosso potentissimo: il lavoro si mescola all’emozione, e tutto il sistema su cui si basa la loro vita va in tilt.
Ma La China non si sofferma su cosa prova Elmer. Lo definisce “innamorato come un adolescente” – con disprezzo implicito. Per lei, l’adolescenza è sinonimo di confusione, incapacità, perdita di controllo. E questo è il suo problema: non l’amore in sé, ma l’imprevedibilità che porta. “I primi istanti da soli. Gli sguardi furtivi. Il delicato sfiorarsi di una mano. Devono avergli fatto perdere la testa.” Questa parte è quasi poetica, ma è un’estetica pericolosa: la madre la usa per sottovalutare ciò che è accaduto. Minimizza. Riduce il tutto a un gioco adolescenziale. E questo le permette di invalidare l’esperienza del figlio. Non è amore vero: è un colpo di testa. Un errore.
“L’aspetto negativo di questi attimi è che sono molto fragili… e basta un vento contrario per rovinarli.” Qui entra un giudizio definitivo: i sentimenti, secondo La China, sono deboli per natura. Transitori. Esposti. E quindi inadatti a chi, come Elmer, deve sopravvivere in un mondo fatto di efficienza, silenzio e sangue. In poche parole: l’amore ti rende vulnerabile. “Ciò che accadde quel giorno, fu che l’amore andò di pari passo con la rabbia.” Ecco il punto centrale del monologo. Per Elmer, l’amore non porta solo dolcezza, ma risveglia un'altra emozione repressa: la rabbia. È questo che lo rende pericoloso, non solo per gli altri, ma per sé. Perché per la prima volta, le sue emozioni entrano in conflitto. E non ha alcuno strumento per gestirle.
“Elmer non aveva gli strumenti per controllarla.” Questa frase è tanto semplice quanto devastante. Non aveva strumenti perché non gli sono mai stati dati. Per tutta la vita è stato istruito a non sentire, non a riconoscere o governare ciò che sentiva. Non sa cosa fare con quella rabbia. Non sa nominarla. La può solo agire. “Lasciandosi guidare da un istinto così primordiale, ebbe un corto circuito.” Il lessico qui è tecnico. “Corto circuito” è espressione da macchina, non da essere umano. È un richiamo diretto alla visione che La China ha del figlio: una macchina che ha avuto un malfunzionamento.
E quel malfunzionamento – l’omicidio non pianificato – è il primo segno che Elmer non è più del tutto sotto controllo. “Mentre stava guidando verso casa, nella sua testa, si scatenò una violenta tempesta.”
Questa immagine è importante: Elmer, da solo, in macchina, in silenzio. La tempesta è interiore. È forse il primo momento in cui il suo cervello – che per anni ha funzionato come un contenitore ermetico – comincia a cedere. L’amore ha aperto una fessura. La rabbia l’ha fatta esplodere.
Questo monologo è una lezione di costruzione del potere psicologico. La China non è solo una madre che osserva con disappunto il figlio che si è lasciato travolgere. È una figura che giudica, misura, valuta e cataloga ogni emozione che esce dallo schema. Per lei, l’amore è un guasto, la rabbia un errore di calcolo, l’istinto una variabile non prevista. E tutto il suo discorso è un tentativo di ripristinare il controllo. Ma il controllo è già andato perso.
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